Quando Palantir Technologies chiude un accordo da 10 miliardi di dollari con l’esercito statunitense, non sta vendendo solo software. Sta vendendo visione, dominio cognitivo e l’illusione di una guerra algoritmica vinta prima ancora di essere combattuta. Questa non è una semplice commessa: è l’incoronazione. Il Dipartimento della Difesa ha appena reso Palantir il suo oracolo ufficiale, il suo motore di decisione, la sua lente analitica sul caos del mondo moderno.

La notizia, riportata anche dal Washington Post con enfasi degna di una vittoria elettorale, è chiara: un contratto quadro da 10 miliardi di dollari, potenzialmente valido per i prossimi dieci anni. Unificati sotto un’unica architettura 75 contratti sparsi, 15 principali e 60 correlati, come un esercito disordinato riunito finalmente sotto un’unica bandiera. L’obiettivo dichiarato? Ridurre i tempi di approvvigionamento, offrire accesso rapido agli strumenti di analisi, intelligenza artificiale e integrazione dati. L’obiettivo reale? Molto più ambizioso: riscrivere le regole del potere operativo.

Palantir, fondata con un’anima da intelligence e un portafoglio sempre più orientato al settore pubblico, conferma così la sua transizione da startup borderline a infrastruttura nazionale. Quando parliamo di enterprise data integration, qui non si tratta di dashboard o KPI: si parla di vincere guerre informatiche, prevedere minacce, ottimizzare logistiche globali e, soprattutto, generare un vantaggio informativo sistemico.

La keyword da masticare è “prontezza militare”. Ma sarebbe più corretto parlare di data dominance. In uno scenario dove i conflitti non si combattono solo con mezzi corazzati ma con petabyte di segnali, log e feed ISR, Palantir promette ciò che nessun altro vendor commerciale può realmente garantire: controllo predittivo.

Il contratto, formalmente classificato come “enterprise agreement”, non è solo un affare da 10 miliardi. È un modello. Una piattaforma di procurement centralizzato che stabilisce sconti basati sui volumi, creando incentivi impliciti per adottare in blocco le soluzioni Palantir in tutto il dipartimento della Difesa. Un matrimonio di lungo corso tra Silicon Valley e Washington, benedetto dal pragmatismo contabile dei generali.

Il CEO Alex Karp, notoriamente eretico nel panorama tech e poco incline alle convenzioni della Silicon Valley, potrebbe anche non indossare giacca e cravatta, ma ha appena dimostrato cosa significa costruire un’impresa il cui core business è il futuro stesso. “Software eats the world”? No, il software ordina il mondo, quando viene impiegato con finalità militari.

Nel frattempo, il mercato applaude, o finge di farlo. Il titolo PLTR sul NASDAQ non è solo un’azione tech. È diventato un derivato dell’infrastruttura geopolitica americana. Una scommessa su un modello operativo in cui i dati diventano armi, e le armi diventano secondarie.

Naturalmente, la narrativa ufficiale parla di efficienza, riduzione dei costi, agilità decisionale. Le keyword semantiche si sprecano: “data fabric”, “mission command optimization”, “AI-powered decision support”. Ma dietro questo gergo si nasconde una verità più brutale: la guerra moderna è sempre più uno scontro tra ecosistemi informativi.

In questo contesto, Palantir non è un fornitore. È un operatore ombra. La sua piattaforma Gotham (utilizzata dalle forze armate e dalle agenzie di intelligence) e Foundry (piattaforma commerciale ora ibridata nei contesti militari) sono ambienti operativi, non semplici strumenti. Chi controlla queste piattaforme, controlla il flusso cognitivo degli eventi.

Non è un caso che Palantir sia riuscita a consolidare 75 contratti in uno solo. È un capolavoro di strategia commerciale: togliere l’ossigeno ai competitor, centralizzare la spesa pubblica in un’unica architettura software e vincolare il cliente per un decennio attraverso promesse di efficienza e interoperabilità.

La strategia è chiara: ridurre il software militare a un’industria monoteista. Un solo dio, una sola piattaforma, un solo vendor. Le startup concorrenti? Buona fortuna nel penetrare un ecosistema chiuso per progettazione. Il DoD ora non compra più tools, compra doctrine as a service.

Per chi osserva il mercato dal lato finanziario, l’analisi è spietata. Questo contratto posiziona Palantir come tier one defense contractor, al pari di Lockheed Martin o Raytheon. Ma con un vantaggio: zero componentistica fisica, zero supply chain da difendere, solo codice replicabile con marginalità prossima all’infinito.

Il lato ironico? Palantir era nata in parte per contrastare gli abusi della sorveglianza post-11 settembre. Oggi è il sistema nervoso stesso di quell’apparato. La distopia si è fatta modello di business. E il business è buono, molto buono.

Intanto, il Pentagono sembra aver capito una verità scomoda: costruire jet supersonici è inutile se non sai dove colpirli. La superiorità militare si gioca sempre più sulla capacità di anticipare, correlare, visualizzare. E qui Palantir regna.

I critici parlano di vendor lock-in, di etica opaca, di eccessiva influenza privata sui processi decisionali pubblici. Giusto. Ma irrilevante. Quando si tratta di capacità predittiva operativa, non vince chi è più trasparente. Vince chi è più utile. E Palantir è utile come lo era IBM durante la Guerra Fredda.

Ora, la domanda vera è cosa succede dopo. Con 10 miliardi a disposizione e un piede ben saldo nel cuore del DoD, Palantir può estendere la sua influenza anche in settori civili ad alta complessità sistemica: infrastrutture critiche, sanità, logistica nazionale.

Il dato è chiaro: Palantir ha smesso di essere un’azienda. È diventata un layer del governo americano. Invisibile, onnipresente, inevitabile.

La vera guerra, quella tra l’informazione e l’entropia, ha trovato un nuovo campione. E non sarà una battaglia breve.