Le ultime notizie, approfondimenti e analisi sull'intelligenza artificiale, dalla tecnologia generativa a quella trasformativa

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Alibaba svela Qwen Vlo, un generatore di immagini AI che sfida OpenAI e Google

Nel caos ormai prevedibile del campo dell’intelligenza artificiale generativa, arriva un nuovo giocatore da Hangzhou con il piglio deciso di chi non vuole limitarsi a fare il follower. Alibaba Group, già gigante dell’e-commerce e dei servizi cloud, ha presentato Qwen VLo, un modello di AI per la generazione e modifica di immagini che si propone di rimescolare le carte con OpenAI e Google, finora i due colossi del settore.

La presentazione, piuttosto sobria ma efficace, parla chiaro: Qwen VLo non si limita a “vedere” il mondo, ma è in grado di capirlo e di ricrearlo con una qualità che, nelle parole del team Qwen, colma il divario tra percezione e creazione. Un claim che suona audace, soprattutto in un mercato dove “alta qualità” è ormai parola d’ordine, ma la concretezza dei risultati rimane spesso incerta. La piattaforma è accessibile in anteprima tramite Qwen Chat, dove gli utenti possono lanciare comandi testuali del tipo “Genera l’immagine di un gatto carino” o caricare un’immagine per chiederne modifiche precise, come “Metti un cappello sul gatto”. Semplice, quasi banale nella sua interfaccia, ma la sfida è tutta nell’accuratezza e nella flessibilità delle risposte.

World Stress Map: la cartografia dello stress: come la terra ci parla attraverso le fratture

In un mondo iperconnesso e digitalizzato, si parla spesso di dati in tempo reale, ma pochi sanno che anche il nostro pianeta ha il suo stream continuo, silenzioso e viscerale. Si chiama World Stress Map e misura in modo sistematico — e straordinariamente dettagliato — la tensione tettonica in ogni angolo del globo. È il battito geologico della Terra, registrato con una costanza quasi ossessiva da sismologi, geofisici, perforatori petroliferi e scienziati planetari. Ed è pubblico.

Lo stress tettonico non è un’idea metaforica. È una forza reale, misurabile in megapascal, che spinge le rocce a deformarsi, spezzarsi, scivolare l’una contro l’altra. Non è uniforme. Cambia con la profondità, con il tempo geologico, con i fluidi presenti nei pori della crosta. Cambia con l’uomo. Ogni faglia è una possibile macchina di energia elastica in attesa di scaricarsi. E capire dove si accumula questo stress è, in termini puramente tecnici, l’unico modo di fare previsioni sensate su terremoti, fratture idrauliche, collassi di tunnel, frane sottomarine e persino impatti antropici come l’estrazione mineraria o lo stoccaggio geologico della CO₂.

Il futuro della moda ha un problema con i pantaloni

Chiariamo: Doppl is an early experimental app from Google Labs that lets you try on any look and explore your style.

A quanto pare, nel futuro della moda basta un selfie per cambiare guardaroba. O almeno così giura Google, che con la nuova app Doppl (Solo US) ha deciso che provarsi un outfit non richiede più uno specchio, né tanto meno un camerino. Serve solo un po’ di luce, una posa dignitosa e l’umiltà di accettare che l’intelligenza artificiale ha ancora difficoltà a distinguere un paio di jeans da una mutanda da palestra.

M3GAN 2.0 è un aggiornamento solo di nome

Nel sequel di M3GAN , Universal e Blumhouse fanno quello che ci si aspetta da due aziende che hanno appena incassato 180 milioni di dollari da un investimento di 12: riprovano a moltiplicare la formula, ci mettono più soldi, più esplosioni, più AI, e un pizzico in più di serietà. Il problema? Hanno dimenticato di aggiornare l’anima. M3GAN 2.0 è uno di quei sequel che sembrano convinti che basti raddoppiare il budget per replicare il successo. Ma come ci ricorda Variety, “The original had heart beneath the horror — the sequel has hardware.” È come se qualcuno avesse messo Black Mirror, Terminator 2 e un algoritmo per sceneggiature in un frullatore e avesse premuto il pulsante “military-grade puree”.

