Il SANDBOX Act presentato da Ted Cruz suona come il classico manifesto politico travestito da rivoluzione tecnologica. Un disegno di legge che promette alle aziende di intelligenza artificiale la possibilità di muoversi in un’area grigia, al riparo da “ostacoli regolatori”, con la scusa di accelerare l’innovazione e mantenere la supremazia tecnologica americana. La narrazione è semplice: meno regole, più creatività. Ma come ogni slogan efficace nasconde la sostanza più complessa, e spesso più scomoda, che va letta con attenzione da chiunque abbia a cuore il futuro dell’AI, la concorrenza e la protezione dei consumatori.

Il concetto di sandbox non è nuovo. In fintech e in altri settori regolati, l’idea era di creare zone sicure dove testare innovazioni senza la spada di Damocle della normativa tradizionale. Ma un conto è applicarlo a metodi di pagamento, un altro è metterlo in mano a chi gestisce algoritmi che decidono diagnosi mediche, concessioni di credito o libertà civili. Cruz propone che le aziende possano chiedere deroghe di due anni rinnovabili fino a un massimo di dieci. Se un’agenzia federale non risponde entro 90 giorni, la deroga è automaticamente concessa. Un silenzio che diventa via libera, come se l’inerzia amministrativa fosse sinonimo di sicurezza. L’ironia è che lo stesso Congresso che negli ultimi anni ha denunciato il “pericolo” di una regolazione lenta adesso ne fa un vantaggio competitivo.

Le aziende dovrebbero presentare un piano di mitigazione dei rischi, ma chi controllerà davvero che tali piani non restino lettera morta? L’Office of Science and Technology Policy avrebbe la possibilità di sovrascrivere le decisioni delle agenzie specialistiche come FTC o FDA. In pratica, il cuore tecnico della regolazione federale verrebbe subordinato a un organo politico. È come mettere la torre di controllo di un aeroporto nelle mani del consiglio comunale: democratico, certo, ma non esattamente ciò che si vuole quando un aereo atterra in emergenza.

La retorica dei sostenitori è limpida: senza spazi di libertà normativa, gli Stati Uniti perderanno terreno rispetto alla Cina. Ma il parallelo è pigro. Non si tratta di scegliere tra la deregulation totale e la paralisi normativa. In Europa si discute di un AI Act che, con tutti i suoi difetti, prova a definire categorie di rischio e obblighi proporzionati. Negli Stati Uniti si preferisce un approccio che sa più di scorciatoia politica, un “muoviti e rompi le cose” aggiornato all’era dei modelli linguistici. Quando i critici definiscono la proposta “un regalo per i grandi CEO della Silicon Valley”, non è solo propaganda. Il rischio è che siano proprio i colossi, con le loro risorse legali e lobby muscolari, a colonizzare il sandbox, lasciando le startup in secondo piano. Non esattamente il sogno meritocratico americano.

Interessante è il parallelo con il Texas, lo stato di Cruz, che ha già approvato un sandbox limitato a tre anni. Un esperimento circoscritto, quasi un pilota. Il salto a dieci anni a livello federale cambia completamente le proporzioni, trasformando l’eccezione in prassi. Non è un ponte verso la regolazione, è un’autostrada verso la sospensione indefinita di regole scomode. Ed è qui che l’ironia lascia spazio al cinismo: il silenzio delle agenzie, l’arbitrio dell’OSTP, la debolezza dei meccanismi di responsabilità creano un contesto perfetto per trasformare il laboratorio in zona franca. In altre parole, meno sandbox, più free pass.

C’è chi applaude, sostenendo che questo è il prezzo da pagare per restare leader. Ma ci si dimentica che la leadership non si misura solo nella velocità di deploy di un algoritmo, ma anche nella capacità di stabilire standard di fiducia globale. Se gli Stati Uniti diventano il far west dell’AI, attrarranno certo i cowboy del settore, ma difficilmente conquisteranno la fiducia di governi, istituzioni e mercati internazionali. In questo senso, il SANDBOX Act rischia di indebolire gli stessi asset strategici che vorrebbe rafforzare.

Chi osserva la proposta con occhio tecnico non può non notare la pericolosa concentrazione di potere in un unico ufficio politico. La storia recente ha mostrato come l’erosione della competenza tecnica nelle agenzie federali porti a fallimenti clamorosi, dal settore ambientale a quello finanziario. Replicare lo schema con l’AI significa scommettere che la politica avrà la lucidità di decidere sui dettagli di un modello di machine learning, sulla robustezza di un dataset o sulla privacy di milioni di cittadini. Un’illusione, se non addirittura una provocazione.

Il dibattito pubblico, intanto, si polarizza. Da un lato, i fautori della deregulation accusano i critici di immobilismo. Dall’altro, gli attivisti per i diritti civili avvertono che si sta concedendo carta bianca a sistemi che possono amplificare bias, discriminazione e sorveglianza di massa. In mezzo, un Congresso che cerca di cavalcare la tigre senza farsi divorare. Il paradosso è che mentre si invoca la necessità di regole snelle per favorire le startup, la struttura del SANDBOX Act sembra calibrata su misura per i giganti di Big Tech. Non esattamente un dettaglio trascurabile.

Il SANDBOX Act non è solo un disegno di legge, è un manifesto ideologico. È il tentativo di ridefinire il rapporto tra stato e tecnologia spostando l’ago della bilancia verso il mercato, e nello specifico verso chi nel mercato ha più potere. È anche una scommessa sul fatto che l’innovazione sia più forte della regolazione, che la velocità conti più della responsabilità. Ma la storia dell’innovazione americana insegna che senza regole solide, l’innovazione brucia in fretta, lasciando dietro di sé macerie che nessuna sandbox può contenere.

fonte https://www.commerce.senate.gov/2025/9/sen-cruz-unveils-ai-policy-framework-to-strengthen-american-ai-leadership