Leadership Talk L’intervista di Rivista.AI

Benvenuti a questa edizione della nostra Rivista AI, dove ci immergiamo nel cuore della rivoluzione silenziosa dell’intelligenza artificiale. Oggi abbiamo il piacere di presentare un’intervista esclusiva con Hammad Hussain Commercial e Technology Strategy Director di Oracle. In un mercato dove l’AI è spesso avvolta in un “mantra imprescindibile” e “promesse altisonanti”, Hammad Hussain si distingue per la sua sincerità disarmante nel raccontare quanto sia difficile far comprendere il vero potenziale e le capacità reali dell’AI.

Il paradosso è evidente: Oracle ha reso i suoi prodotti AI “semplici, quasi banali da usare”, eppure “rendere semplice l’adozione resta una sfida”. Questo suggerisce che il vero ostacolo non è più la tecnologia in sé, che si è evoluta fino a essere incapsulata in interfacce user-friendly e automatizzate, bensì la “cultura e la strategia che ci stanno dietro”. L’AI è paragonabile a un “superpotere tecnologico che nessuno sa ancora bene come integrare nel proprio arsenale aziendale” senza il rischio che diventi un “semplice gadget costoso o una moda passeggera”.

Il team di AI Value Services ha un ruolo duplice e intrinsecamente pragmatico:

Educare e facilitare l’adozione: Aiutare i clienti a superare la diffidenza e l’incertezza che ancora permeano molti progetti AI.

Guidare strategicamente: Non si tratta più di “provare” o “sperimentare”, ma di “attivare” l’AI, una parola che suona più concreta e meno fumosa, e che è il segreto per superare le incertezze.

Questa visione si distingue per la capacità di Oracle di “tradurre la complessità in valore tangibile”, fungendo da “cuscinetto tra la promessa e la realtà” dell’AI. Hammad sottolinea che le “proposizioni che si vendono meglio” sono una naturale conseguenza di un lavoro che parte dall’interno dell’azienda e arriva ai clienti finali, creando un “circolo virtuoso in cui la conoscenza tecnica diventa leva di business e la strategia si nutre di feedback continui”.

La funzione di “facilitatore di adozione” sta diventando una figura chiave nell’economia digitale, un “ambasciatore tra due mondi”: quello della tecnologia pura e quello dell’impresa reale, con le sue resistenze e priorità.

L’obiettivo è trasformare questa “facilità” promessa in “risultati concreti, misurabili e soprattutto sostenibili nel tempo”, costruendo fiducia nella tecnologia e nel suo valore strategico. Il team di AI Value Services incarna l’arte di “saper leggere, interpretare e soprattutto guidare il cambiamento”.

L’AI al Servizio dell’Efficienza Operativa: I Numeri Parlano Chiaro

L’approccio di Oracle si concentra sull’“embedded AI” nelle Fusion Applications, offrendo un’“enorme mole di ottimizzazioni già pronte all’uso”. L’idea non è stravolgere i processi con progetti mastodontici, ma migliorare in modo incrementale e sistematico l’operatività quotidiana.

I risultati concreti, evidenziati da fonti e confermati da Hammad sono tangibili:

Risparmio sui costi del personale: Attivando circa 250 funzionalità AI integrate nella piattaforma, le aziende possono aspettarsi un risparmio operativo compreso tra l’1% e il 2% sul costo del personale. Per un’impresa che spende 100 milioni di euro in stipendi, questo si traduce in un risparmio annuale fino a 2 milioni di euro. Questa metodologia è frutto di uno studio rigoroso che ha quantificato l’impatto economico di ogni funzione AI in aree come HR, finanza, procurement, supply chain e customer experience, riconoscendo la sinergia tra le funzioni.

Dimezzamento del tempo di assunzione (Time to Hire): Nelle applicazioni HR di Oracle, e specificamente nel modulo di recruitment, le funzionalità AI integrate hanno ridotto il “time to hire” del 50%. Dati concreti raccolti da oltre una dozzina di clienti reali lo confermano.

L’AI agisce come un filtro intelligente, valutando il profilo dei candidati in tempo reale. Non solo rifiuta i candidati non idonei, ma suggerisce anche alternative più affini alle loro competenze. Questo “matching intelligente” riduce le candidature da vagliare da 1.000 a circa 100 profili selezionati, con il recruiter che mantiene sempre l’ultima parola: l’AI supporta e rende più efficiente il processo decisionale umano, senza sostituirlo.

Recupero di ore preziose: L’intelligenza artificiale può automatizzare la ricerca e l’elaborazione dei dati, tagliando significativamente le ore spese in attività amministrative. Le ore perse in attività ripetitive e di scarso valore aggiunto (da due a otto ore a settimana per dipendente) sono un “buco nero di produttività”. Una riduzione del 20-30% di questo tempo liberato per persona si traduce in guadagni immediati di efficienza, potendo liberare decine di migliaia di ore ogni anno e restituire alle persone tempo per attività strategiche.