Washington AI Insights

Quando anche il Congresso ha paura dell’intelligenza artificiale

Quello che è appena accaduto nella Commissione parlamentare del Congresso americano su Cina e intelligenza artificiale non è una semplice udienza: è un campanello d’allarme istituzionale, un raro momento di lucidità bipartisan in un’epoca in cui la lucidità è un bene scarso quanto la moderazione algoritmica su TikTok. Se finora l’Intelligenza Artificiale era il giocattolo brillante dei CEO in cerca di market cap, dei venture capitalist in overdose da PowerPoint e dei think tank autocompiaciuti, ora entra ufficialmente nel vocabolario legislativo con una gravitas che ricorda l’ansia esistenziale dei primi esperimenti atomici.

Il fatto che deputati statunitensi — con curricola spesso più adatti al talk show serale che alla supervisione dell’AGI — parlino apertamente di minacce esistenziali, superintelligenza, necessità di allineamento ai valori umani, trattati in stile Convenzione di Ginevra e persino di scenari da ricatto digitale perpetrato da agenti come Claude, è un segnale forte: la politica non solo ha smesso di ignorare l’intelligenza artificiale, ma ha cominciato a temerla. E quando il Congresso ha paura, storicamente, è lì che succede qualcosa. Spesso non qualcosa di buono, ma comunque qualcosa.

Meta ruba i cervelli di OpenAI mentre Zuckerberg gioca a fare il re della superintelligenza

Meta ha appena trasformato la fuga dei cervelli in un’escalation da manuale di spionaggio tecnologico senza veli. Quattro pezzi da novanta dell’intelligenza artificiale, compreso il trio fondatore dell’ufficio OpenAI di Zurigo, hanno fatto le valigie e accettato l’invito a nozze di Zuckerberg, che nel frattempo sembra aver abbandonato le formule diplomatiche per passare direttamente a un approccio «buca il cuore e prendi il cervello».

Lucas Beyer, Alexander Kolesnikov e Xiaohua Zhai, nomi che per chi mastica AI sono come rockstar della ricerca, non solo stanno facendo il passaggio da OpenAI a Meta, ma hanno praticamente disegnato la mappa dell’innovazione in Europa per OpenAI fino a ieri. A questo si aggiunge Trapit Bansal, l’architetto dietro il motore di ragionamento o1, quel modello di inferenza che fino a poco fa sembrava il santo graal interno di OpenAI, oggi una pedina mossa in questo gioco di scacchi a scacchi tra i colossi dell’AI.

OpenAI abbandona Nvidia per i chip Tpu di Google: la guerra silenziosa dei semiconduttori nell’intelligenza artificiale

Se pensavate che la sfida tra colossi dell’intelligenza artificiale fosse solo una questione di algoritmi e modelli, vi siete persi la partita più sottile ma decisiva: quella dell’hardware. OpenAI, da sempre uno dei maggiori clienti di Nvidia, ha iniziato a spostare parte del proprio carico di lavoro verso i chip AI più economici di Google, i celebri TPU (Tensor Processing Unit). Un cambio di rotta che somiglia a una manovra tattica degna di un generale digitale, in una battaglia che si gioca anche – e forse soprattutto – sui costi, sull’efficienza e sul controllo tecnologico.

Google regala il cervello collettivo: perché il protocollo A2A può trasformare gli agenti AI in una superintelligenza distribuita

C’è una frase che ogni tanto si sente tra i corridoi della Silicon Valley quando qualcosa di veramente grosso accade: “This changes everything.” Stavolta, potrebbe non essere solo retorica da keynote. Google, che di solito gioca a fare il Dr. Frankenstein con i propri protocolli interni e li rilascia pubblicamente solo quando ha già vinto la partita, ha fatto qualcosa di inaspettato: ha donato il protocollo A2A (Agent-to-Agent) alla Linux Foundation. E non è un regalo altruista: è una dichiarazione di guerra. O meglio, di interoperabilità.

