Gartner ha appena tirato giù la maschera sul mito degli agenti AI, e la realtà è molto meno entusiasmante di quanto il marketing tech ci voglia far credere. Un fulmine a ciel sereno: oltre il 40% dei progetti di intelligenza artificiale agentica sarà cancellato entro il 2027. Non è una previsione da lunedì mattina, ma un avvertimento che scuote le fondamenta di chi ha investito a occhi chiusi nel “prossimo grande salto” dell’automazione intelligente.
Se pensavate che “agenti AI” significasse robot autonomi che risolvono problemi complessi mentre voi sorseggiate il vostro caffè, beh, è meglio rivedere le aspettative. Gartner parla chiaro: non c’è un ROI chiaro, i costi esplodono e la tecnologia “cool” non regge sotto pressione. Il risultato? Un boom di hype, battezzato con il termine icastico di “agent washing” — roba da rinnovare chat bot o RPA con una semplice etichetta nuova, senza un briciolo di vera intelligenza autonoma.
La sorpresa più sgradevole? Solo 130 vendor su migliaia hanno offerte di agenti AI che possono essere definiti “reali”. Per capirci: mentre tutti gridano alla rivoluzione, la maggioranza sta riciclando software vecchio con una spruzzata di AI qua e là. Gartner alza il tiro e dice che solo il 15% delle decisioni lavorative sarà presa autonomamente da agenti AI entro il 2028. Sì, avete letto bene, siamo a un modesto 15% e non a un’automazione totale che molti venditori promettevano.
Il senso della faccenda non è lanciarci in una gara a chi adotta per primo l’AI agentica ma capire dove questa tecnologia può veramente portare valore. Agenti per logiche decisionali complesse, automazione per compiti ripetitivi, assistenti per recupero semplice di informazioni. Insomma, una rivoluzione mirata, pragmatica, non un baccanale digitale di promesse roboanti e budget bruciati.
L’analista Anushree Verma, che ha il compito ingrato di spegnere le illusioni, lo dice senza mezzi termini: il grosso dei progetti attuali sono esperimenti infantili o proof of concept vittime dell’hype. Questo genera una cecità strategica che paralizza il passaggio a produzione su larga scala. La sfida è quella di fare scelte mature e strategiche in un campo ancora selvaggio, con più luci e ombre di quanto la retorica commerciale ammetta.
Il sondaggio Gartner di gennaio 2025 racconta un quadro eterogeneo: il 19% ha investito pesantemente, il 42% con prudenza, ma il restante 31% sta ancora aspettando o non sa che pesci prendere. Non è un dato da poco, perché indica un mercato frammentato tra pionieri, cautious players e spettatori dubbiosi. Il “wait and see” è una posizione saggia quando si parla di agenti AI, specialmente considerando l’incertezza sul vero impatto economico e operativo.
La vera innovazione sta nella capacità di questi agenti di superare il semplice automatismo programmato e portare a casa risultati in ambienti complessi, dinamici e sfaccettati. Solo una ristrutturazione profonda dei flussi di lavoro, con un approccio “bottom-up”, può evitare il fallimento tecnico e operativo che molte aziende stanno già sperimentando. Non basta incollare un agente AI su un sistema legacy traballante e sperare che la magia accada.
Il ritratto che esce da questa analisi è quindi molto più concreto e meno hollywoodiano. Per Gartner, l’adozione di agenti AI deve mirare a una produttività enterprise, non a un semplice miglioramento dei singoli task. Se gli agenti possono diventare decisori affidabili, se l’automazione si limita ai compiti ripetitivi e gli assistenti si occupano delle ricerche semplici, allora forse il gioco vale la candela. Diversamente, si rischia solo di aggiungere complessità e costi inutili a un ecosistema IT già fragile.
Curioso come nel 2025, anno in cui le AI sembrano il futuro prossimo, Gartner preveda solo un terzo del software enterprise con agenti AI nel 2028. Per un settore che prometteva “intelligenze autonome ovunque”, questa è una doccia fredda che smonta le narrative più gonfiate.
La lezione subliminale è chiara: per cavalcare l’onda agentica bisogna prima di tutto saper nuotare nelle acque agitate di una tecnologia ancora in fase di maturazione. Bisogna abbandonare la tentazione dell’adozione a tutti i costi e concentrare le risorse su casi d’uso reali, misurabili e scalabili. La vera rivoluzione non è l’adozione indiscriminata di agenti AI ma la capacità di integrare queste tecnologie in modo pragmatico e intelligente nei processi aziendali.
Ecco che il marketing cede il passo all’ingegneria, e il CEO lungimirante smette di sognare “robot che fanno tutto da soli” per prendere in mano il manuale della realtà. D’altronde, nel mondo delle AI agentiche, l’unica certezza è che l’hype è un lusso che pagheremo caro, e la vera sfida sarà trasformare quei pochi agenti reali in veri alleati di business, capaci di migliorare costi, qualità, velocità e scala.
Un monito per chi pensa che aggiungere la parola “agente” a un prodotto sia sinonimo automatico di innovazione disruptive. In questa partita, la differenza tra successo e fallimento la fanno i dettagli: il modello di business, la maturità tecnologica, la gestione del rischio e la capacità di riorganizzare i processi di lavoro senza scivolare in un pantano di costi imprevisti e frustrazione operativa.
Non è più tempo di mezze misure o di seguire il gregge. Il futuro dell’AI agentica è nelle mani di chi saprà scendere dal palco delle promesse e mettersi a costruire, con intelligenza e disciplina, il prossimo capitolo della trasformazione digitale. Una trasformazione che, per una volta, non si limiti a suonare bene ma che produca valore vero, sostenibile e misurabile.