Chi avrebbe mai detto che la ricerca su internet, quell’atto automatico che compiamo migliaia di volte al giorno, potesse cambiare radicalmente dopo un decennio di stagnazione? Baidu, il colosso cinese dell’intelligenza artificiale, ha deciso di scuotere il mercato con una rivoluzione tanto sottile quanto dirompente. Non si tratta più di digitare una manciata di parole e aspettare risultati, ma di affidarsi a una “smart box” capace di digerire testi lunghi migliaia di parole e trasformarli in azioni concrete. Un salto quantico che ricorda la differenza tra leggere una mappa statica e affidarsi a un navigatore che sa anche prenotarti l’albergo, farti il conto in banca e suggerirti il ristorante con il miglior dumpling in città.
L’aggiornamento dell’app mobile di Baidu non è un mero lifting estetico o un trucco per sembrare più “smart”. La barra di ricerca si è ingigantita, ma soprattutto si è evoluta in un hub multimodale alimentato dal modello AI Ernie, la cui architettura consente di passare da semplici query testuali a input complessi, includendo immagini e richieste articolate come pianificazioni di viaggio o redazioni di report di ricerca. Sì, avete capito bene: non solo trovare risposte, ma affidare a Baidu l’intero lavoro di analisi e sintesi, un po’ come avere un assistente personale sempre pronto e che non sbaglia mai.
Dietro questa trasformazione c’è un esercito di oltre 18.000 agenti AI di terze parti, veri e propri mini programmatori autonomi capaci di scomporre compiti complessi in sottocompiti eseguibili, una forma di intelligenza distribuita che riflette una visione strategica che supera la semplice ricerca, puntando a creare un ecosistema di servizi integrati. L’idea di “espandere i confini della ricerca” da parte di Baidu suona oggi meno come un’iperbole da ufficio marketing e più come una roadmap di trasformazione digitale in piena regola.
Se già immaginate un motore di ricerca che vi aiuta a trovare un monumento con una semplice foto, fornendovi persino un tour audio, o un’app che legge il vostro referto medico e vi suggerisce un’analisi sanitaria, allora avete colto il punto. Non siamo più di fronte a uno strumento passivo, ma a un protagonista attivo della nostra esperienza digitale quotidiana, pronto a interpretare e completare compiti complessi senza affaticare l’utente. È il futuro della ricerca, o meglio, il futuro del modo in cui concepiamo l’interazione con le informazioni.
In un mondo dove il traffico verso i chatbot è cresciuto quasi del 200 per cento in due anni, mentre le ricerche tradizionali languono con un misero +2,38 per cento, Baidu sta giocando d’anticipo. Questa dinamica di crescita mette in crisi il modello storico della ricerca e preannuncia che l’interazione intelligente, multimodale e multitasking sarà la norma. Avere un motore di ricerca che si limita a rispondere con link è ormai come avere un fax nell’era degli smartphone.
Non si tratta solo di tecnologia ma di strategia. La decisione di Baidu di rilasciare in open source la famiglia di modelli Ernie 4.5, mentre continua a sviluppare sistemi proprietari, è una mossa da manuale di gioco a somma zero: stimola un ecosistema di sviluppo e innovazione esterno, alimentando al contempo il proprio vantaggio competitivo. Questa doppia strategia riflette la consapevolezza che l’innovazione in AI non può essere confinata nei laboratori interni, ma deve contaminare l’intero settore per prosperare.
Il panorama cinese non è solo Baidu, ovviamente. Giganti come Alibaba, Tencent e ByteDance stanno tutti scommettendo sull’AI per ristrutturare i loro modelli di business e migliorare la produttività interna. Il coding assistito dall’AI, come il tool Trae di ByteDance, è solo uno degli esempi concreti di come queste tecnologie abbiano già un impatto tangibile sul lavoro quotidiano, riducendo tempi e costi e alzando l’asticella della qualità tecnica.
La trasformazione della ricerca di Baidu è una lezione per l’intero mercato globale. Mentre molti sono ancora inchiodati al paradigma classico di Google, Baidu mostra cosa significhi davvero innovare in modo sostanziale, non solo cosmetico. La smart box non è solo un input più grande: è una metafora di come l’intelligenza artificiale si stia ritagliando un ruolo centrale non più come semplice supporto, ma come attore chiave e autonomo nei sistemi digitali.
In fondo, se l’intelligenza artificiale non riesce a trasformare uno degli strumenti più usati al mondo come la ricerca online, allora quale sarebbe la sua ragion d’essere? Baidu sembra aver trovato la risposta: non accontentarsi di mostrare informazioni, ma diventare la piattaforma in cui ogni ricerca si traduce in un’azione concreta e un risultato tangibile, mettendo in crisi quel vecchio modello di motore di ricerca come mero archivio di link.
In un ecosistema dove le AI agent diventano mini manager autonomi, capaci di orchestrare risorse e compiti senza l’intervento umano, il futuro si fa decisamente meno passivo e più interattivo. Baidu sta lanciando un messaggio chiaro a tutto il mercato: la prossima generazione di ricerca online non sarà più solo una questione di query e risultati, ma di collaborazione intelligente e continua con le macchine. Se volete sapere cosa significhi davvero digitalizzare e potenziare la ricerca, meglio guardare a Pechino.