Tether, il più grande emittente di stablecoin al mondo, sembra voler giocare la partita più ambiziosa della sua storia. Secondo Bloomberg, la società starebbe discutendo con investitori privati per raccogliere tra i 15 e i 20 miliardi di dollari, offrendo una quota di appena il 3 per cento. Tradotto in valutazioni, stiamo parlando di circa 500 miliardi di dollari, piazzando Tether nello stesso pantheon di OpenAI e SpaceX. Cifre da capogiro, che fanno girare la testa e che rischiano di far sembrare qualsiasi startup tech precedente come un club di provincia.
Il CEO statunitense Bo Hines, ex consulente della Casa Bianca per le criptovalute, ha dichiarato che Tether non ha intenzione di raccogliere fondi, un piccolo dettaglio che rende la vicenda ancora più surreale. Bloomberg cita fonti interne secondo cui le trattative sono solo iniziali, e le cifre potrebbero ridimensionarsi drasticamente. Cantor Fitzgerald, che gestisce le riserve della società, è indicato come consulente principale, ma anche qui le carte sembrano cambiare di giorno in giorno. La comunicazione di Tether è paradossalmente criptica: nessun commento ufficiale, ma tutti parlano come se fossimo ai preliminari di un’IPO che non esiste ancora.
Tether emette USDT, la stablecoin con una capitalizzazione di mercato di 172 miliardi di dollari. Un colosso rispetto a Circle, emittente di USDC, con 74 miliardi in circolazione e una valutazione di mercato di soli 33 miliardi. La differenza è abissale, ma non è tutto oro quello che luccica. Tether ha costruito la sua fortuna parcheggiando le riserve in asset liquidi come titoli di stato statunitensi, generando interessi consistenti. Il secondo trimestre ha fruttato 4,9 miliardi di dollari di profitto, con margini dichiarati del 99 per cento. Cifre impressionanti, ma completamente fuori dai parametri di reporting delle società quotate. In altre parole, Tether gioca in un’arena con regole proprie, e finora ha vinto quasi sempre.
Il piano ambizioso non si limita al fundraising. Tether ha annunciato il lancio di USAT, una stablecoin regolamentata negli Stati Uniti, insieme a Anchorage Digital. Il ritorno negli Stati Uniti sembra strategico, sfruttando il clima politico favorevole delle ultime amministrazioni pro-crypto. La società ha anche nominato Bo Hines a capo della divisione statunitense, un segnale chiaro: il mercato USA non è più un territorio tabù. Tuttavia, la storia recente non invita a un eccesso di ottimismo. Nel 2021 Tether ha pagato 41 milioni di dollari per risolvere accuse di falsa rappresentazione delle riserve. Non proprio il curriculum di trasparenza che gli investitori americani adorano.
L’interesse per stablecoin non è casuale. Tether ha capitalizzato la necessità del mercato di asset digitali stabili, legati al dollaro, in un contesto di volatilità crypto. USDT è diventato uno strumento di trading liquido e una sorta di deposito di valore virtuale. Circle e altri concorrenti cercano di replicare il modello, ma senza la scala e l’ecosistema costruito da Tether. La differenza la fa anche la gestione delle riserve: parcheggiare capitali in Treasury con tassi di interesse decrescenti diventa meno redditizio, ma finora Tether ha navigato queste acque con precisione chirurgica.
Da un punto di vista finanziario e strategico, la valutazione di 500 miliardi appare quasi fantascientifica. Il mondo delle criptovalute raramente segue logiche lineari, ma piazzare Tether sullo stesso piano di SpaceX o OpenAI richiede un mix di ottimismo, iperbole e fiducia cieca nel modello di business. I potenziali investitori hanno avuto accesso a un data room per valutare la proposta e il closing è previsto entro fine anno. Se tutto va secondo i piani, stiamo parlando di una delle operazioni private più grandi e ambiziose mai tentate nel mondo crypto.
Il fascino di Tether non risiede solo nei numeri, ma nell’abilità di operare in un ecosistema semi-regolamentato con margini da capogiro. La capacità di attrarre capitali privati, gestire stablecoin su scala globale e costruire ponti verso il mercato USA mostra una combinazione di audacia strategica e tempismo politico che pochi hanno. Naturalmente, il rischio non è banale: regolamentazioni in evoluzione, tassi USA in calo, concorrenza crescente. Ma il CEO Ardoino sembra ignorare i detrattori: “valutiamo una raccolta per massimizzare la scala della strategia aziendale in tutte le linee di business, dalle stablecoin all’intelligenza artificiale, dalle commodity all’energia, dai media alle comunicazioni”. Una dichiarazione che suona come un mix tra ambizione reale e manifesto futurista, pronta a far discutere chiunque abbia una visione più tradizionale del capitale e del rischio.
Se Tether chiuderà la raccolta, il mondo osservatore della finanza tradizionale dovrà accettare un nuovo paradigma: società semi-regolamentate con profitti stellari, marginalità da startup tech e valutazioni da unicorn multipli. Non sorprende che gli investitori stiano valutando con attenzione, perché il rischio di farsi inghiottire dall’iperbole è reale. Non è una scommessa per deboli di cuore, ma per chi sa leggere tra le righe della narrativa crypto e dei bilanci creativi, Tether rappresenta forse il più grande esperimento finanziario della nostra epoca digitale.