Chi pensa che la politica estera sia fatta soltanto di trattati, mappe e accordi segreti non ha capito il ventunesimo secolo. La diplomazia della moda è entrata prepotentemente nel lessico geopolitico e lo ha fatto con un colpo di scena degno di un palcoscenico teatrale: Volodymyr Zelensky che si presenta alla Casa Bianca in giacca nera impeccabile davanti a Donald Trump. L’uomo che era stato sbeffeggiato mesi prima per la sua scelta di indossare abiti militari nelle stanze ovattate del potere americano si trasforma di colpo in icona stilistica, conquistando persino le lodi del presidente più capriccioso della storia recente degli Stati Uniti. Sembra un dettaglio estetico, e invece è un colpo di maestria comunicativa. La guerra in Ucraina non si combatte solo sul fronte orientale, ma anche davanti alle telecamere, e l’immagine di un leader può valere più di un intero pacchetto di armi.
La scena è questa: Trump, 79 anni, abituato a presentarsi solo in completi blu con cravatte troppo lunghe, osserva Zelensky entrare nello Studio Ovale con la sicurezza di un uomo che ha imparato a dominare il linguaggio visivo. “I love it!”, esclama, quasi sorpreso dalla metamorfosi. Sei mesi prima, lo stesso Trump insieme al suo vice J.D. Vance aveva umiliato Zelensky accusandolo di non essere abbastanza grato per gli aiuti miliardari americani e ridicolizzandolo per la sua mise mimetica. Oggi, invece, lo accoglie come un alleato di stile, quasi un compagno di passerella. È la prova che la diplomazia della moda funziona.
Chi si illude che siano solo frivolezze non ha compreso la logica perversa della comunicazione politica moderna. Il guardaroba diventa messaggio. Il colore della camicia, la scelta di un colletto o la rigidità di una giacca diventano simboli leggibili dai media globali. Zelensky ha intuito meglio di chiunque altro che il modo per trattare con un leader imprevedibile come Trump non è sventolare mappe di guerra o report ONU, ma offrire un copione visivo, una narrazione che parli direttamente alla psicologia di chi ha davanti. Non è un caso che gli stessi leader europei, da Stubb a Rutte, abbiano fatto attenzione all’outfit, come se la geopolitica fosse ormai un’estensione della settimana della moda di Milano.
Eppure c’è un’ironia amara in tutto questo. Mentre l’Ucraina conta decine di migliaia di morti e territori perduti, la stampa americana si accanisce su una domanda grottesca: Zelensky indosserà la mimetica o un completo? La guerra in Ucraina ridotta a un red carpet. Trump che ride, i giornalisti che commentano, i leader che scherzano sui bottoni delle giacche. Il tutto mentre si discute sottovoce di concedere a Mosca Crimea e Donbass. Se non fosse tragico, sarebbe comico.
La diplomazia della moda, però, non è un’invenzione ucraina. Churchill usava il sigaro come arma visiva, De Gaulle la rigidità della postura, Mao la giacca iconica trasformata in divisa di Stato. Solo che oggi la velocità mediatica amplifica ogni dettaglio in tempo reale. Nel secolo dei social e dell’intelligenza artificiale generativa, il messaggio estetico viaggia più veloce dei missili. Basta una foto ben costruita e milioni di persone, grazie alla potenza di Google Search Generative Experience, si ritrovano a discutere della giacca di un presidente invece delle sanzioni, delle vittime civili o del prezzo del gas. È il potere del simbolo, il cortocircuito tra guerra e marketing politico.
Trump, con il suo narcisismo da star televisiva, non può resistere a questo linguaggio. Ammira, loda, si lascia persino incantare da un dettaglio sartoriale. Zelensky, che viene dalla televisione e conosce le regole dello spettacolo, sa che quello è il varco per entrare nella mente del tycoon. Porta anche una lettera personale della moglie Olena per Melania Trump, gesto che mescola diplomazia familiare e soap opera. È tutto calibrato, come in una sceneggiatura. Non c’è niente di casuale, neanche la battuta sull’abito del giornalista che sei mesi fa lo aveva ridicolizzato. “Anche lei è nello stesso vestito”, lo punzecchia Zelensky. È teatro politico allo stato puro.
Il paradosso è che l’Europa partecipa a questo gioco con una serietà quasi imbarazzante. I leader europei si alternano nello Studio Ovale non solo per ricordare a Trump l’importanza di sostenere Kiev, ma anche per omaggiarne l’ego smisurato. Stubb in doppiopetto riceve elogi per la sua giovinezza, Rutte scherza chiedendo se il suo abito sia adeguato. Tutto ciò mentre Putin osserva da Mosca, consapevole che l’Occidente appare più concentrato sul protocollo estetico che sulla strategia militare. E forse, cinicamente, sorride.
Ma ridurre questa vicenda a pura superficialità sarebbe un errore. La diplomazia della moda è molto più pericolosa di quanto sembri. In un mondo dove la percezione pubblica pesa quanto i fatti concreti, la scelta di un outfit può influenzare l’opinione pubblica americana, spostare i toni della copertura mediatica, persino incidere sul livello di sostegno al Congresso. Se i cittadini americani iniziano a vedere Zelensky come “presidente rispettabile in giacca nera” invece che “comico travestito da soldato”, la narrativa politica cambia. E con essa, la disponibilità a scrivere assegni miliardari.
La guerra in Ucraina, allora, non è più soltanto un conflitto territoriale ma un caso da manuale di comunicazione strategica. La giacca di Zelensky non è un capo di moda, è un’arma semantica. Trump non applaude solo un abito, ma il segnale subliminale che l’Ucraina sa adattarsi al linguaggio americano, che il suo presidente non è un uomo di guerra ostinato ma un leader capace di trasformarsi, di sedurre, di parlare il linguaggio dell’immagine. In un contesto in cui ogni parola può incendiare o spegnere i mercati, la capacità di gestire il dettaglio estetico diventa parte integrante della diplomazia.
E se la storia ci insegna qualcosa, è che spesso sono i dettagli a fare la differenza. Una camicia nera oggi può valere quanto una divisione corazzata domani. Zelensky ha imparato la lezione. Trump l’ha assorbita con il sorriso di chi crede di aver vinto la partita estetica. L’Europa si adegua, fingendo di non notare l’assurdità del quadro. Intanto, sul fronte ucraino, i soldati continuano a combattere e a morire, ma il mondo preferisce discutere se il doppiopetto sia meglio della mimetica.
In questa distorsione sta tutta la verità scomoda della nostra epoca: la diplomazia della moda è diventata geopolitica reale. Non è una parentesi di colore, è parte del negoziato. Quando Zelensky ringrazia Trump per la mappa delle terre occupate, lo fa con tono dimesso, quasi ironico. Il messaggio non è solo politico, è estetico: so che ti piacciono le immagini, e ti parlo con un’immagine. È un linguaggio che un ex reality star comprende meglio di qualunque report dell’intelligence.
Ecco perché non dobbiamo sottovalutare la potenza di questa dinamica. La guerra in Ucraina potrebbe trovare sbocchi o nuove tensioni non solo sul terreno militare, ma nella capacità di un presidente di apparire in giacca o in mimetica davanti alle telecamere. È un mondo crudele e farsesco allo stesso tempo, ma è il mondo che abbiamo costruito.