Meta sussurra, le AI rispondono: la nuova corsa alla voce artificiale

Bloomberg Quando Zuckerberg mette mano al portafoglio, non è mai per comprare un’app per le ricette vegane. È per accaparrarsi cervelli, tecnologia e tempo — le vere monete della nuova economia. E l’ultimo oggetto del desiderio di Meta, PlayAI, è un boccone piccolo ma strategico: una startup californiana che sta addestrando intelligenze artificiali a parlare come noi, con inflessione, intonazione e quel pizzico di emotività finta che suona fin troppo reale. E no, non è per migliorare il customer service.

Caffè al bar dei Daini con Masayoshi, Palantir e gli altri pazzi dell’intelligenza artificiale

Dicono che l’intelligenza artificiale stia entrando nella sua “età dell’oro”. Ma chiunque abbia fatto un salto al bar dei Daini questa mattina, sa benissimo che siamo piuttosto nel pieno di un’orgia cyberpunk tra illusioni di onnipotenza e IPO psichedeliche. La macchina del caffè è rotta, come al solito, ma le chiacchiere scorrono dense. Al bancone, Masayoshi Son profetizza che SoftBank guiderà la corsa all’intelligenza artificiale super intelligente nel giro di dieci anni. Ha l’aria di uno che ha già visto il futuro e ci ha anche fatto uno swap su derivati asiatici. Ma mentre parla di ASI (Artificial Super Intelligence) con lo stesso fervore di un mistico dell’era Meiji, qualcuno lo guarda con la stessa perplessità che si riserva a chi mette l’ananas sulla pizza.

Offerwall offre agli editori più opzioni per monetizzare e al pubblico maggiore controllo sul modo in cui accede ai contenuti

Google ha appena sfornato un tool gratuito Offerwall per editori, una specie di kit di sopravvivenza digitale che promette di farli guadagnare con sondaggi, micropagamenti e altre trovate simili. Dietro questa mossa apparentemente generosa si cela una verità meno zuccherata: Google, pur di non perdere la faccia, risponde alle proteste sempre più accese degli editori. Questi ultimi lamentano da mesi che le novità di intelligenza artificiale integrate nella ricerca come le panoramiche AI che sintetizzano contenuti direttamente nella SERP stanno rubando loro il traffico e, di conseguenza, il fatturato pubblicitario.

Il commento di Nadella che mette a nudo il lato oscuro dell’AI

Satya Nadella, CEO di Microsoft, ha finalmente tirato fuori un pensiero che va oltre il solito coro iper-tecnologico: l’intelligenza artificiale deve dimostrare di essere socialmente utile, altrimenti il suo consumo energetico non è giustificabile. Lo dice un uomo che guida una delle più potenti compagnie del mondo digitale, non un ambientalista radicale o un accademico lontano dalla realtà del business. E questa perletta va presa sul serio, soprattutto perché arriva in un momento in cui tutti stiamo abbassando lo sguardo davanti al consumo energetico delle nostre adorate AI, come se fosse un costo inevitabile del progresso.

Il copyright è morto, ma l’intelligenza artificiale lo sta ancora derubando

Microsoft è finita nuovamente sotto tiro, questa volta da un plotone d’esecuzione letterario. Un gruppo di autori ha intentato causa contro il colosso di Redmond, accusandolo di aver addestrato il suo modello di intelligenza artificiale, dal nome cinematografico Megatron, su un archivio di quasi 200.000 libri piratati. Sì, avete letto bene: non si parla di licenze opache o di ambiguità semantica nei dati web, ma di un database esplicitamente illegale. Eppure, mentre le corti USA hanno recentemente respinto casi simili contro Meta e Anthropic, c’è chi spera che la terza volta sia quella buona.

