Sam Altman vuole dare a tutto il pianeta accesso gratuito e illimitato a GPT‑5. Sì, avete letto bene: non solo ai ricercatori o agli sviluppatori, ma ad ogni essere umano sulla Terra, H24, gratuitamente, sotto il suo stesso account OpenAI. Il sogno è che l’intelligenza artificiale diventi l’infrastruttura su cui poggiano decisioni su frodi, finanza personale, valutazioni di rischio, inclusi servizi che nei Paesi in via di sviluppo potrebbero saltare direttamente all’AI come salto tecnologico, analogamente al mobile che ha saltato la fase del fisso. Scordatevi i filtri: tutti gli utenti ChatGPT free – nella fascia standard – avranno accesso illimitato a GPT‑5; chi sottoscrive Plus o Pro potrà entrare in livelli di “intelligenza superiore”.
Non si tratta solo di distribuzione massiva: GPT‑5 unifica tecnologia GPT e modello o3 (il reasoning engine più avanzato) per offrire chain‑of‑thought integrato, supporto multimodale (voce, canvas, deep research, ricerca contestuale) e smettere finalmente di far scegliere all’utente quale modello usare. Sarà disponibile tra poche settimane o mesi, probabilmente già ad agosto 2025 secondo le ultime anticipazioni, mentre una versione “open‑weight” simile a o3 mini sarà distribuita su Hugging Face e Azure – la prima open‑source da GPT‑2.
In teoria è empowerment digitale totale: milioni di persone potrebbero accedere a un assistente AI personale, anche dove infrastrutture tradizionali latitano. Altman immagina un mondo dove l’AI diventa il livello zero della filiera decisionale globale. Nel concreto, in molti Paesi in via di sviluppo potrebbe arrivare a costare un decimo rispetto ai sistemi tradizionali grazie all’AI “nativa”.
Ma l’altra faccia del dominio globale è regolamentazione, etica, potenziale abuso. Esperti mettono in guardia: accesso universale significa anche dipendenza, gestione dei dati, bias, disuguaglianza digitale, cyber‑dipendenze e vulnerabilità sociopolitiche. Senza un’architettura normativa globale act‑a‑la‑Digital Geneva Convention, rischiamo un’escalation di problemi “AI‑built” più che risolti – da disinformazione a identificazione digitale surrettizia.
In Occidente i blocchi veri non sono tecnologici. Sono burocratici, prudenziali, regolatori. L’UE sta già ragionando su come classificare l’AI di livello “superintelligente” in politiche analoghe a GDPR++: obblighi di trasparenza, audit esterni, consensi informati per ogni utilizzo AI‑based nel settore pubblico, sanitario, creditizio. In realtà potrebbero ostacolare questo piano globale, mentre nei contesti low‑reg la diffusione sarà endemica.
Immaginate GPT‑5 come nuova utility planetaria: via libera per frodi, finanza, customer success, istruzione, agricoltura, ma sotto il cappello di “AI infrastrutturale”, un’opportunità e una mossa di soft power in un colpo solo. È il cuore dell’ambizione di Altman: democratizzare l’accesso, guadagnare dai tier avanzati, ma soprattutto ridefinire l’AI come risorsa di base globale.
Alla profondità del sogno corrispondono però nodi oscuri: l’abuso soglia per gli utenti free sarà soggetto a monitoraggio anti‑abuso, ma non è chiaro dove sia il confine tra “uso legittimo” e “sovraccarico da automazione”. Inoltre il proporzionale livello di “intelligenza” tra tier diventa nuovo discrimine sociale: le persone più povere avranno un GPT‑5 meno performante, e quelli che possono pagare un Plus o Pro avranno accesso alle funzionalità cognitive e logiche più raffinate.
Curiosità: uno degli argomenti interni di OpenAI è che GPT‑5 potrebbe includere modalità di ragionamento “light” rapida e modalità “deep” più lenta, senza che l’utente debba cambiare modello manualmente. Practically un AI che sa quando prendersi il tempo per riflettere – un passo avanti verso la vera intelligenza generativa strutturata.
GPT‑5 free sembra la più ambiziosa azione di empowerment digitale nella storia, ma anche un gigantesco terreno di reshaping geopolitico sotto traccia. Regulation sarà il vero nervo scoperto. Se Altman vince, ridefinirà l’AI come utility globale. Se perde, rischiamo un mondo diviso digitalmente non da risorse, ma da gerarchie cognitive AI supportate. L’AI come infrastruttura pubblica? In ottica politico‑economica potrebbe diventarlo davvero.