Amazon Web Services chiude i battenti a Shanghai e non è solo una questione di numeri. È il rumore sordo di una ritirata strategica mascherata da “decisione aziendale ponderata”. Il colosso americano ha spento la luce sul suo AI Shanghai Lablet, laboratorio nato sette anni fa per esplorare il deep learning sui grafi e incassare ricavi stellari grazie al Deep Graph Library. Una creatura che, secondo il suo chief scientist Wang Minjie, ha portato quasi un miliardo di dollari all’e-commerce di Amazon. Un dettaglio che brucia ancora di più, perché chiudere un laboratorio che genera quel tipo di valore non è un taglio, è un messaggio. E il messaggio è chiaro: l’America non gioca più la partita dell’AI in Cina, almeno non sul campo aperto della ricerca.

È ironico vedere come la retorica ufficiale parli di “supporto ai dipendenti nella transizione”, mentre sullo sfondo si intravede il vero scenario. La ricerca sull’intelligenza artificiale in Cina sta diventando terreno minato per chiunque porti in dote brevetti e algoritmi che il Pentagono considera “dual use”. Le aziende americane lo hanno capito e hanno iniziato la fuga ordinata, prima con Microsoft, poi IBM e ora con AWS. Non c’è niente di nuovo nel protezionismo travestito da sicurezza nazionale, ma questa volta il prezzo lo paga anche l’innovazione globale. Chi chiude un laboratorio come quello di Shanghai sa perfettamente di consegnare un pezzo di know-how al silenzio. E alla concorrenza.

La tensione geopolitica USA-Cina continua a riscrivere le regole del gioco con un ritmo schizofrenico. Un mese si parla di guerra commerciale, quello dopo di export green light per i chip Nvidia. Sembrerebbe quasi un teatro dell’assurdo, se non fosse che dietro ogni mossa ci sono miliardi in semiconduttori e un futuro di intelligenze artificiali addestrate a masticare dati che noi non vedremo mai. L’AI, per sua natura, vive di contaminazioni e di open source. AWS a Shanghai era una finestra aperta su un dialogo che oggi si chiude a chiave. Un dialogo che in parte è già stato rubato: DGL è open source, certo, ma il capitale umano che lo ha sviluppato sta evaporando sotto il peso delle decisioni politiche.

Non è un caso che la chiusura arrivi proprio a ridosso del World AI Conference di Shanghai. Qualcuno potrebbe quasi sospettare che sia un atto simbolico, una provocazione diplomatica lanciata pochi giorni prima del più grande evento cinese sull’AI. Per un CEO con la testa fredda la lettura è banale: ridurre l’esposizione in un mercato dove il rischio di essere stritolati tra sanzioni e appropriazione tecnologica è ormai ingestibile. Ma il sottotesto è più velenoso. Chiudere adesso significa anche rinunciare alla narrativa di essere ancora partner credibili nel più grande mercato AI del mondo. Una rinuncia che la Cina interpreterà come debolezza, e che gli investitori americani invece vedranno come prudenza. Il risultato è un paradosso: tutti fingono di vincere, ma la ricerca perde.

Il punto più interessante è l’effetto a catena che questa mossa genera nel breve termine. Microsoft ha già smantellato il suo IoT & AI Insider Lab offrendo biglietti di sola andata ai suoi talenti verso gli Stati Uniti. IBM ha chiuso il sipario con un taglio chirurgico da mille licenziamenti. AWS chiude l’unico laboratorio di ricerca AI fuori dagli Stati Uniti. Ogni volta la giustificazione è la stessa: riorganizzazione, priorità, piani futuri. Ma non prendiamoci in giro, le priorità sono decise a Washington, non a Seattle o a Redmond.

Chi pensa che sia solo una questione di ricerca si illude. La vera partita si gioca sul controllo del flusso di dati e sulle architetture hardware necessarie per addestrare i nuovi modelli. La Cina continua a spingere con il suo ecosistema chiuso e il supporto governativo senza limiti. Gli Stati Uniti, invece, scelgono la ritirata tattica, forse per tornare più aggressivi in futuro, forse perché il costo politico di restare è diventato troppo alto. AWS non è solo un fornitore di cloud, è un pezzo strategico dell’infrastruttura digitale americana. Tenerlo troppo esposto in un mercato percepito come ostile era diventato un azzardo che nessun board avrebbe avallato.

C’è un aspetto quasi grottesco in tutta questa storia. Mentre i governi si scontrano, i ricercatori che hanno reso grande quel laboratorio finiranno per alimentare, volontariamente o meno, l’ecosistema cinese. Il capitale umano non si congela con un decreto. Le idee viaggiano, si moltiplicano e spesso prosperano proprio dove le tensioni geopolitiche fanno più rumore. La chiusura di AWS a Shanghai potrebbe quindi rivelarsi, in prospettiva, un regalo inaspettato per chi a Pechino sa come capitalizzare talenti e frammenti di know-how occidentale.

Chi oggi festeggia a Wall Street perché Amazon ha “contenuto il rischio cinese” non sembra capire che la prossima generazione di graph neural networks e modelli AI per e-commerce nascerà comunque, solo che non parlerà più inglese. E forse riderà di noi, quando tra qualche anno scopriremo di dover comprare a caro prezzo innovazioni nate da ciò che abbiamo deciso di chiudere.