Parliamo chiaro. La valutazione di TikTok US a 14 miliardi di dollari non è semplicemente bassa, è un insulto all’intelligenza economica. È come se ti offrissero una Ferrari a prezzo di utilitaria solo perché l’auto è parcheggiata in una zona a traffico limitato e il vigile ha deciso che non puoi muoverla se non con un nuovo proprietario. La decisione dell’amministrazione Trump di orchestrare la vendita forzata dell’app negli Stati Uniti ha imposto una cifra che grida al mercato: qui non comandano i multipli di ricavi o EBITDA, qui comanda la geopolitica.
Per avere un’idea dello scollamento, basta guardare Meta Platforms. La società guidata da Mark Zuckerberg si scambia oggi a circa 10,5 volte i ricavi dell’anno scorso secondo S&P Global Market Intelligence. Se si applicasse lo stesso multiplo alla fetta statunitense di TikTok, il valore non sarebbe 14 miliardi, ma decine e decine di miliardi, probabilmente oltre 100. Ma la realtà è che questa non è stata una trattativa, è stata un ultimatum. O ByteDance accettava, o TikTok chiudeva i battenti negli USA.
ByteDance, la casa madre di TikTok, è valutata sul mercato secondario dei titoli tecnologici privati circa 337 miliardi di dollari. Caplight lo conferma. Anche se TikTok rappresenta meno di un quarto del fatturato del colosso cinese e non è chiaro se la parte statunitense sia in profitto o in perdita, l’app è il motore principale della crescita globale. In più, TikTok US è il mercato pubblicitario più maturo, più ricco e più strategico. Non è la versione indiana o quella brasiliana, è la parte premium del business. Eppure, invece di un prezzo premium, arriva una svendita degna di un outlet.
Alcuni analisti sostengono che TikTok US possa valere fino a 100 miliardi di dollari, considerando la crescita, il potenziale di monetizzazione e la dominanza culturale sul pubblico giovane. Ma qui il problema non è la valutazione intrinseca, è la forza coercitiva. Senza questa vendita, TikTok sarebbe stato bandito negli Stati Uniti. ByteDance ha quindi preferito accettare un affare capestro e conservare una quota residua del 19,9%, sperando che nel tempo questa partecipazione torni a brillare se e quando la politica americana allenterà la presa.
Il vicepresidente JD Vance ha definito il prezzo un “buon affare” per gli investitori. Un eufemismo. È un colpo di fortuna per Oracle, Silver Lake e MGX, i tre gruppi che secondo Bloomberg prenderanno il 15% ciascuno. Con un esborso di appena 2,1 miliardi a testa, si portano a casa un pezzo della piattaforma social più influente degli ultimi dieci anni. Per Oracle, che brucia cassa inseguendo l’intelligenza artificiale e i servizi cloud, è un regalo del destino. Chiunque abbia mai visto un’azienda software acquistare asset strategici a meno di una volta i ricavi sa che questi sono affari che si raccontano ai nipoti.
Gli investitori americani già dentro ByteDance — Sequoia Capital, Susquehanna International Group, KKR — non stanno brindando. Vedono la valutazione e si chiedono come sia possibile. Tuttavia avranno la possibilità di comprare più azioni nel nuovo schema, un palliativo che potrebbe addolcire la pillola. Ma il messaggio resta: la valutazione di TikTok US non è il risultato di una due diligence finanziaria, ma l’effetto di un diktat politico.
C’è chi osserva che in fondo questo accordo toglie un macigno dallo stomaco di ByteDance. L’incertezza legale e regolatoria sugli Stati Uniti era diventata insostenibile. Senza una soluzione, l’IPO di ByteDance restava un miraggio. Con la vendita forzata, per quanto dolorosa, si apre la strada a una quotazione futura. Un prezzo ridicolo oggi può essere il biglietto di ingresso per un futuro da società pubblica da centinaia di miliardi. È la logica del sacrificio: perdere un braccio per salvare il corpo.
Ora fermiamoci un attimo sul concetto stesso di “valutazione”. Nella Silicon Valley il multiplo di ricavi è quasi una religione. Startup senza un dollaro di utile raccolgono miliardi a multipli di 20x o più, con la sola promessa di crescita. Perché allora TikTok US, con centinaia di milioni di utenti e una capacità di monetizzazione testata, viene prezzata a meno di 1x ricavi? La risposta è semplice: la politica riduce il valore percepito più velocemente di qualunque calo di fatturato. Quando il rischio regolatorio diventa rischio esistenziale, il mercato smette di calcolare.
Eppure, guardando ai numeri di ByteDance, la disparità resta enorme. Con un fatturato globale stimato intorno ai 120 miliardi di dollari annui, anche attribuendo a TikTok meno di un quarto di questo, parliamo di 25-30 miliardi. Se la fetta americana vale anche solo la metà, l’assegnazione di 14 miliardi è grottesca. È come valutare l’oro al prezzo del ferro solo perché il governo ha deciso che il lingotto non può essere trasportato.
La verità è che gli Stati Uniti hanno giocato la carta più potente: la minaccia di chiudere il mercato più importante per ByteDance. Non si tratta di libero mercato, ma di potere statale. Una dinamica che ricorda la Guerra Fredda, con la differenza che stavolta il campo di battaglia non è Berlino ma un feed di video di 15 secondi. In questo contesto, i multipli di ricavi diventano irrilevanti. È la ragion di Stato a decidere il prezzo.
Mentre questo teatrino si consumava, Google affrontava il suo processo antitrust sul fronte dell’ad tech. In tribunale, il dirigente Tim Craycroft ha rivelato che Google aveva valutato già nel 2021 la cessione della divisione pubblicitaria, sotto i nomi in codice “Project Sunday” e “Project Monday”. Una notizia che svela come anche i giganti americani non siano immuni dalla pressione regolatoria. In altre parole, non è solo TikTok a subire i colpi della politica. Anche Google, Meta e Amazon vivono in un’era in cui la mano invisibile del mercato è ormai visibile, e indossa spesso la toga di un giudice federale.
Sul fronte delle altre notizie, OpenAI, xAI, Amazon e Databricks giocano la loro partita tra intelligenza artificiale e antitrust. Ma la lezione centrale di questa settimana resta una: la valutazione di un’azienda tecnologica non è più soltanto un esercizio di finanza. È un campo minato di geopolitica, regolamentazione e paura. Gli investitori che hanno pagato 2 miliardi per una fetta di TikTok US lo sanno bene: hanno comprato non solo un’app, ma un pezzo di strategia americana contro la Cina.
Chi guarda al futuro si chiede già quanto varrà TikTok US al prossimo giro. Se ByteDance dovesse riuscire a liberarsi dal cappio politico e l’app tornasse a crescere indisturbata, il valore potrebbe moltiplicarsi. Ma se i vincoli resteranno, anche i 14 miliardi rischiano di sembrare una valutazione generosa. In fondo, il mercato tecnologico non perdona: oggi sei l’app più scaricata del mondo, domani sei un caso di scuola in un manuale di geopolitica economica.