Trump non ha mai amato i paradossi, li cavalca. L’AI, simbolo di progresso e di quella Silicon Valley che finge di odiare, si alimenterà di carbone, gas e vecchie centrali rianimate come zombie industriali. A Pittsburgh, davanti a un pubblico che rideva complice, ha dichiarato che “il più importante uomo del giorno” è Lee Zeldin, il nuovo capo dell’EPA, che “vi darà un permesso per la più grande centrale elettrica del mondo in una settimana”. Applausi. Il messaggio subliminale era chiaro: chi se ne importa delle regole, qui si torna a trivellare, bruciare e produrre elettricità sporca, perché l’intelligenza artificiale ha fame e la fame non aspetta.

Chi credeva che l’AI sarebbe stata il motore di una rivoluzione green si prepari a un brusco risveglio. Trump ha fatto del suo mandato un’ode al fossile, definendo “troppo costoso fare le cose in modo ambientalmente pulito”. Lo ha detto senza imbarazzo, in un’intervista con Joe Rogan, e ha mantenuto la promessa: licenziamenti di massa all’EPA, via libera a gasdotti e centrali, e un’agenda che sembra scritta dai lobbisti del petrolio. Zeldin non ne fa mistero, vuole “rendere l’America la capitale mondiale dell’AI” smantellando ogni barriera regolatoria. L’EPA, un tempo baluardo contro l’inquinamento, oggi è un’agenzia di permessi fast-track per impianti industriali.

Il cinismo è brutale ma funziona politicamente. Pennsylvania è uno swing state, ricco di riserve di gas e carbone, e trasformarlo in hub per AI data center è un colpo doppio: porta voti e capitali. Trump si è attribuito il merito di 36 miliardi di investimenti privati in data center e 56 milioni in nuove infrastrutture energetiche. Numeri che fanno effetto, anche se il vero effetto collaterale è un ritorno all’energia sporca. Ha liquidato il vento come un capriccio costoso, firmando un ordine esecutivo per studiare dove le vecchie infrastrutture a carbone possano sostenere data center energivori. Il simbolo di questa strategia? La riapertura della Homer City Generating Station, trasformata in centrale a gas per alimentare un nuovo data center.

La narrativa è abilmente confezionata. L’AI non può aspettare la lentezza dei parchi solari o eolici, dice Trump. Ma è una mezza verità, ripetuta fino alla nausea per diventare dogma. Gli incentivi alle rinnovabili, introdotti dall’Inflation Reduction Act di Biden, sono stati erosi dai repubblicani, rallentando la costruzione di impianti verdi e bloccando almeno 340 GW di capacità entro il 2035. Le tech company, Google e Amazon in testa, annunciano con toni entusiastici accordi per comprare idroelettrico e nucleare, ma i loro ultimi report sulle emissioni raccontano un’altra storia: inquinano di più, e il net zero si allontana.

La ragione è semplice. Gli AI data center sono macchine affamate, vogliono elettricità 24 ore su 24. I parchi eolici e solari, anche se più economici e rapidi da costruire, non garantiscono la stessa continuità. E poi c’è un problema di geografia e cinismo strategico. Un data center dedicato al training dell’AI potrebbe essere costruito lontano dai centri abitati, vicino a grandi campi fotovoltaici o eolici, ma questo creerebbe il rischio di asset bloccati nel lungo termine. Meglio restare vicini alle città, vicino a infrastrutture tradizionali, pronti a riconvertire l’impianto per altri usi se l’AI cambierà modello. Non è efficienza energetica, è puro calcolo economico.

Trump sfrutta questa dinamica come un maestro di scacchi. Gli annunci di Enbridge, con un miliardo di dollari per espandere gasdotti, e di Equinor, con 1,6 miliardi per aumentare la produzione di gas in Pennsylvania, non sono solo investimenti: sono la prova che la strategia “drill, baby, drill” ha trovato un nuovo alleato, l’AI. “Non saranno alimentati dal vento”, ha ripetuto Trump, ribaltando un dato scientifico con la stessa leggerezza con cui anni fa rideva del riscaldamento globale. Il problema è che funziona, perché anche i giganti tecnologici, sotto pressione per scalare i modelli AI, stanno accettando il compromesso fossile.

C’è una contraddizione velenosa che pochi vogliono guardare in faccia. L’AI è venduta come la tecnologia che ci salverà dal cambiamento climatico, ottimizzerà consumi, ridurrà sprechi. Invece è il motore di una nuova corsa al gas, un acceleratore di infrastrutture fossili, una zavorra sul fragile equilibrio degli obiettivi climatici. “Non c’è dubbio che l’AI stia spingendo a un maggior uso di combustibili fossili negli Stati Uniti e ci stia riportando indietro nella lotta al cambiamento climatico”, ha dichiarato Cathy Kunkel dell’IEEFA. È un paradosso perfetto, quasi poetico nella sua ipocrisia.

L’ironia finale? L’AI, così sofisticata da scrivere poesie e predire tendenze, viene alimentata da tecnologie ottocentesche. È come insegnare a un supercomputer a giocare a scacchi su un tavolo illuminato da lampade a petrolio. Ma nel mondo di Trump, l’importante non è la coerenza, è il potere. E oggi il potere si misura in terawattora, non in promesse di sostenibilità.