Augmented Democracy in Action: AI Systems for Legislative Innovation in the Italian Parliament

In Italia, paradossalmente, non è stato un unicorno tecnologico o una startup da garage a rivoluzionare il rapporto tra politica e algoritmi. È stata la Camera dei deputati. Sì, proprio quell’istituzione che molti descrivono come lenta, ingessata, a volte irrilevante. Eppure nel 2024 ha fatto qualcosa che persino altri parlamenti più blasonati non hanno osato: mettere l’intelligenza artificiale dentro il cuore del processo legislativo, senza svendere la propria sovranità alle Big Tech e senza trasformare i deputati in comparse digitali.

Lo chiamano democrazia aumentata: usare l’AI per rendere i processi più efficienti, trasparenti e inclusivi, mantenendo sempre la supervisione umana. È un concetto che Luciano Floridi, filosofo ed eticista digitale, e Anna Ascani, vicepresidente della Camera, hanno trasformato da slogan accademico in prototipo concreto.

Tre i sistemi sviluppati con le università italiane: NORMA, per analizzare il mare magnum delle leggi; MSE, la Macchina Scrittura Emendamenti, che rende possibile a qualunque parlamentare redigere proposte con precisione tecnica; DepuChat, un assistente conversazionale per i cittadini che vogliono capire cosa accade davvero a Montecitorio.

Il modello è radicale: non outsourcing a vendor privati, non chiusura burocratica, ma una “terza via” pubblico-accademica che garantisce controllo, trasparenza e ownership dei dati. È così che la Camera ha scelto di anticipare l’AI Act europeo, dimostrando che le regole possono diventare architetture tecniche e non solo decreti da approvare.

Mentre in Canada i tentativi legislativi si arenano, negli Stati Uniti la regolazione è ancora schizofrenica e in Cina l’AI è braccio armato del Partito, l’Italia sorprende. E il paradosso è che lo fa proprio dove nessuno si aspettava leadership: nel Parlamento.

Il rischio? Che si cada nella tentazione dell’efficienza totale, riducendo la democrazia a un workflow aziendale. La sfida? Usare l’AI per mantenere il rumore, l’attrito, il conflitto che rendono autentico il dibattito democratico. Perché la velocità non è sempre progresso, e la lentezza deliberativa è a volte garanzia di pluralismo.

La partita è appena iniziata, ma un fatto resta: l’Italia, per una volta, è stata pioniera. Non follower. Non cavia. Pioniera. E questo esperimento non è solo un laboratorio parlamentare: è un segnale al mondo che la democrazia aumentata può nascere anche da Roma.

Paper: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=5462560

Un punto chiave nel documento (e negli Appendici) è che i sistemi in fase di sviluppo non sono modelli aperti e generici a uso generale.

Sono applicazioni con confini di dominio, basate su recupero di informazioni, che operano a temperature di campionamento molto basse, su corpora curati e verificati, con rigidi limiti di sicurezza e supervisione umana obbligatoria.

Esistono ancora incognite irrisolte per l’autonomia a scopo generale e il ragionamento in contesti aperti.

Tuttavia, sono fortemente mitigate da vincoli architetturali, provenienza della conoscenza, decodifica conservativa e progettazione dei processi istituzionali.

Per questo motivo non stiamo affermando una resilienza generale dell’“IA” in senso ampio, ma stiamo dimostrando l’affidabilità per compiti parlamentari specifici e ben delimitati, sotto rigorosi controlli di ingegneria e governance.

Ha detto L.Floridi a Rivista.Ai