Un caso di studio nel retail UK: Un colosso del retail britannico con 2.000 punti vendita ha attivato un digital assistant basato su LLM (Large Language Model) integrato nelle Fusion Applications. Questo ha eliminato le 8.000 ore settimanali che la sede centrale dedicava a rispondere a domande di routine dei negozi (“quante ferie mi spettano?”, “dove trovo il modulo per il congedo?”, ecc.). Questo risparmio è stato raggiunto a “costo zero” in termini di licenze aggiuntive, poiché l’AI embedded è già inclusa nell’abbonamento. Il digital assistant, addestrato con documenti interni dell’azienda, risponde in tempo reale, senza stanchezza, liberando tempo per i manager e i dipendenti.

La Filosofia “Attiva, Misura, Disattiva e Riprova”

L’approccio di Oracle all’AI è estremamente pragmatico e si sintetizza nella filosofia “attiva, misura, disattiva e riprova”. L’AI è uno “strumento concreto per migliorare i conti aziendali”, e non un esercizio di stile. Non è necessario reinventare la ruota o investire in lunghi progetti custom; la maggior parte delle aziende ha già a disposizione funzioni AI pronte all’uso integrate nei prodotti che utilizzano quotidianamente.

L’attivazione di queste funzionalità è praticamente priva di rischi: se l’impatto fosse nullo o negativo, l’AI può essere disattivata senza traumi, mantenendo il potere decisionale saldamente in mani umane. Questa logica “plug and play” ribalta la narrativa dell’AI come un progetto colossale e rischioso, dimostrando che la realtà è molto più accessibile: basta “accendere l’interruttore giusto, monitorare i risultati e adattare la strategia di conseguenza”. È un “passo calcolato, misurabile e, soprattutto, reversibile”.

L’Obbligo della Governance e la Fiducia nel Contesto Europeo

Nel contesto del Regolamento sull’AI (AI Act) europeo, che impone una classificazione dei casi d’uso (proibiti, ad alto rischio, a rischio limitato), trasparenza e regole sulla progettazione (tracciabilità, auditabilità, supervisione umana), il controllo end-to-end sull’intera stack AI è un prerequisito legale per operare in Europa. Oracle Fusion Applications è progettata nativamente per rispettare queste regole:

Isolamento dei dati: I dati del cliente non vengono usati per l’addestramento dei modelli AI. Ogni modello, inclusi i generativi (LLM), viene distribuito in modalità “read-only” nella tenancy del cliente, garantendo un isolamento reale, non ambiguo e tracciabile.

Governance rigorosa dei prompt: Oracle utilizza una struttura interna di comitati (come il Corporate Security Governance and Organizations CSAP) che revisionano ogni prompt disponibile nei moduli embedded per evitare risposte inappropriate, garantire coerenza, pertinenza e, soprattutto, auditabilità. Ogni interazione AI può essere tracciata e revisionata.

Approccio “human-in-the-loop”: Tutte le funzionalità di AI embedded sono a basso rischio perché sono progettate per supportare le decisioni umane e non per prenderle autonomamente. Ad esempio, l’AI suggerisce una job description, ma è il responsabile HR a decidere. Questo è cruciale per la compliance, specialmente in settori regolamentati come sanità, istruzione e pubblica amministrazione, dove la fiducia e la responsabilità non possono essere delegate a un modello neurale.

Per i clienti che desiderano creare i propri casi d’uso personalizzati, Oracle offre Agent AI Studio, che democratizza la creazione di AI rendendola accessibile agli utenti aziendali senza competenze da data scientist. Tuttavia, in questi casi, la responsabilità della compliance si sposta sul cliente: se si attiva un agente AI che prende decisioni per conto dell’azienda, è l’azienda stessa a dover rispettare le regole europee. Oracle fornisce gli strumenti, i log, le API sicure e i flussi di autorizzazione, ma “l’ultima parola spetta sempre a chi implementa”. Il futuro non premierà il modello più potente, ma “l’architettura più responsabile”.

L’Approccio Oracle per il Mercato Italiano: Fiducia, ROI e Impatto Immediato

In Italia, dove i CEO cercano “efficienza” e “ROI” piuttosto che “disruption”, l’approccio di Oracle risponde a un bisogno profondo di fiducia, sicurezza dei dati e risultati misurabili. L’enfasi è sul “Bring AI to the data, not data to the AI” (porta l’AI ai dati, non i dati all’AI), come sintetizzato da Hamamd, evitando la “trappola invisibile dei pilot” e concentrandosi sulla messa in produzione rapida. Le aziende italiane, sia pubbliche che private, vogliono “andare in produzione, non collezionare esperimenti”.

