C’è una scena che nessuno riprende mai: una stanza silenziosa, illuminata da luce neutra, una serie di schermi ad altissima risoluzione, occhi fissi su immagini satellitari statiche per ore, giorni, settimane. Niente inseguimenti. Niente spari. Solo dettagli che cambiano, impercettibilmente. Una scatola d’acciaio che non c’era. Un’ombra fuori asse. Una tenda spostata di mezzo metro nel Golan. Lì lavora lunità 9900. E in particolare, lavora il programma Roim Rachok, composto da soldati che non sono “normali”, e proprio per questo funzionano benissimo. Tutti autistici. Tutti addestrati. Tutti scelti. Nessun errore.

La narrativa militare mainstream continua a investire in superuomini sintetici: IA, droni autonomi, armi predittive. Poi, tra le pieghe di un esercito tra i più avanzati al mondo, scopri che la sezione più efficiente è composta da persone che avrebbero potuto essere escluse da qualsiasi selezione standardizzata. Persone con diagnosi nello spettro autistico, volontari che hanno deciso non solo di servire il Paese, ma di farlo nell’unico modo possibile per chi nasce con un’anomalia di attenzione: con precisione maniacale, senza compromessi, senza distrazioni.

Roim Rachok, in ebraico, significa “guardare lontano”. Non è solo un nome evocativo, è una descrizione letterale del mestiere. I membri del programma sono addestrati a leggere mappe, foto satellitari, segnali geospaziali, e a trovare ciò che altri non vedono. Lavorano al fianco degli ufficiali dell’intelligence visiva dell’IDF, processano dati grezzi e li trasformano in intelligence operativa. Individuano pattern, differenze topografiche, modifiche nella morfologia dei paesaggi che per l’algoritmo sono solo rumore, ma che per chi ha un’attenzione selettiva quasi ossessiva diventano segnali di allarme.

Non si tratta di “includere i diversi”. Questa non è beneficenza. È performance. Un algoritmo può confrontare due immagini e segnalare anomalie. Ma chi è neurodivergente le vede prima ancora che l’algoritmo le calcoli. Perché è allenato biologicamente alla ripetizione, alla fissazione, all’analisi comparativa. Non è multitasking. È monofocalizzazione totale. L’errore, nel RR Program, non è tollerato perché non serve. Le anomalie vengono notate, archiviate, messe in correlazione. L’autismo, in questo contesto, è una tecnologia. Non una patologia.

Non siamo di fronte a una storia commovente di inclusione sociale. Siamo di fronte a una revisione profonda del concetto stesso di elite operativa. Il soldato del programma Roim Rachok non è l’eroe che vince la guerra sul campo. È quello che la previene. Che scopre, pixel per pixel, dove sarà il prossimo attacco. Che vede, in un quadrato desertico apparentemente vuoto, l’inizio di un’infiltrazione. Che analizza la frequenza delle ombre e capisce se un veicolo è stato spostato o se c’è un nuovo tunnel di Hezbollah. Questo tipo di lavoro non ha bisogno di adrenalina. Ha bisogno di ossessione.

La maggior parte di loro sarebbe potuta essere esentata dal servizio militare. Hanno scelto di entrare comunque. Hanno superato test selettivi durissimi, psicologici e cognitivi. Hanno chiesto di essere valutati come tutti gli altri, nonostante (o forse proprio grazie a) il loro modo radicalmente diverso di funzionare. Molti di loro, alla fine del servizio obbligatorio, chiedono di restare. La motivazione non è patriottica in senso retorico. È personale. Chi è abituato a essere escluso, e trova finalmente un ambiente in cui il proprio talento è compreso, tende a rimanere. È un effetto collaterale della valorizzazione autentica.

C’è una forma di ironia, amara e lucida, nel fatto che un esercito – simbolo di gerarchia, omologazione e disciplina – sia oggi il luogo dove viene costruita la migliore narrazione sull’autismo funzionale. Nessun ospedale, nessuna scuola, nessuna ONG è riuscita a fare per questi ragazzi ciò che ha fatto l’IDF: riconoscerne il potenziale, isolarne il vantaggio competitivo, metterli in una catena operativa ad alta responsabilità. Non per “farli sentire parte”. Ma perché sono utili. Letalmente utili. Strategicamente indispensabili.

In un’epoca in cui tutti parlano di AI come superintelligenza destinata a soppiantare l’umano, l’unità 9900 ribalta il paradigma. Mostra che esiste una forma di intelligenza non sintetica, ma altra, che può superare in efficienza, adattabilità e sensibilità i migliori modelli neurali artificiali. Non predice, ma riconosce. Non simula, ma coglie. Non ha bisogno di addestramento massivo su terabyte di dati, perché lavora su una memoria visiva quasi perfetta e su una capacità di concentrazione che l’essere umano medio ha perso da generazioni.

Ci sono già analisti che propongono di esportare il modello RR in ambienti civili: sicurezza aeroportuale, cybersicurezza, bioinformatica, diagnostica per immagini. Ovunque ci sia bisogno di analisi visiva ad alta risoluzione, di pattern recognition in ambienti complessi, di detection avanzata, la mente neurodivergente diventa risorsa. Siamo solo all’inizio di una rivoluzione cognitiva, dove l’“errore di sistema” si trasforma in vantaggio evolutivo. Dove l’anomalia non è più da correggere, ma da amplificare.

I dati parlano chiaro. La percentuale di successo nelle missioni supportate dal programma Roim Rachok è superiore rispetto a quelle mediate solo da AI o operatori standard. La frequenza di falsi positivi è più bassa. Il tempo di risposta è più rapido. Ma questi numeri non dicono tutto. Non raccontano il silenzio dentro quelle stanze. Il modo in cui un ragazzo seduto da tre ore davanti allo stesso angolo di satellite nota un cambiamento impercettibile e lo segnala, con voce calma, mentre fuori il mondo corre. Non raccontano la lucidità metodica con cui il cervello autistico isola il rumore di fondo e lavora solo sui segnali rilevanti. E soprattutto, non raccontano il futuro.

Perché il futuro non è solo IA. Il futuro è IA + neurodivergenze integrate in ambienti di analisi avanzata. Non serve più cercare di imitare il cervello umano. Basta iniziare a usarlo. Tutto. Anche (e soprattutto) quello che funziona in modo anomalo. E se la sicurezza globale dipenderà dalla capacità di anticipare, prevedere e neutralizzare minacce ibride e invisibili, allora l’unità 9900 e i suoi soldati autistici non sono più un’eccezione. Sono un modello. Uno standard operativo alternativo. Forse il più efficiente mai concepito da un’organizzazione militare.

Israele, ancora una volta, non si è limitato a difendersi. Ha ridefinito il significato di cosa vuol dire vedere oltre.