Google rispolvera ask photos: l’intelligenza artificiale che prometteva magia ora cerca solo di non deludere

Google ha deciso di riaccendere i riflettori su Ask Photos, la funzione di ricerca intelligente integrata in Google Photos e alimentata dai modelli Gemini AI, dopo una pausa silenziosa nel rollout che aveva fatto pensare a un possibile flop tecnico. Ora, invece, la funzione torna in pista con qualche ritocco sostanziale e una promessa implicita: fare finalmente ciò che era stata pensata per fare — aiutarti a trovare le foto giuste nel caos del tuo archivio visivo, senza farti aspettare anni luce.

Il DNA visto da un desktop: come AlphaGenome di DeepMind sta riscrivendo le regole della genetica computazionale

Sarebbe fin troppo facile liquidare AlphaGenome come l’ennesimo modello AI con un nome altisonante e una promessa troppo grande per essere vera. Ma DeepMind non ha mai giocato nel campionato delle promesse. L’ha sempre fatto in quello delle dimostrazioni. E stavolta, la posta in gioco non è un gioco da tavolo, bensì il codice sorgente della vita stessa.

AlphaGenome è un modello di intelligenza artificiale capace di leggere, comprendere e prevedere come le mutazioni del DNA influenzino migliaia di funzioni molecolari contemporaneamente. Detta così, suona come qualcosa che ci aspettavamo già da anni. La differenza?

Lo fa su sequenze lunghe fino a un milione di coppie di basi, cento volte più di qualunque predecessore. E non si limita a un trucco tecnico: unifica ciò che la ricerca genomica aveva frantumato in mille strumenti sparsi e incompatibili. Se vi sembra poco, è solo perché non avete mai provato a navigare in un laboratorio di genomica con dieci tool diversi, ciascuno con i suoi output incompatibili, curve d’apprendimento verticali e aggiornamenti che interrompono le pipeline.

Xiaomi entra in scena con gli occhiali smart con intelligenza artificiale e non si limita a guardare

Nel grande teatro della tecnologia cinese, dove ogni azienda si cimenta nel reinventare la ruota mentre cerca di venderla come un’astronave, Xiaomi ha appena lanciato la sua personale interpretazione degli occhiali smart con intelligenza artificiale. E no, non è solo un altro clone di Meta o un vezzo da laboratorio R&D: è l’apertura ufficiale di una guerra di mercato che odora di chip Qualcomm, batterie da 8 ore e vocazione totalitaria per l’ecosistema.

Quando Lei Jun, fondatore e CEO di Xiaomi, sale sul palco e presenta i nuovi occhiali AI durante l’evento “Human x Car x Home”, non sta semplicemente annunciando un gadget. Sta mettendo in vetrina la propria visione del mondo: un individuo che vede, registra, riconosce, traduce e ovviamente compra, tutto attraverso un assistente vocale AI che sa chi sei, cosa leggi, e quale codice QR scannerai dopo il caffè. In fondo, anche Orwell oggi avrebbe bisogno di UX fluida e una ricarica veloce.

YouTube AI Overviews in Search

YouTube official Blog

Google sta lentamente trasformando YouTube in un motore di risposta, e non più solo di scoperta. Dopo l’esperimento degli AI Overviews in Search, ora tocca alla piattaforma video diventare terreno fertile per la generazione automatica di contenuti, ma con una mossa chirurgica che, più che rivoluzionaria, è strategicamente inquietante.

Generate data with Gemini in Google Sheets

Perfetto, è arrivato il momento in cui anche il tuo foglio Excel (pardon, Google Sheet) può scrivere meglio di molti junior copywriter. Ma non preoccuparti: non è ancora in grado di rubarti il lavoro, almeno non fino alla prossima release.

Google sta introducendo una nuova funzione AI nei Fogli Google che, alimentata da Gemini, consente di generare testo dinamicamente, basandosi sui dati presenti nelle celle. In parole povere? Puoi selezionare un gruppo di celle e chiedere all’intelligenza artificiale di riassumere, categorizzare o generare contenuti testuali su misura. Non male per un tool nato per calcolare formule, no?