Le aziende italiane chiedono tre cose fondamentali:

Sfruttare i propri dati: non basta più avere i dati nel cloud, si vuole capire cosa se ne può ricavare.

Accelerare il time-to-value: se una soluzione non produce valore nel trimestre, “semplicemente non esiste”.

Misurare l’impatto: non in like o in slide, ma in “ore risparmiate, costi evitati, efficienza generata”.

Oracle si dimostra di essere allineata con queste esigenze. L’approccio “integrato, misurabile, conforme e immediato” di Oracle è “esattamente ciò che serve” al mercato italiano, senza marketing esoterico ma con “tecnologia applicata bene”.

L’intelligenza artificiale, nell’ottica di Hamad Hussain e del team AI Value Services di Oracle, non è un sogno futuribile, ma un “risparmio ben calcolato” e un “passo deciso verso la sostenibilità economica e l’efficienza operativa”. È una “rivoluzione silenziosa” che avviene nel back office, liberando tempo prezioso e trasformando l’operatività quotidiana. L’AI è il “potenziatore silenzioso e accessibile” che aiuta a “far funzionare meglio ciò che già funziona”.

È questo il punto secondo Rivista.AI: l’AI non è una feature. È l’infrastruttura del pensiero operativo

Quello che ci ha colpito di Hammad Hussain non è solo ciò che ha detto, ma come lo ha detto. Con una sincerità disarmante e una lucidità operativa rara, ha ribaltato in modo chirurgico la narrazione dominante sull’intelligenza artificiale. Nessun entusiasmo da laboratorio, nessuna idolatria da keynote. Solo una constatazione semplice e brutale: il problema non è la tecnologia, è il contesto aziendale che non sa cosa farne.

Hammad ha spiegato che Oracle ha reso i suoi prodotti AI così semplici da sembrare banali. Eppure, l’adozione resta complessa. È questo il paradosso che sintetizza perfettamente lo stato dell’AI enterprise oggi. Non è più una questione di modelli o algoritmi, ma di cultura, strategia e responsabilità. E qui emerge il suo approccio disilluso ma pragmatico: non serve più “provare”, serve “attivare”. Non si cerca la disruption, si cerca l’efficienza.

Larry Ellison non ha mai amato perdere. Né con Amazon, né con Microsoft. E oggi, in una Silicon Valley drogata di intelligenza artificiale generativa, mentre tutti inseguono OpenAI o cercano il proprio Copilot personale, Oracle non si limita a giocare una partita parallela: vuole riscrivere le regole del gioco. Non rincorrere il treno dell’AI, ma diventare la ferrovia su cui correranno i prossimi vent’anni di automazione cognitiva aziendale.

Parlare di Oracle AI nel 2025 significa entrare in un’architettura dove ogni componente è stato ristrutturato per servire un’unica ossessione: rendere ogni sistema enterprise capace di pensare prima dell’utente. O meglio, al posto suo. E se questo vi sembra solo marketing da brochure, probabilmente non avete ancora visto cosa succede quando Oracle combina i muscoli delle sue Fusion Applications con la potenza delle sue infrastrutture AI-native su OCI. Non si tratta di un aggiornamento software. Si tratta di un colpo di stato digitale, orchestrato da una multinazionale che negli ultimi tre anni ha ricablato il proprio DNA per una guerra di lungo termine: dominare il cloud enterprise con l’intelligenza incorporata in ogni singolo flusso.

La svolta è iniziata in sordina, con Oracle Autonomous Database, presentato come il primo database che si aggiorna da solo e si auto-patcha mentre voi dormite. Poi sono arrivati i servizi di AI preconfezionata su OCI, con API per vision, NLP, detection e forecasting. Ma era solo il prequel. Il vero piano è emerso con l’integrazione dell’AI nativa nelle Fusion Cloud Applications: ERP, HCM, SCM, EPM, CX. Lì, Oracle ha fatto qualcosa che pochissimi player possono permettersi: ha costruito una filiera AI integrata, senza passaggi di mano, dal chip al processo HR, dalla GPU al flusso approvativo finanziario. Verticale, chiusa, industriale. In perfetto stile Ellison.

Nel nuovo paradigma Oracle AI, le applicazioni non sono più sistemi da interrogare, ma entità che osservano, apprendono e suggeriscono. Il CFO non chiede al sistema quanto sarà il cash flow il mese prossimo. È il sistema che glielo dice, aggiungendo: “ecco tre scenari alternativi, basati su eventi real-time di fornitori in Vietnam e trend valutari previsti dalla Banca Mondiale”. Un VP HR non cerca candidati. I candidati emergono. I requisiti si raffinano da soli. Le campagne marketing non si pianificano, si co-generano con il sistema in base a dati di sentiment e trend di navigazione. Questo è il posizionamento di Oracle: un cloud operativo che ragiona.

