Nel vortice mediatico e politico che ha accompagnato l’elezione di Leone XIV il 3 maggio 2025, è stato subito chiaro che quel pontificato avrebbe segnato una cesura netta con l’era di Papa Francesco. Mentre il predecessore aveva incarnato l’immagine di un pastore dalla forte impronta sociale e ambientale, attento ai poveri e alle periferie del mondo, Leone XIV si presenta come il pontefice del nuovo millennio digitale, il primo a fare dell’intelligenza artificiale un tema centrale e ricorrente del proprio magistero. Se Francesco aveva parlato soprattutto con il cuore e il tono della misericordia, Leone XIV sembra rivolgersi alla mente, con un linguaggio che fonde teologia e tecnologie emergenti, un mix di pragmatismo e profondità filosofica che non lascia spazio a fraintendimenti.

È una differenza di accento e di priorità, ma non solo. Mentre Francesco aveva affrontato il digitale come sfondo di questioni più ampie, Leone XIV ha scelto di mettere l’IA al centro del dibattito etico e politico globale, trasformandola in una sorta di catalizzatore per la riflessione su cosa significhi oggi essere umani in un mondo ormai dominato dalle macchine intelligenti. Non è un caso che già a poco più di un mese dall’inizio del suo pontificato il Papa abbia pronunciato ben sette interventi pubblici dedicati esplicitamente all’intelligenza artificiale, un livello di attenzione mai visto prima.

Il nuovo pontefice non si limita a richiamare alla prudenza, ma costruisce una vera e propria dottrina sociale dell’algoritmo. Nel discorso del 21 giugno, durante il Giubileo dei Governanti, Leone XIV ha affermato con tono perentorio: “La vita personale vale molto più di un algoritmo e le relazioni sociali necessitano di spazi umani ben superiori agli schemi limitati che qualsiasi macchina senz’anima possa preconfezionare”. È una dichiarazione che rimette al centro dell’attenzione la singolarità umana, opponendosi con forza alla tentazione tecnocratica di delegare all’IA anche ciò che riguarda la nostra memoria creativa, quel tessuto dinamico che intreccia passato, presente e futuro in un flusso di senso unico, inimitabile.

Non è dunque una mera questione di timore o nostalgia, ma una scelta consapevole di affermare che solo l’essere umano è capace di “generare senso”, una parola che il Papa riprende volutamente dal gergo tecnico dell’IA generativa, per rovesciarne il significato. La tecnologia è uno strumento potente, ma non può diventare un deus ex machina che assume il controllo ontologico dell’umano.

Già nel suo primo incontro con i media, il 12 maggio, Leone XIV aveva tracciato i contorni di questo approccio: “L’intelligenza artificiale ha un potenziale immenso, ma richiede responsabilità e discernimento. Questa responsabilità non è solo degli esperti, ma di tutti, in proporzione all’età e al ruolo sociale”. Un invito implicito a non lasciare la regolamentazione dell’IA nelle mani di pochi tecnici o delle grandi aziende tecnologiche, spesso autoproclamatesi arbitri morali con finalità più di marketing che etiche.

Il 16 maggio, durante il discorso al Corpo diplomatico, Leone XIV inserisce l’IA tra le sfide che sollecitano le coscienze globali, accostandola a temi come le migrazioni e la tutela del creato. Non un accostamento casuale: l’IA è riconosciuta come forza trasformativa globale, ma anche come potenziale fonte di nuove esclusioni se lasciata senza governance. Il Papa avverte contro la tentazione di idolatrare l’efficienza, tema caro a molte culture tecnologiche, e rilancia un appello a un confronto coraggioso sul significato profondo della dignità umana.

L’intervento più significativo arriva il 17 giugno, in una conferenza internazionale dedicata a IA, etica e governance d’impresa, dove Leone XIV propone un quadro di “riflessione profonda e dibattito costante”. La Chiesa, dice, vuole essere un interlocutore credibile e sereno nel dialogo tra sviluppo tecnologico e bene comune. L’intelligenza artificiale deve essere valutata alla luce dello “sviluppo integrale della persona e della società”, tenendo insieme dimensioni materiali, culturali e spirituali, respingendo l’idea di una tecnologia neutra, estranea al giudizio etico.

Le reazioni della stampa estera sono inattese, soprattutto per un tema così tecnico e delicato. The Guardian definisce Leone XIV “una voce lucida in un’epoca dominata dal dogma dell’ottimismo tecnologico”, mentre il New York Times lo celebra come uno dei pochi leader globali capaci di un linguaggio etico comprensibile anche agli ingegneri, suggerendo un ritorno della Chiesa nel dibattito morale contemporaneo dopo anni di silenzio. Le Monde avanza qualche dubbio, temendo che l’antropocentrismo papale possa diventare tecnoscetticismo, ma riconosce il richiamo al discernimento. Il Frankfurter Allgemeine Zeitung apprezza l’approccio sistemico, utile per l’etica algoritmica europea.

In Italia, Avvenire si spinge oltre, parlando di una Chiesa che “torna a farsi sentire nel cuore della fabbrica digitale”. Marco Tarquinio evidenzia che Leone XIV non teme l’intelligenza artificiale, ma la mancanza di intelligenza spirituale tra chi la crea, suggerendo una visione della tecnica come servizio e non sostituto. Nelle analisi culturali si parla apertamente di una “pastorale dell’algoritmo”, per accompagnare i fedeli nella comprensione di queste nuove forme di potere invisibile.

Sorprende la velocità con cui Leone XIV ha fatto dell’IA uno dei pilastri del suo magistero. Non solo per la frequenza degli interventi, ma per un linguaggio che evita l’eccesso tecnico e l’astrazione teologica, proponendo un dialogo diretto con legislatori, imprenditori, educatori e scienziati, insomma con chi plasma concretamente il nostro rapporto quotidiano con la tecnologia.

Nei corridoi vaticani si percepisce un interesse concreto. Si parla di un documento in preparazione da parte del Dicastero per la Dottrina della Fede sull’uso dell’IA nelle decisioni ecclesiali, mentre il Consiglio Pontificio per la Cultura ha aperto un dossier sugli effetti degli algoritmi nella liturgia e catechesi. Addirittura, si valuta l’introduzione sperimentale di strumenti di intelligenza artificiale per supportare la preparazione alle confessioni in santuari internazionali, un segnale forte della volontà di non lasciare che siano solo le multinazionali a dettare le regole del gioco.

Leone XIV ha incontrato sviluppatori di IA open source e ha incaricato la Pontificia Accademia per la Vita di avviare un dialogo strutturato con i maggiori player globali, da OpenAI a Google DeepMind, da Anthropic al “Vaticano digitale”. L’obiettivo è chiaro: evitare che la tecnologia diventi una nuova forma di colonizzazione culturale, proteggendo non solo i poveri del Sud, ma anche gli “smarriti” del Nord algoritmico, quelli che delegano ai suggerimenti automatici una parte crescente del proprio pensiero.

Il Papa sta costruendo una teologia dell’algoritmo che non rinnega la modernità, ma ne denuncia l’idolatria. Dove l’industria celebra la “disruption”, lui invoca la “sapienza del limite”. Dove il mondo tecnologico esalta il prompt, lui difende la preghiera. Non è chiaro se tutto questo porterà a cambiamenti immediati, ma è certo che il Vaticano non si accontenta di essere spettatore. La sfida è semplice: mantenere l’umano al centro, anche quando l’umano rischia di essere superato da ciò che ha creato. E Leone XIV sa bene che l’unica vera resistenza possibile è quella dell’intelligenza spirituale, che nessun algoritmo potrà mai sostituire.