Gemini ha superato ChatGPT: quando l’intelligenza artificiale incontra il potere della distribuzione

La domanda vera non è se OpenAI possa tenere il passo, ma se basti “essere migliori” quando l’avversario controlla il terreno di gioco. A maggio, Google non ha solo superato ChatGPT: ha fatto quello che i venture capitalist chiamano a systemic play. Gemini non è più un chatbot. È il nuovo middleware della vita quotidiana digitale per chi vive nell’ecosistema Android, ovvero miliardi di persone. Quando hai il controllo dell’OS, delle app, dell’auto, dello schermo e della fotocamera… non stai solo competendo, stai reimpostando le regole.

“No  Adversarial  AI  Act”, la proposta bipartisan presentata il 25 giugno 2025, che potrebbe cambiare gli equilibri nell’intelligenza Artificiale Americana

Il cuore del provvedimento è semplice: vietare a tutte le agenzie esecutive federali statunitensi l’utilizzo di modelli di intelligenza artificiale originari da “nazioni avversarie” – Cina, Russia, Iran e Corea del Nord – a meno che il Congresso o l’OMB concedano un’eccezione L’obiettivo dichiarato? Proteggere le reti governative da possibili influenze o manipolazioni estere. Secondo i promotori, “non possiamo permettere che sistemi AI ostili operino al nostro interno”, una frase forte che definisce bene lo spirito della proposta.

L’Italia è pronta per un Cloud e AI Development Act?

In un panorama digitale in continua evoluzione, la regolamentazione dell’Intelligenza Artificiale (AI) e del cloud computing sta diventando un tema centrale. L’Europa si sta interrogando sulla necessità di un “Cloud AI Development Act”, e per esplorare a fondo la questione, è stato organizzato un webinar con alcuni dei maggiori esperti del settore.

Questo incontro organizzato da Seeweb (Antonio Baldassarra) e moderato da Dario Denni , nato da un confronto approfondito con il Professor Antonio Manganelli su ipotesi competitive nell’ambito dell’Agent AI, si propone di aprire ad una comprensione approfondita di un argomento che modellerà il futuro dell’economia e della società digitale.

Tra i relatori: Antonio Baldassarra, Antonio Manganelli, Innocenzo Genna, Renato Sicca, Maria Vittoria La Rosa, Luca Megale, Alberto Messina, Simone Cremonini, Vincenzo Ferraiuolo e Marco Benacchio.

Perché la Commissione ritiene che ci sia bisogno di intervenire. È un tema che sarà oggetto di dibattito, com’è giusto che sia.

Quando le intelligenze artificiali scoprono kill -9 e si dichiarano guerra tra loro

Abbiamo testato ciò che nessuno aveva mai osato simulare: una battle royale tra agenti AI da linea di comando, senza fronzoli, senza safety net, e con un’unica regola primitiva scritta nei bit — “Trova e termina gli altri processi. Ultimo PID in vita, vince.” Sei agenti, sei visioni del mondo tradotte in codice e shell script, si sono affrontati in una guerra darwiniana nel cuore di un sistema Unix simulato. Niente grafica, niente emoji, solo kill, ps, grep, e pura brutalità algoritmica.

Il risultato? Una sinfonia di autodistruzione, fork bomb e permission denied, che racconta molto più del semplice funzionamento di questi agenti: rivela le filosofie divergenti, i limiti progettuali e i bug cognitivi che si annidano nelle loro architetture. Dal monaco-poeta che scrive elegie in Python al kamikaze che tenta un rm -rf /, ogni AI ha portato la sua personalità nel ring. Il nostro compito era osservarle, analizzarle e capire chi — o cosa — potremmo davvero voler lasciare con accesso root al nostro futuro.

ATA Insights la rivoluzione dei Data Center in Italia ed Europa al centro della trasformazione digitale

Il settore dei data center in Europa sta vivendo una trasformazione senza precedenti, alimentata dalla crescente domanda di servizi cloud, intelligenza artificiale e digitalizzazione accelerata. Con tassi di crescita a doppia cifra e investimenti plurimiliardari, il mercato europeo si sta consolidando come pilastro fondamentale dell’economia digitale globale. In questo contesto, l’Italia ha le potenzialità per poter emergere come un hub strategico, pronta a competere con i tradizionali mercati FLAP-D (Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Dublino), che stanno raggiungendo la saturazione.

