Huawei ha appena rilasciato come open source due modelli della sua famiglia Pangu e una serie di tecnologie di reasoning. Una mossa concertata non per mera filantropia tech ma per collocare i suoi chip Ascend nel cuore di migliaia di servizi enterprise. L’obiettivo è chiaro: chi adotta i modelli Pangu, sempre più ottimizzati solo per Ascend, sarà poi spinto – quasi inevitabilmente – verso l’hardware proprietario Huawei.

La strategia non è solo convoluzione hardware‑software, ma un’architettura verticale simile a quella di Google: chip, software, toolchain, piattaforma cloud. Questo crea un lock-in pesante, attirando milioni di sviluppatori e partner globali. Alla fine apri il modello perché è gratis, ma poi paghi l’integrazione e la performance via Ascend.

Con le sanzioni statunitensi che ammazzano l’accesso da parte cinese all’hardware Nvidia, l’open source diventa ariete politico. La strategia è chiara: “weaponizzare” il Pangu per convincere governi e imprese – soprattutto nei Paesi in via di sviluppo – che Ascend sia un’alternativa credibile e cost-effective.

Non tutto è rose e fiori: gli ingegneri denunciano bug, crash e una stabilità incerta di Cann, la contro-CUDA di Huawei. Gli Ascend 910C vanno forte in inferenza, circa il 60% di un H100, ma fanno fatica nei training pesanti. Yield di produzione balzati al 40%, ma il divario tecnologico con Nvidia resta ampio.

Per colmare i gap, Huawei ha svelato il CloudMatrix 384: 384 chip Ascend 910C collegati in cluster per un totale di 300 petaflop BF16 – circa l’1,6× rispetto alla pari Nvidia NVL72, ma a un prezzo energetico quadruplo. Una dimostrazione di forza sistemica: se manca la qualità per chip, si scala la quantità.

Questo non è solo un gioco tecnico: è una strategia geopolitica e commerciale. L’open source diventa “arma economica”: i modelli spingono hardware, l’hardware spinge adozione, l’adozione crea dati e attenzione. In mercati dove il costo e la sovranità contano più della performance assoluta, il pacchetto Pangu–Ascend ha logica e appeal.

I chip Ascend 910C sono nati nel 2019, eppure ora si ritrovano al centro di un ecosistema che punta alla leadership “per numero” più che per classe. E tra le pieghe delle notizie emerge che Huawei sarebbe disposta a barattare performance all’avanguardia con standard energetici meno stringenti – sfruttando il costo dell’energia cinese.

Metti un ingegnere che si imbatte in bug notturni, un CEO che sbandiera open source come cavalcata di sovranità digitale, un cluster mostruoso che spara petaflop nella notte cinese, e il lettore rimane agganciato, pagina dopo pagina. Nessuna morale, solo potenza.

La keyword principale “open source models Huawei Ascend” gioca in sinergia con keyword semantiche come “Pangu ecosystem”, “Ascend inference performance” e “CloudMatrix 384 petaflops”. L’ottica SEO punta a dominare i risultati SGE su temi di AI geopolitica e stack verticale.

Huawei non ha rinunciato alla rincorsa a Nvidia: l’ha remixata. Invece di sprintare nel silicio, ha scelto un percorso ibrido tra software libero e potenza brute-force hardware. Ciò che manca in un solo chip, lo compensano in massa. Il risultato? Un ecosistema che ridefinisce le regole: chi entra nel Pangu, entra nell’Ascend. Aquila o gallina? Dipende se ti accontenti di volare alto o dominare l’allevamento.