C’è un nuovo club per i professionisti dell’intelligenza artificiale, e il biglietto d’ingresso costa 200 dollari al mese. Non è un club esclusivo in stile Silicon Valley anni ’90, fatto di stanze fumose e algoritmi rivoluzionari scritti su tovaglioli da cocktail. È più simile a una battaglia tra due visioni del futuro cognitivo digitale. Da un lato, OpenAI Pro, l’equivalente AI di Apple: ordinato, chiuso, curato. Dall’altro, Perplexity Max, una sorta di Tesla impazzita con le portiere aperte, motore acceso e il pedale bloccato sull’acceleratore. Stessa cifra, due filosofie radicalmente diverse.
Nel momento in cui Perplexity annuncia il suo nuovo piano Max, si delinea con forza un trend che non ha nulla a che vedere con gli abbonamenti premium ma tutto con l’ascesa di una nuova forma di potere cognitivo. Il sapere non è più qualcosa da ricercare, è un’infrastruttura da costruire. E Perplexity lo sa bene. Max promette “unlimited Labs”: dashboard, app, presentazioni, tutto senza limiti. Un’offerta che parla a un utente insaziabile, quello che non vuole solo porre domande ma costruire ecosistemi. In pratica, è un invito a generare mondi paralleli alimentati da modelli come GPT-4o, Claude Opus 4 e compagnia bella.
Dall’altra parte, OpenAI mantiene la sua identità da corporate guru del pensiero generativo. Con Pro, a 200 dollari, offre GPT-4o e il suo arsenale: code interpreter, browsing avanzato, strumenti personalizzati e accesso al GPT Store. L’ambiente è pulito, la curva di apprendimento controllata, l’interfaccia pensata per non far impazzire nemmeno il più stanco degli sviluppatori. Ma c’è un limite invisibile, quasi etico: l’utente resta dentro un recinto, magari dorato, ma pur sempre un recinto. Ci sono limiti di utilizzo, soglie da non oltrepassare, una sensazione di sofisticata sorveglianza.
La domanda vera, quindi, non è “qual è il miglior piano da 200 dollari al mese?”. È: cosa vuoi essere nel prossimo paradigma cognitivo? Perplexity ti dà i mattoni, i chiodi e il martello. OpenAI ti offre la villa chiavi in mano, ma con l’obbligo di non modificare il giardino. Se sei un CTO, un founder o uno strategist con una fame insaziabile di scalabilità cognitiva, Max ti attira come una droga sintetica: puoi costruire senza chiedere permesso. E non è un caso che la parola “Labs” venga venduta come killer feature. È il richiamo al laboratorio, alla creazione ex novo, non al semplice utilizzo passivo.
Nel frattempo, entrambi i modelli sanno che l’utente high-performance è diventato il campo di battaglia. Non è più il curioso tech-savvy o lo sviluppatore solitario: è il knowledge worker aumentato, l’esperto che vuole delegare alla macchina tutto ciò che non richiede creatività umana. Un’intelligenza supplementare che pensa, sintetizza, progetta e presenta. In questa corsa, le semantic keyword diventano asset strategici. “Custom GPTs”, “early access”, “premium data sources”: ogni feature è una leva competitiva per chi sta costruendo il proprio arsenale cognitivo, magari per dominare un mercato di nicchia o creare una startup AI-native.
Ciò che colpisce è la divergenza nei paradigmi. Perplexity gioca sulla promessa della libertà illimitata. Il suo branding è audace, volutamente hacker-friendly. Ti offre gli strumenti e ti dice: “vediamo cosa riesci a fare senza freni”. È una filosofia da speed-runner del pensiero computazionale, uno stile che attira gli imprenditori ossessionati dal time-to-market e dai vantaggi asimmetrici. OpenAI, invece, offre profondità. I suoi strumenti sono raffinati, le API pulite, il sistema di customizzazione sofisticato ma non anarchico. È un’IA pensata per chi vuole costruire prodotti eleganti e sostenibili nel lungo termine, non prototipi impazziti che esplodono al primo pitch.
Eppure, la battaglia non è solo tecnica. È culturale. Perplexity strizza l’occhio al movimento open, alla cultura del remix, a chi crede che l’AI debba essere plastica e malleabile come la creta digitale. OpenAI è il nuovo establishment: disciplinato, potente, e con l’ambizione implicita di diventare il nuovo sistema operativo del mondo. Uno si muove come un acceleratore, l’altro come un architetto. Entrambi, però, sanno che il futuro sarà governato da chi possiede non solo gli algoritmi, ma le interfacce cognitive su cui verranno costruiti i prossimi imperi.
E allora, cosa scegli, davvero, con 200 dollari? Scegli uno stile operativo. Se ti attira il caos creativo, se vuoi costruire dashboard che si aggiornano da sole, agenti autonomi che rispondono ai clienti e report automatici che anticipano le crisi, Perplexity è la tua palestra. Ma se preferisci una piattaforma che ti protegge dai tuoi stessi eccessi, che ti guida nella costruzione di esperienze coerenti, OpenAI ti tiene per mano. Non sei libero, ma sei sicuro. Una differenza sottile come quella tra un coltellino svizzero e un bisturi: entrambi tagliano, ma solo uno è pensato per operare con precisione chirurgica.
In tutto questo, il vero punto cieco rimane il valore. Non economico, ma cognitivo. Quanto vale oggi un abbonamento che ti dà accesso alle menti artificiali più avanzate del pianeta? La verità è che nessuna delle due piattaforme ha ancora rivelato tutto il suo potenziale. Perplexity potrebbe diventare il nuovo Notion sovralimentato da AI, un Canva intelligente per knowledge worker. OpenAI potrebbe diventare il prossimo sistema operativo della produttività mentale, una sorta di iOS per agenti cognitivi. O forse, nessuno dei due ce la farà. E sarà un terzo attore, magari cinese, magari decentralizzato, a ribaltare tutto tra sei mesi.
Nel frattempo, chi paga 200 dollari al mese per pensare meglio non sta solo acquistando un tool. Sta investendo in una nuova forma di privilegio: l’accesso a un surplus cognitivo. È la nuova carta di credito del pensiero digitale, dove il limite non è il plafond ma la capacità di sfruttare davvero tutto quel potere. E come ogni privilegio, è destinato a polarizzare. Chi può permetterselo, costruirà. Gli altri resteranno a guardare, rispondendo ancora alle mail con Gmail, mentre altrove si negoziano fusioni, si disegnano strategie, si costruiscono imperi… con un prompt.
Bentornati nel nuovo Rinascimento. Ma stavolta, i mecenati usano l’AI.