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Rahman non è nuovo alle rivoluzioni. Ma questa volta il compositore premio Oscar non sta scrivendo solo musica. Sta orchestrando un messaggio strategico che risuona più forte di qualsiasi sinfonia. La sua visita a OpenAI, con in mano Secret Mountain, non è solo un atto artistico. È una dichiarazione geopolitica sulla nuova mappa del potere culturale nell’intelligenza artificiale. India non è più solo un laboratorio di manodopera tecnica per le big tech americane. È il nuovo centro narrativo che l’AI non può più ignorare. E il fatto che sia proprio AR Rahman a incarnare questa trasformazione non è un dettaglio casuale. È marketing culturale allo stato puro, ma con un’intenzione molto più profonda.

Secret Mountain è una creatura ibrida. Musica generata dall’intelligenza artificiale, avatar digitali, narrazione immersiva e un’estetica che richiama tanto il metaverso quanto le tradizioni millenarie dell’India. Un progetto che sembra urlare “l’arte può sopravvivere alla macchina, se la macchina impara l’arte”. La montagna è segreta, certo, ma il messaggio è tutto fuorché nascosto. L’intelligenza artificiale qui non è il fine, è il mezzo. Un amplificatore per la cultura, non un suo sostituto. E Rahman lo dice chiaramente, con quel tono da scienziato illuminato che mette in guardia contro il fascino tossico della tecnologia quando usata senza scrupoli. Ha parlato della possibilità di far rivivere le voci di cantanti defunti, ma ha anche chiesto regole più severe. Una mossa che sembra più un avvertimento ai giganti della Silicon Valley che una semplice opinione etica.

Chi conosce il mercato capisce il sottotesto. Perplexity ha appena chiuso un accordo con Airtel per portare il suo servizio Pro gratuitamente in India. Un passo che puzza di guerra di conquista più che di filantropia. OpenAI riceve Rahman come un capo di stato culturale perché il messaggio è chiaro: il futuro dell’intelligenza artificiale non sarà deciso solo nei boardroom di San Francisco. Sarà deciso anche a Chennai, Mumbai e Bangalore, dove l’AI diventa strumento di identità, non solo di efficienza. Il soft power indiano, alimentato da decenni di industria cinematografica, letteratura e ora musica generata dall’AI, potrebbe diventare la leva più sottovalutata nel prossimo ciclo di adozione globale dell’intelligenza artificiale.

L’elemento ironico è che, mentre Rahman predica cautela etica, le piattaforme globali corrono verso l’India con l’entusiasmo di un venture capitalist in crisi di midlife. Il paese non è più il back office del mondo, è il mercato che tutti vogliono sedurre. La frase “banco di prova” non rende l’idea. È più un’arena gladiatoria dove chatbot, sistemi educativi e piattaforme musicali combattono per conquistare cuori e menti. La differenza, però, è che qui la vittoria non dipenderà solo da chi ha l’algoritmo più veloce, ma da chi saprà raccontare una storia che parli a un miliardo di persone abituate a riconoscere l’autenticità a chilometri di distanza.

Secret Mountain potrebbe sembrare un esperimento di nicchia, ma è un case study che i CEO dovrebbero studiare con attenzione. Dimostra come l’intelligenza artificiale può diventare un vettore di soft power culturale, spostando l’equilibrio dalle solite capitali tecnologiche a nuovi poli di influenza. Se l’India saprà cavalcare questa onda, potremmo assistere a un ribaltamento interessante: l’Occidente che copia modelli narrativi e culturali dall’Asia invece del contrario. Una prospettiva che probabilmente fa sorridere Rahman mentre suona, consapevole che la sua Montagna Segreta è molto meno segreta di quanto sembri.