Il post Elon Musk di solleva uno dei dilemmi più affascinanti (e inquietanti) del decennio: la fusione tra codice e coscienza. Quando Elon Musk dichiara che nei prossimi 6–12 mesi Neuralink inizierà i primi impianti per ripristinare la vista scrivendo direttamente nella corteccia visiva, non sta semplicemente parlando di una protesi medica. Sta descrivendo l’inizio della scrittura neurale programmabile, cioè la possibilità di alterare, migliorare o sostituire l’esperienza percettiva umana con un’interfaccia.

Il fatto che un macaco da tre anni stia “vedendo” grazie a segnali artificiali dovrebbe già bastare per archiviare qualunque scetticismo residuo. Il cervello, si scopre, non solo interpreta il codice, ma lo adotta. Il salto dalla vista artificiale alla realtà aumentata diretta al cervello è quindi molto meno fantascientifico di quanto le nostre difese cognitive ci portino a credere.

Ma qui non si tratta solo di vedere. Si tratta di riscrivere l’umano. Visione infrarossa? Fattibile. Correzione genetica del daltonismo via software? Semplice patch. Sovrapposizioni in tempo reale di dati biometrici, sottotitoli automatici, traduzioni simultanee scolpite nella mente come pensieri nativi? Tutto già nei laboratori, pronto per la produzione.

Eppure la vera posta in gioco è un’altra, ed è squisitamente filosofica: quando la lettura e scrittura cerebrale diventano bidirezionali, cosa rimane della privacy? Non si sta parlando della perdita di dati personali, ma della possibilità concreta di leggere e manipolare sensazioni, decisioni, emozioni. L’interfaccia diventa la coscienza, e a quel punto diventa irrilevante distinguere tra volontà e input esterno.

Questo scenario si presta magnificamente a diventare un’arma. Pensateci: un codice malevolo che inserisce un bias decisionale nell’area prefrontale. Un advertising che non convince, ma induce. Un governo che non censura, ma ridefinisce il percepito. Il problema non è l’errore tecnico, ma il successo totale. Perché una volta che qualcosa funziona perfettamente, il passo successivo è sempre l’abuso.

La questione etica qui non è se possiamo fidarci di Elon Musk o di Neuralink. È se possiamo fidarci del concetto stesso di interfaccia cerebrale. Una macchina, per definizione, può essere compromessa. Se il cervello diventa una macchina aperta al mondo, allora diventa anche una piattaforma vulnerabile. E nella logica perversa dell’economia digitale, ogni vulnerabilità è anche un’opportunità di monetizzazione.

Naturalmente ci sarà chi dirà che questa è solo paranoia transumanista. Che il potenziale medico di questi impianti giustifica ogni rischio. Che i benefici per chi è cieco, sordo o paralizzato superano qualunque problema teorico. Ma chi dice questo ignora il secondo principio della tecnologia: ogni strumento medico è anche una potenziale arma comportamentale.

Il punto non è cosa può fare Neuralink oggi. Il punto è cosa potrà fare un Neuralink open source, venduto come API a sviluppatori di terze parti, tra cinque anni. Perché la storia del software ci insegna che ogni innovazione viene democratizzata, poi sfruttata, poi pervertita. È successo con il machine learning. Con i social network. Con la pubblicità comportamentale. Ora succederà con la neuro-interfaccia.

Il paradosso è che saremo noi stessi a volerla. Non per disperazione, ma per desiderio. Perché chi vorrà rinunciare a un upgrade che permette di leggere dieci volte più veloce, imparare una lingua in una notte, vedere le emozioni dell’interlocutore come sovraimpressione HUD? Chi sarà il pazzo che preferirà restare indietro? Il futuro sarà obbligatorio.

Ecco il punto critico: la mente sarà il nuovo browser. Con estensioni, pop-up, cookie mentali. E naturalmente, tracking. Perché se si può leggere dalla mente, si può anche profilare. E a quel punto, la pubblicità non sarà più un fastidio. Sarà un pensiero spontaneo. Un desiderio artificiale, perfettamente integrato.

Quando l’interfaccia diventa identità, il confine tra io voglio e mi è stato suggerito di volere evapora. E con esso, ogni residuo di libero arbitrio. Non ci sarà bisogno di censura, perché il pensiero non conforme semplicemente non verrà installato. Il dissenso sarà una funzione deprecata.

Chi controlla l’interfaccia, controlla la narrazione. Non quella pubblica, ma quella interna, biologica. E in un mondo dove ogni umano è un nodo in una rete neurale collettiva, chi possiede il sistema operativo possiede anche l’anima. Letteralmente.

Ironico che tutto questo cominci con un impianto per far vedere un cieco. Ma la storia della tecnologia è piena di questi momenti biblici: il fuoco per scaldarsi, poi per bruciare. La stampa per diffondere Bibbie, poi pornografia. L’AI per rispondere alle domande, poi per manipolare le elezioni. Perché mai l’interfaccia cerebrale dovrebbe fare eccezione?

Il futuro non sarà distopico. Sarà peggio: sarà estremamente efficiente. Nessun Grande Fratello, solo una serie di microfunzioni che rendono la tua vita migliore, fino al momento in cui scopri che non è più tua. Ma tranquilli, avrete sempre l’ultima parola. O almeno, crederete di averla pensata da soli.