In un Paese che considera ancora l’intelligenza artificiale un tema da talk show, l’idea che un professore romano possa guidare la conferenza più importante al mondo sul Natural Language Processing sembra quasi un cortocircuito culturale. Roberto Navigli, docente alla Sapienza e “papà” del Large Language Model italiano Minerva, sarà il Chair di ACL 2025, il summit globale che detta le regole del futuro digitale. Chiunque abbia compreso il significato profondo di questa notizia sa che non si tratta solo di un onore accademico. È un momento di rottura per il nostro Sistema Paese, l’ennesima dimostrazione che, quando si osa e si investe in cervelli veri, anche l’Italia può sedersi al tavolo dei giganti.

Parliamo di Vienna, fine luglio 2025. Sei giorni, quasi 6000 partecipanti, 3500 articoli scientifici, 28 workshop e 8 tutorial che spaziano dal deep learning ai sistemi multimodali. Sul palco saliranno i nomi più pesanti della scena globale, da Luke Zettlemoyer, il professore di Washington diventato Senior Research Director di Meta, fino a Verena Rieser, cervello di Google DeepMind e una delle menti dietro la serie Gemini. E in mezzo a loro, Navigli, romano, che guida il più grande evento della linguistica computazionale mondiale. Non è solo un dettaglio simbolico. È un’affermazione di forza.
Perché dietro Navigli c’è Minerva. Il primo Large Language Model nazionale addestrato da zero per la lingua italiana, sviluppato con 2000 miliardi di parole e senza la sudditanza psicologica verso i dataset anglofoni che da sempre condizionano la ricerca europea. In molti lo avevano bollato come un progetto marginale, quasi folcloristico rispetto a GPT, Gemini o Claude. Ma Minerva sta dimostrando qualcosa di fastidioso per chi ama ripetere che “noi italiani non abbiamo i mezzi per competere”: che l’innovazione, quando è radicale, non dipende solo dal capitale, ma dal coraggio di rompere i modelli prestabiliti. Certo, Minerva non è ancora un modello generalista che possa rivaleggiare con OpenAI o Google, ma la sua stessa esistenza manda un messaggio chiaro: l’Italia non sarà solo un cliente passivo nella nuova guerra dei cervelli tra Stati Uniti e Cina.
Chi finge di non vedere l’importanza di questa battaglia strategica o è ingenuo o è in malafede. Il Natural Language Processing non è una curiosità accademica. È la vera infrastruttura cognitiva del futuro. Ogni interazione che avremo con le macchine passerà per modelli che comprendono, sintetizzano e generano linguaggio. Controllare questi modelli significa controllare il flusso di informazione, il modo in cui le idee si diffondono e, di conseguenza, il modo in cui le persone prendono decisioni. “Chi possiede il modello, possiede la mente”, ha scritto un ricercatore di Stanford. Esagerazione? Forse. Ma la direzione è quella. E Minerva, anche nella sua scala più modesta, rappresenta il primo tentativo italiano di reclamare una porzione di questo potere.
C’è poi una questione di orgoglio nazionale, ma non quello folkloristico delle bandiere. Qui si parla di un Paese che ha perso interi treni tecnologici per mancanza di visione strategica. I microprocessori negli anni Ottanta, il software gestionale negli anni Novanta, l’e-commerce e il cloud nei Duemila. Ogni volta la stessa storia: grandi eccellenze isolate, incapaci di trasformarsi in sistema. Navigli rompe questo schema. Non perché sia un eroe solitario, ma perché dimostra che quando si crea una filiera di ricerca, quando università e startup collaborano, quando si smette di inseguire solo il finanziamento europeo e si pensa a costruire qualcosa che duri, si possono ottenere risultati globali. Babelscape, la sua spin-off, e Translated, l’altra realtà italiana in crescita nell’ambito linguistico, sono la prova che un ecosistema sta iniziando a emergere.