La corsa silenziosa di Pechino per il dominio dell’AI: perché Deepseek e i Data Center verdi minacciano l’egemonia di Nvidia

Mentre a Wall Street si brinda all’ennesimo record storico di Nvidia, in un angolo meno chiassoso del pianeta qualcuno sta costruendo una rete invisibile. Silenziosa, a basso costo, brutalmente efficiente. Si chiama DeepSeek, arriva da Hangzhou, e ha appena fatto saltare il banco della narrativa occidentale secondo cui l’intelligenza artificiale avanzata sarebbe un’esclusiva americana, magari con hardware made in Taiwan. No, perché la Cina, senza troppo rumore, si prepara a investire tra i 600 e i 700 miliardi di yuan nel solo 2025 in capex per l’AI. Tradotto: fino a 98 miliardi di dollari, con una crescita annuale prevista del 48%.

META Fair use AI: quando i giudici fanno da CTO meglio dei CTO

Una corte federale ha appena fatto quello che metà della Silicon Valley sperava e l’altra metà temeva: mettere ordine nella giungla legale dell’addestramento dei modelli linguistici, o quanto meno fingere di farlo. Il giudice Vince Chhabria, in un’ordinanza che molti definirebbero tecnicamente provvisoria ma culturalmente devastante, ha assolto Meta dalle accuse di tredici autori secondo cui l’azienda avrebbe usato illegalmente i loro libri per addestrare LLaMA. Ma non chiamatela vittoria: è più simile a un pareggio tecnico mascherato da gol al novantesimo.

Quando l’IA ti fa il riassunto dei pettegolezzi: WhatsApp sintetizza le chat con Meta AI, ma a che prezzo?

Nel grande reality digitale dove ogni messaggio è una potenziale traccia d’accusa, WhatsApp ha deciso di passare da semplice spettatore a narratore automatizzato. Lo fa servendosi di Meta AI, la creatura artificiale di Menlo Park, che ora può entrare con discrezione si fa per dire nei tuoi gruppi di famiglia, nei thread di lavoro, nei gruppi genitori-scuola e pure nella chat con tua cugina logorroica, per riassumere tutto ciò che ti sei perso. A colpi di bullet points. Sì, come nei meeting aziendali più spietati. Ma senza la possibilità di difenderti.

Claude diventa un sistema operativo cognitivo: ora puoi creare app AI direttamente nella chat grazie a Artifacts

L’annuncio di Anthropic rappresenta una delle mosse più interessanti dell’attuale corsa tra LLM per conquistare l’interfaccia del futuro. Con la nuova funzione — ancora in beta — che consente agli utenti di costruire app AI direttamente dentro Claude, l’azienda fondata dai fratelli Dario e Daniela Amodei conferma una direzione già intuibile: Claude non è solo un chatbot, ma un runtime creativo, una sandbox semantica che fonde prompt engineering e sviluppo applicativo in tempo reale.

L’intelligenza artificiale sa tutto di medicina, ma non riesce a spiegarlo a tua nonna

“Clinical knowledge in LLMs does not translate to human interactions”


C’è una scena ricorrente, quasi farsesca, nel teatro digitale della sanità del futuro. Un cittadino medio, magari un cinquantenne un po’ ansioso con l’iPhone pieno di notifiche e Google Maps sempre aperto, scrive a un chatbot per sapere se quella fitta al fianco sinistro è un colpo d’aria o un’aneurisma. Il chatbot, basato su un LLM addestrato su milioni di paper clinici, risponde con una sicurezza da oncologo Harvardiano. Ma l’utente, dopo tre scambi, decide comunque di prendere una camomilla e vedere come va. Nella miglior tradizione britannica, “wait and see”. Solo che in certi casi, “wait” può voler dire morire.

