La notizia è passata sotto il radar, ma merita un faro acceso. Meta sta sperimentando colloqui di lavoro “AI-enabled”, in cui i candidati a ruoli di ingegneria software potranno usare un assistente basato su intelligenza artificiale durante i test di coding. Sì, avete letto bene. Il colosso che ha costruito imperi pubblicitari sul deep learning ora ti invita ufficialmente a portarti l’AI in tasca anche al colloquio. Ma attenzione, perché sotto questa mossa apparentemente inclusiva e progressista si nasconde qualcosa di ben più profondo, e potenzialmente disruptive. Una mutazione genetica del lavoro tecnico.

Dunque, l’idea che un candidato possa contare su un copilota AI in tempo reale durante un’intervista di lavoro suona come un cortocircuito concettuale. Negli ultimi anni, le big tech hanno costruito intere fortezze HR sulla valutazione delle capacità individuali senza AI. Ora Meta, come se niente fosse, sembra voler riscrivere le regole del gioco. Il comunicato è chiaro: “Stiamo testando come fornire questi strumenti agli ingegneri anche durante i colloqui”. E qui si aprono almeno tre scenari interessanti, tra tensione narrativa, strategia industriale e visione antropologica del lavoro.

Non è più solo un supporto all’efficienza, ma diventa parte integrante dell’identità professionale di chi viene valutato. Una sorta di estensione cognitiva accettata e legittimata, che annulla la linea tra capacità umana e supporto algoritmico. In un mondo in cui ChatGPT può spiegarti cosa fa un heap sort meglio del tuo docente di algoritmi, ha ancora senso pretendere purezza manuale nel problem solving? Meta sembra dire di no. E in questo ha forse più ragione di quanto siamo pronti ad ammettere.

Per anni, l’intervista tecnica è stata un rito iniziatico, una prova di resistenza e di ego. Whiteboard coding, domande a trabocchetto, esercizi da risolvere a mente come se fossimo nel 1997. Oggi tutto questo viene messo in discussione dall’AI, che smaschera l’assurdità di certe pratiche. Se il tuo lavoro quotidiano sarà supportato da un copilota AI, perché mai dovresti dimostrare il contrario nel momento di massima pressione psicologica? È come chiedere a un pilota di aerei di simulare un atterraggio senza strumenti, “così vediamo quanto sei bravo davvero”.

Per Meta, questa mossa non è un gesto di apertura etica. È una prova generale per il futuro del coding, dove l’ingegnere del software sarà giudicato non più solo per ciò che sa scrivere, ma per come sa orchestrare il dialogo tra sé e l’AI. Tradotto in termini crudi: se non sai lavorare con un copilota come ChatGPT o CodeWhisperer, sei già obsoleto. Il colloquio diventa allora il primo test di questa nuova alfabetizzazione tecnica. Un benchmark di intelligenza ibrida.

L’ironia tragica è che, fino a ieri, usare un assistente AI durante un coding test era considerato barare. Oggi viene promosso a soft skill essenziale. Benvenuti nel paradosso della selezione algoritmica: ti valuto per come interagisci con ciò che fino a ieri ti avrei vietato di usare. È come se gli esami di maturità premiassero chi copia meglio da Wikipedia, ma solo se lo fa con stile e consapevolezza.

A questo punto la domanda diventa quasi filosofica. Che cosa stiamo realmente valutando nei colloqui tech del futuro? Non più la conoscenza grezza, né l’intuito algoritmico. Piuttosto la capacità di collaborare con una macchina, negoziare soluzioni, saper “parlare l’AI” con scioltezza, come se fosse un collega di team. È un cambio di paradigma profondo. L’ingegnere full stack del 2025 sarà più simile a un direttore d’orchestra che a uno scriba del codice. E l’intervista tecnica sarà il suo provino da direttore.

Ma non lasciamoci sedurre troppo in fretta. Dietro l’apertura apparente si cela anche un altro tipo di controllo. Meta non fa beneficenza. Introducendo l’AI nei colloqui, crea una nuova metrica implicita: la qualità dell’interazione con l’assistente. Chi monitora questi dati? Chi decide se il tuo prompt è abbastanza sofisticato, se hai usato l’AI con criterio o se ti sei affidato troppo al pilota automatico? La risposta, ovviamente, è Meta. Che nel frattempo raccoglie segnali comportamentali di altissimo valore, utili per addestrare i propri modelli interni. È un cerchio che si chiude in modo quasi perverso: vieni valutato da un’intelligenza che impara da come tu provi a compiacerla.

C’è anche un retrogusto di vendetta tecnologica in tutto questo. L’AI, un tempo temuta come forza esterna che avrebbe minato il valore dell’ingegnere, diventa ora lo strumento con cui il sistema giudica la tua capacità di adattamento. Se non sei abbastanza fluido con un modello linguistico, sei out. Non è più solo questione di sapere scrivere codice, ma di saperlo co-generare. Se sei ancora convinto che l’AI non sappia scrivere codice come te, è solo perché non hai ancora visto cosa riesce a fare quando il colloquio inizia a registrare ogni tua mossa.

Per chi lavora nella trasformazione digitale e nell’innovazione HR, questo esperimento Meta suona come un manifesto involontario. Il colloquio AI-enabled è la prova tangibile che l’intelligenza artificiale non sostituisce il lavoro, ma lo riscrive a partire dal momento in cui viene definito. L’intervista tecnica è solo la prima soglia. Seguiranno assessment psicometrici supportati da AI, portfolio interattivi generati su richiesta, simulazioni ambientali con feedback in tempo reale. Chi pensa che questa sia solo una moda da Silicon Valley non ha ancora capito che si tratta dell’inizio di una nuova grammatica del lavoro cognitivo.

E allora viene da chiedersi: quanto manca al giorno in cui anche il recruiter sarà un agente conversazionale? Se il candidato usa l’AI e l’intervistatore pure, chi sta valutando chi? Forse è già tutto un gigantesco test AB, orchestrato da un sistema che misura l’efficienza della selezione automatica. Un esperimento sociotecnico travestito da progresso.

Nel frattempo, cari sviluppatori, vi conviene fare amicizia con il vostro assistente AI. Ma non trattatelo come una stampella. Pensatelo come un alleato strategico. Perché molto presto, non sarà solo il vostro supporto. Sarà anche il vostro giudice.