C’era una volta un nerd, cresciuto a pane, Harvard e codice C++, che decise di costruire un impero. Poi però arrivò l’intelligenza artificiale, e tutto andò storto. O quasi. Ora quello stesso nerd, noto ai più come Mark Zuckerberg, ha deciso che Meta deve smettere di giocare a rincorrere gli altri e iniziare a sparare fuoco AI come un Terminator in preda a un burnout da hype tecnologico. Il risultato? Meta Superintelligence Labs. Ovvero: un nome che promette superpoteri, ma che per ora sembra solo il trailer di un’epopea distopica.
In effetti, quando si afferma senza battere ciglio che una manciata di superstar della Silicon Valley riuscirà a trasformare una balena arenata come Meta in un velociraptor digitale, sarebbe utile ricordare che i velociraptor sono estinti. La verità, non detta ma scritta tra le righe, è che Zuckerberg sta cercando disperatamente di rifondare il suo impero con la magia nera dei large language models, dopo aver bruciato miliardi nel metaverso e lanciato Llama 4 come se fosse un missile… che ha fallito il decollo.
Quello che colpisce, più del solito entusiasmo ossessivo-compulsivo da evangelista AI, è la rapidità con cui Meta ha deciso di lanciare l’ennesima sigla altisonante nel vuoto pneumatico della concretezza. Meta Superintelligence Labs suona come il titolo di una serie TV futurista, ma dietro il logo scintillante ci sono le solite dinamiche da salotto del potere californiano: capitali illimitati, ego steroidei e una fede cieca nell’open source come panacea per ogni male algoritmico.
Ma torniamo al punto. Perché tutto questo? Perché Llama 4 ha fatto flop, e Zuckerberg non può permettersi un altro giro di valzer con la mediocrità. Non nel 2025, non nel momento in cui OpenAI, Anthropic, Google DeepMind e perfino startup tascabili come Mistral lo stanno sorpassando a sinistra, a destra e in retromarcia e allora via con l’artiglieria pesante: Alexandr Wang di Scale AI come Chief AI Officer. Ottima scelta, se si volesse etichettare un milione di gattini in tempo record. Meno eccellente se si pretende di competere con GPT-5 o Gemini 3. Scale AI, ricordiamolo, non costruiva modelli, faceva il lavoro sporco: annotazione, pulizia, raffinazione.
Data janitorship con margine operativo.Wang, che fino a ieri era il re delle scuderie di annotatori nelle Filippine, oggi è messo a capo della strategia AI di una delle Big Tech. Perché? Perché in Silicon Valley non esiste più il concetto di mismatch. Se sei giovane, asiatico e ti sei arricchito con una startup AI, allora sei automaticamente un profeta dell’intelligenza artificiale generale. Così funziona il nuovo darwinismo algoritmico della West Coast e Zuckerberg, che ha perso il treno dei foundation models nel 2023, non può fare altro che salire su quello del culto della personalità. Ma con un dettaglio inquietante: nessuno guida davvero il treno.
Il paradosso di Meta Superintelligence Labs è evidente. Il laboratorio nasce con l’ambizione di accelerare la ricerca e lo sviluppo in modo “coordinato, aperto e massivo”. Ma cosa significa esattamente “superintelligenza” in un contesto dove Llama 4 non ha nemmeno superato ChatGPT-3.5 nelle metriche di performance? Se poi lo si piazza in un’arena ipercompetitiva dove ogni player ha già costruito un ecosistema maturo, la parola “super” suona più come ironia involontaria che come descrittore tecnico.
La superintelligenza, per ora, è solo marketing.Il linguaggio usato da Meta è rivelatore. Il team è composto da “i migliori talenti del settore”, che tradotto dal siliconese significa: gente che ha già litigato con altri CEO e ora cerca una nuova casa.
Non esattamente la formula per la stabilità. Quando hai un gruppo di ex-primi violini ognuno con una propria idea messianica dell’AI, e li metti insieme sotto un unico tetto supervisionato da uno dei manager più ossessivi e micromanageriali dell’intera industria, non stai costruendo un laboratorio. Stai creando un acceleratore di entropia.Zuckerberg, ossessionato dall’idea di rientrare nella conversazione sull’intelligenza artificiale, sta rischiando di replicare il fallimento del metaverso sotto altre spoglie. La formula è la stessa: overselling, underdelivering, e una narrazione aziendale disallineata dalla realtà tecnologica. Nel frattempo, Meta continua a perdere terreno dove conta davvero: nella capacità di creare modelli utilizzabili, scalabili e innovativi. Llama 4 è stato il campanello d’allarme, non tanto per i risultati tecnici, quanto per la perdita di credibilità che ne è derivata.
C’è anche un problema strutturale. La cultura di Meta è nota per essere intensamente centralizzata, orientata alla velocità esecutiva e al controllo verticale. Il problema? La ricerca AI non si nutre di controllo, ma di esplorazione. Non tollera deadline da sprint agile, né feedback settimanali da parte di chi valuta i progressi in base al numero di righe di codice committate. Pensare di gestire un team di ricerca AI come si gestisce un reparto growth è il più classico dei peccati di hubris ingegneristica. Ma Zuck non impara. O meglio: apprende solo quando crolla qualcosa.
Nel frattempo, chi beneficia davvero di tutto questo caos? I competitor. OpenAI può continuare a innovare a porte chiuse, senza dover giustificare ogni crash interno. Google, che almeno sa come gestire le tensioni tra ricerca e prodotto, osserva il tutto con un sorrisetto sotto i baffi (che in realtà non ha). Anthropic galleggia nel suo etos safety-first e si prende i contratti governativi. E Meta? Meta etichetta i dati e spera che basti per generare intelligenza.La lezione, se mai ce ne fosse una, è che l’intelligenza artificiale non si compra come una collezione NFT.
Non è sufficiente assumere un paio di cervelloni e metterli davanti a GPU da 100 milioni di dollari. La vera AI nasce da ecosistemi stabili, metodologie rigorose e una visione paziente. Non da campagne di recruiting isteriche o da un Chief AI Officer che fino a ieri vendeva tool di annotazione su scala.
Se la mossa di Zuckerberg fallirà, e le probabilità non sono basse, Meta potrebbe non avere un’altra possibilità. La reputazione in ambito AI è fragile, e quando i migliori ricercatori cominciano a vedere il tuo logo come una gabbia, piuttosto che una piattaforma di lancio, il danno è irreversibile. In un mondo dove l’attrattività dei talenti è il vero vantaggio competitivo, Meta Superintelligence Labs rischia di diventare il nuovo Theranos della generazione LLM. Tanta ambizione, poca trazione e molti PowerPoint.Ma c’è un ultimo colpo di scena.
Se, contro ogni previsione, il laboratorio riuscisse davvero a produrre qualcosa di rilevante, a scalare Llama oltre la soglia della mediocrità, a integrare i nuovi modelli nei prodotti Meta senza collassare sotto il peso delle faide interne, allora Zuckerberg avrà fatto il suo ennesimo pivot da illusionista. Solo che questa volta non basterà un visore da 499 dollari a coprire le crepe. L’unica realtà aumentata che conta oggi è quella del valore percepito. E quello, purtroppo per lui, non lo puoi ottimizzare con il machine learning.