Ma non finisce lì. Nel 2024 Oracle ha lanciato in pompa magna Oracle AI Agent Studio, una piattaforma che fa impallidire i vari Copilot Studio o Claude Workbench. Qui non si gioca con prompt e modelli. Qui si costruiscono veri e propri agenti AI orchestrati, con accesso alle Fusion Applications, ai dati in tempo reale, alle policy aziendali. È come dare un esercito di junior manager digitali a ogni reparto, pronti a eseguire task, prendere decisioni e dialogare con utenti e sistemi, H24. Il tutto con modelli AI open source selezionabili via interfaccia, orchestrabili su OCI con pieno controllo di sicurezza, tracciabilità e auditabilità. Non più prompt. Processi. In forma conversazionale. Con esecuzione autonoma.

Oracle, a differenza dei competitor, non si accontenta di mettere un LLM sopra un foglio Excel. Costruisce la pipeline completa: GPU Nvidia a bordo di Oracle Cloud Infrastructure, vector database integrati nell’Oracle Database 23ai, retrieval-augmented generation su dati aziendali, flussi approvativi orchestrabili con AI Agent, il tutto all’interno delle stesse policy di sicurezza, audit e compliance che le banche richiedono per sopravvivere.

Se Microsoft ha scelto l’integrazione Copilot-first, Oracle ha optato per il modello “intelligenza incorporata”. Non sovrapposta, ma fusa dentro. Non una chatbot connessa al gestionale. Un gestionale che pensa. Il che cambia tutto.

C’è un dettaglio, però, che spesso sfugge agli osservatori superficiali: Oracle non vende AI come prodotto. Vende AI come condizione operativa di base. Non un tool da installare, ma un layer comportamentale che si attiva ovunque. Dentro NetSuite per le PMI, dentro le industry application per il settore sanitario o finanziario, dentro i flussi HR per ottimizzare il recruiting o prevedere il churn. L’AI non è visibile. È ambientale. Come l’ossigeno.

Questo tipo di approccio ha conseguenze profonde. Perché una volta installata un’app Fusion AI-native, non puoi più tornare indietro. I processi si ristrutturano, le abitudini cambiano, l’operatività si trasforma. Oracle lo sa, ed è per questo che spinge per entrare in ogni business unit, non con un agente AI, ma con un framework completo di automazione intelligente. Chi compra un modulo HCM oggi, domani si ritroverà con un’intera piattaforma di decisioni predittive integrate. L’up-selling è una conseguenza tecnica, non commerciale.

E mentre AWS cerca di posizionarsi come il layer infrastrutturale per tutti, e Microsoft gioca la carta della produttività AI pervasiva, Oracle si infiltra nei gangli del sistema operativo aziendale. Non desktop. Non documenti. Decisioni. Transazioni. Flussi. Governance.

Nel gioco geopolitico dell’AI enterprise, Oracle punta sulla sovranità: Cloud@Customer per chi vuole OCI nei propri datacenter, Sovereign Cloud in Europa per il rispetto dei dati localizzati, integrazione nativa con modelli Llama 3, Mistral e Cohere su OCI AI. Nessun obbligo a usare un singolo LLM. Solo libertà architetturale, governata da policy integrate. Che, in termini CTO, si traduce in una cosa sola: controllo.

La narrativa ufficiale parla di AI per semplificare i processi. Ma sotto la superficie c’è un piano molto più ambizioso: riscrivere il modo in cui il software enterprise opera. Non più come sistemi di registrazione, ma come entità operative proattive. Oracle non aggiorna solo le sue applicazioni. Riscrive il ruolo stesso del software nell’impresa. E lo fa con una logica di piattaforma verticale: infrastruttura AI-native, database autonomo, vector embedding integrato, orchestrazione degli agenti, applicazioni modulari e workflow pre-cablati. Tutto già pronto. Tutto già in produzione.

La guerra per il dominio AI nel business non si vincerà a colpi di chatbot simpatiche o assistenti da presentazione PowerPoint. Si vincerà nel backoffice, dove i flussi contabili vengono riconciliati in tempo reale, dove i contratti vengono letti e sintetizzati da modelli linguistici integrati, dove i cicli di approvvigionamento anticipano gli shock di mercato grazie a pipeline AI addestrate su dati reali e transazionali. È lì che Oracle sta puntando tutto.

E mentre molti CIO si fanno ancora sedurre da startup generative che promettono rivoluzioni rapide, Oracle gioca la sua partita con un tempismo chirurgico: si presenta quando l’hype cala, quando serve scalabilità, governance e resilienza. Quando l’AI deve funzionare davvero, non solo impressionare.

Il posizionamento di Oracle AI non è cool. È strutturale. E quindi inevitabile.