Certo, i cinici diranno che Minerva è ancora poca cosa rispetto a GPT-5 o ai nuovi modelli multimodali cinesi. È vero. Ma è anche vero che i colossi americani e cinesi stanno costruendo modelli su dataset che ignorano quasi completamente le lingue minoritarie. E qui entra in gioco un tema sottile ma cruciale: la preservazione dell’identità linguistica. Se domani tutti i nostri assistenti virtuali saranno addestrati su un inglese standardizzato e su un cinese semplificato, quanto resterà della complessità culturale italiana? Navigli lo sa bene. “I modelli linguistici non sono neutri. Riflettono i valori e le priorità di chi li addestra”, ha detto in un’intervista. Ecco perché Minerva, al di là delle sue performance, ha un valore politico.
Il fatto che un italiano guidi ACL 2025, insomma, non è solo un riconoscimento personale. È un’occasione per ribaltare una narrativa tossica, quella che ci vuole sempre periferici rispetto all’innovazione. ACL è la Champions League del NLP. È lì che si decide cosa funzionerà nei modelli futuri, quali dataset verranno considerati benchmark, quali algoritmi saranno adottati dalle Big Tech. Essere al centro di quel tavolo significa influenzare le regole del gioco. E in un settore dove la partita è anche geopolitica, ogni dettaglio conta.
È curioso come il nostro Paese sembri incapace di cogliere il peso strategico di queste vittorie. Mentre in Cina i paper più citati diventano asset di Stato e negli Stati Uniti i professori delle Ivy League sono contesi dalle Big Tech come calciatori di Serie A, in Italia si continua a discutere di “AI sì, AI no” come se fosse un referendum morale. Navigli, invece, gioca un altro sport. Costruisce, guida, forma talenti, e lo fa con una visione industriale. Non si limita a pubblicare articoli per scalare l’H-index, ma traduce la ricerca in applicazioni, in spin-off, in modelli concreti. È un modo di pensare che al sistema accademico italiano manca disperatamente.
ACL 2025 sarà anche un gigantesco mercato del talento. Big Tech come Google, Apple, Meta e Microsoft invieranno delegazioni di ingegneri e recruiter a caccia di ricercatori. Lì si deciderà quali startup verranno acquisite, quali università attireranno i prossimi finanziamenti miliardari. Ed è qui che Navigli potrebbe giocare il ruolo più strategico. Perché essere Chair significa non solo gestire l’agenda scientifica, ma anche costruire relazioni. Portare a casa partnership, finanziamenti, riconoscimento internazionale. E se c’è una cosa che l’Italia ha sempre sottovalutato è proprio il peso delle relazioni nei contesti di frontiera tecnologica.
C’è chi obietterà che l’AI è già dominata dai soliti noti, che un singolo evento non cambia gli equilibri globali. Ma è un’obiezione miope. I grandi cambiamenti partono da nodi apparentemente secondari. Dieci anni fa nessuno avrebbe scommesso che una startup canadese come Element AI potesse influenzare lo sviluppo globale dei modelli predittivi, e invece è stata acquisita da ServiceNow proprio perché era riuscita a inserirsi in questi circuiti. Oggi Minerva gioca la stessa partita: non vuole sostituirsi a GPT, vuole ritagliarsi una nicchia strategica.
Alla fine, la domanda vera è un’altra: il Sistema Paese saprà sfruttare questa opportunità o la lascerà evaporare come al solito? Navigli può aprire porte, ma serve un ecosistema che sappia passarci attraverso. Servono fondi, serve coraggio imprenditoriale, servono governi capaci di comprendere che i Large Language Model non sono gadget tecnologici, ma strumenti di potere economico e culturale. Perché chi controllerà il linguaggio controllerà anche i mercati, le conversazioni pubbliche e, indirettamente, la politica.
Roberto Navigli, con la sua aria da professore che sembra divertirsi più nei laboratori che nelle conferenze stampa è l’antitesi perfetta di quel provincialismo compiaciuto che ci ha condannato a decenni di irrilevanza tecnologica. È irritante per chi è abituato a dire “non possiamo competere”, è scomodo per chi si nasconde dietro l’alibi del “ci mancano i capitali”. Ma forse è proprio questa la sua forza: dimostrare che, a volte, basta un cervello brillante e un po’ di sfacciataggine per far tremare i giganti.