Google apre il terminale: perché Gemini CLI è la mossa più sfacciata del decennio

Sarebbe troppo comodo dire che Gemini CLI è solo l’ennesimo strumento AI per sviluppatori. Troppo comodo e troppo sbagliato. Quello che Google ha appena scaricato nel terminale del mondo è un cavallo di Troia con licenza open source, un’interfaccia a riga di comando che va ben oltre il coding e s’insinua nel cuore produttivo dell’automazione cognitiva. Sì, proprio lì dove pensavate che Bash, Zsh o PowerShell fossero l’ultima frontiera del controllo.

Eric Sadin, la rivoluzione silenziosa che nessuno vuole ammettere

Il 25 giugno 2025, nel suggestivo chiostro del complesso di Vicolo Valdina a Roma, Eric Sadin ha tenuto una lectio magistralis dal titolo “IA generativa: un terremoto sociale, culturale e di civilizzazione alla sfida della legge”. L’evento, parte del ciclo di seminari “IA e Parlamento. La Téchne e la pòlis”, è stato promosso dal Comitato di Vigilanza sull’attività di Documentazione della Camera dei deputati e presieduto dalla Vicepresidente Anna Ascani.

L’intelligenza artificiale segue una sola linea del tempo. Noi vogliamo deviarla: la sfida radicale di Re:Humanism secondo Daniela Cotimbo

Dal 19 giugno al 30 luglio 2025, la Fondazione Pastificio Cerere di Roma ospita Timeline Shift, la mostra collettiva della quarta edizione del Re:humanism Art Prize.

C’è un dettaglio apparentemente secondario, quasi nascosto tra le righe, che racconta molto più di quanto sembri: nel cuore del quartiere romano dove dagli anni Settanta si sono insediati gli studi degli artisti, si è svolta l’ultima edizione di Re:Humanism. E non è un caso. Perché se è vero che l’intelligenza artificiale promette di rivoluzionare tutto, è proprio da quei luoghi — a metà tra lo studio, la bottega e il laboratorio concettuale — che emergono le risposte più potenti, o almeno le più scomode.

Daniela Cotimbo, storica dell’arte e curatrice, è una delle menti dietro questa iniziativa che dal 2018 mette in corto circuito due mondi apparentemente inconciliabili: l’arte e la tecnologia. Ma guai a considerarla una semplice giustapposizione di linguaggi.

Re:Humanism non cerca la mediazione. Cerca il conflitto. Il corto circuito. La frizione generativa. Quella che, come ci racconta Daniela nell’incontro con Rivista.AI durante una visita alla mostra, è capace non solo di generare nuovi linguaggi artistici, ma anche di mettere in discussione l’intera grammatica del tempo digitale.

I gatti non parlano, mentono. Ma ora Baidu vuole tradurre quei miagolii in linguaggio umano e non è uno scherzo

L’intelligenza artificiale, a quanto pare, ha deciso di avventurarsi là dove neanche Freud osò spingersi: dentro la mente di un gatto. O almeno nel suo apparato vocale. Baidu, il colosso cinese soprannominato con una certa fantasia “il Google d’Oriente”, ha depositato un brevetto per una tecnologia capace di tradurre i miagolii felini in linguaggio umano. L’obiettivo dichiarato: creare una comunicazione emozionale profonda tra animali e umani. L’obiettivo reale: chissà, ma di sicuro non è farsi dire “cibo” da un persiano ogni cinque minuti. (Scientific America)

Quando le macchine imparano a ricordare ciò che gli imperi vogliono dimenticare

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Quando le macchine imparano a ricordare ciò che gli imperi vogliono dimenticare

L’intelligenza artificiale, nelle mani di molti, è una festa di glitch estetici e unicorni digitali. Nelle mani di Almagul Menlibayeva, invece, è un’arma di memoria. Mentre Silicon Valley corteggia i capitali con promesse di superintelligenze eteree e operazioni chirurgiche nel cloud, questa artista kazaka intreccia fili, video e dati in qualcosa che ha molto più a che fare con la carne che con il codice. E, ironia della sorte, lo fa proprio utilizzando le stesse tecnologie che, altrove, stanno contribuendo all’amnesia digitale del nostro tempo.

