Quando l’Europa dice di voler diventare leader mondiale nel quantum entro il 2030, non sta facendo una promessa, sta tentando un esorcismo. Il linguaggio ufficiale è pieno di buone intenzioni: infrastrutture condivise, investimenti coordinati, sovranità tecnologica, collaborazione pubblico-privato, convergenza dual-use con lo spazio. Ma sotto la superficie elegante del comunicato strategico, si nasconde una tensione molto più profonda: l’Europa ha finalmente capito che la rivoluzione quantistica non è solo una questione di scienza, ma di potere.
Il quantum non è una tecnologia: è una frattura epistemologica. È ciò che trasforma il concetto stesso di informazione, spostandolo dal determinismo binario alla probabilità entangled. E come ogni cambiamento radicale nella logica computazionale, ridefinisce l’equilibrio geopolitico tra chi crea i paradigmi e chi li subisce. L’Europa è storicamente abile a teorizzare le rivoluzioni altrui. Ma stavolta ha deciso di intervenire, almeno sulla carta.
Lo dice esplicitamente la nuova strategia quantistica europea: il quantum è infrastruttura, è industria, è questione di sovranità. È un raro momento di lucidità politica. In un’epoca in cui ogni frammento di autonomia tecnologica si gioca tra cloud, semiconduttori, intelligenza artificiale e supply chain rarefatte, il quantum è l’ultimo terreno vergine dove non tutto è ancora stato deciso. E quindi l’Europa vuole decidere. Ma la domanda è: ha i mezzi per farlo?
Cominciamo dai numeri. Cinquanta milioni di euro per le linee pilota di produzione di chip quantistici. In un contesto dove Google, IBM, e le startup americane e cinesi più aggressive bruciano cifre dieci volte superiori solo per mantenere le loro roadmap. È un investimento simbolico, che serve più a dichiarare presenza che a costruire vantaggio competitivo. La produzione di chip quantici non è solo questione di ingegneria: richiede ecosistemi verticali, catene di fornitura ultra-specializzate, e accesso preferenziale a materiali e competenze che l’Europa ha smantellato o delocalizzato negli ultimi trent’anni. I wafer non mentono.
Poi c’è l’internet quantistico. Bellissima idea, naturalmente. Ma un testbed europeo per la comunicazione quantistica a lungo raggio deve fare i conti con la logistica continentale: normative divergenti, infrastrutture di telecomunicazione disomogenee, e un’ossessione per la privacy che potrebbe rallentare l’interoperabilità. Il problema non è tecnico, è culturale. Perché mentre negli Stati Uniti si sperimenta in ambienti militari e commerciali a briglia sciolta, in Europa si è ancora alla fase del dibattito etico. Entanglement sì, ma con consenso informato e firma digitale.
Il vero gioiello della strategia, se vogliamo essere onesti, è l’Academy. Una Quantum Skills Academy europea, prevista per il 2026, per formare la prossima generazione di talenti. Qui l’intuizione è corretta e urgente. Non esiste un’industria senza persone che la sappiano costruire. Ma la formazione avanzata richiede tempo, motivazione, e soprattutto un mercato attrattivo. Oggi un laureato brillante in fisica quantistica ha due opzioni: emigrare verso Boston, Toronto o Shenzhen, oppure finire in un consorzio europeo dove il budget si discute tra sei ministeri e dodici agenzie. La fuga dei cervelli non è una metafora: è un flusso quantificabile e in crescita.
Il contesto privato non aiuta. Solo il 5% degli investimenti globali nel settore quantistico viene dall’Europa. È un numero umiliante, ma anche illuminante. Non basta lanciare strategie e white paper se non si riesce a mobilitare capitale di rischio, venture fund aggressivi, e politiche fiscali favorevoli alla deep tech. Manca ancora il coraggio di fallire, che è il prerequisito per l’innovazione reale. Invece l’Europa continua a premiare la progettualità disciplinata e i KPI misurabili, in un settore che vive di incertezza, salti quantici e intuizioni borderline.
La buona notizia è che qualcosa si muove. L’integrazione strategica con l’Agenzia Spaziale Europea e con le difese nazionali suggerisce una consapevolezza crescente che il quantum è anche una questione di sicurezza. Le reti quantistiche potrebbero blindare le comunicazioni strategiche, ma solo se costruite in tempo. E il tempo, in questa corsa, è la variabile più quantica di tutte: si contrae, si espande, e non aspetta nessuno.
Ma attenzione alle illusioni ottiche. Chiamare “strategia” un insieme di intenzioni è pericoloso. Una strategia vera richiede scelta, rinuncia, e una visione sistemica. Serve decidere chi guida: i centri di ricerca pubblici, le startup, o le grandi aziende telecom? Serve unificazione normativa, armonizzazione fiscale, e un’agenzia centrale con potere di coordinamento, non un altro cluster pan-europeo da presentare a Davos.
E poi serve una narrazione. Il quantum è un oggetto difficile da raccontare. Troppo tecnico per i policy maker, troppo etereo per gli investitori, troppo distopico per i cittadini. Ma senza una narrativa potente, anche l’innovazione più radicale resta nel cassetto. Gli Stati Uniti hanno il DARPA, la Cina ha le cinque linee guida del PCC, Israele ha l’unità 8200. L’Europa ha Horizon Europe. Il che è utile, ma non esattamente memorabile.
Il paradosso è che sul fronte della ricerca di base l’Europa è tutt’altro che marginale. Alcuni dei più importanti sviluppi teorici e sperimentali del quantum computing, del sensing e della crittografia quantistica nascono in laboratori tedeschi, francesi, o austriaci. Ma la traduzione industriale di queste scoperte è lenta, parcellizzata, e spesso priva di follow-up commerciale. È il classico difetto europeo: eccellenza accademica senza sbocco produttivo. Un continente di geni senza fabbrica.
E quindi eccoci qui, a osservare una strategia che promette molto ma rischia di incagliarsi nei soliti ostacoli: frammentazione, burocrazia, e mancanza di ambizione capitalistica. Il quantum, invece, richiede centralizzazione, rischio, e la capacità di pensare a vent’anni, non a cinque. La domanda che dobbiamo farci è semplice: l’Europa vuole davvero giocare per vincere, o si accontenta di essere un dignitoso secondo violino con sovranità limitata?
Come ci ricorda spesso The Quantum Insider, le strategie non sono statiche: sono onde che si propagano. Ma un’onda senza massa critica si disperde. E nel mondo del quantum, dove l’osservatore modifica il sistema, anche l’Europa dovrà scegliere se essere spettatrice della storia o collassare la funzione d’onda a suo favore. Prima che sia troppo tardi.