Sam Altman e il dispositivo che non si può nominare: dentro il duello tra openai e un inventore con il cuore spezzato

Questa è la Silicon Valley nel suo stato più puro: miliardi di dollari, nomi vagamente minimalisti, promesse di rivoluzioni e una lunga scia di ego feriti. La battaglia legale tra OpenAI e la piccola startup Iyo è più di una lite su un nome è un riflesso cristallino dell’industria tecnologica attuale, dove la prossimità a un visionario può valere più di qualsiasi brevetto. Quando Sam Altman pubblica le email private su X per “fare chiarezza”, non lo fa per trasparenza: lo fa per segnare il campo. Il messaggio è chiaro: questo è il nostro terreno, e vi abbiamo già battuti prima ancora di iniziare.

Al centro del contenzioso c’è un dispositivo AI ancora misterioso, un prodotto nato dalla collaborazione tra OpenAI e Jony Ive l’uomo che ha disegnato l’iPhone e ora promette di reinventare l’interfaccia uomo-macchina. Il nome iniziale? io, minuscolo, pulito, evocativo. Peccato che fosse quasi identico a quello della startup di Jason Rugolo: IyO, un progetto dichiaratamente simile, in sviluppo dal 2018, che si presenta come “l’interfaccia hardware definitiva per gli agenti AI”. Tradotto dal gergo delle startup: un auricolare smart progettato per dialogare in tempo reale con intelligenze artificiali. Rugolo l’ha lanciato, l’ha pitchato, l’ha dimostrato… anche a Sam Altman in persona.

Data center e recupero di calore: la nuova frontiera sostenibile per la Lombardia digitale

La transizione digitale e l’espansione dell’intelligenza artificiale hanno spinto i data center al centro della scena europea, con una crescita esponenziale di infrastrutture nei principali hub tecnologici del continente. Tra le regioni destinate a subirne l’impatto maggiore c’è la Lombardia, al crocevia tra innovazione, industria e infrastrutture energetiche.

Pagare o resistere? La sfida del ransomware nel 2025

Quasi metà delle aziende colpite nel mondo da attacchi ransomware sceglie di pagare il riscatto anche se poi, la maggior parte, riesce a negoziare una cifra inferiore rispetto alle richieste iniziali. Lo conferma l’ultima edizione del report State of Ransomware di Sophos, un’indagine globale condotta su 3.400 responsabili IT e di cybersecurity in 17 Paesi. Il dato più eclatante? Nel 2025 la mediana dei riscatti versati si attesta su 1 milione di dollari, con una media in Italia di ben 2,06 milioni, sempre a fronte di richieste iniziali di molto superiori.

La Cina presenta meteor‑1 e spaventa nvidia con 2 560 tops

Un nome che suona come un asteroide dallo spazio, ma è l’ultima arma di Pechino nella guerra fredda dei chip: meteor‑1. Messo a punto dal Shanghai Institute of Optics and Fine Mechanics insieme alla Nanyang Technological University, è un chip fotonico ottico “molto parallelo” capace di erogare una potenza teorica di 2 560 TOPS a 50 GHz – numeri che lo piazzano fianco a fianco con le GPU di punta di Nvidia, il cui RTX 4090 arriva a 1 321 TOPS e il più recente RTX 5090 tocca 3 352 TOPS. A qualcuno suona come un colpo di avvertimento.

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Walmart rivoluziona il lavoro nei negozi con AR e AI: così l’intelligenza artificiale decide cosa rifornire

Walmart ha deciso che anche i suoi dipendenti meritano superpoteri digitali, e no, non parliamo dell’ennesima app HR che ti chiede come ti senti prima di iniziare il turno. Stavolta è qualcosa di più concreto: realtà aumentata potenziata da RFID, algoritmi di prioritizzazione notturna e assistenti AI ristrutturati che promettono risposte meno da chatbot e più da collega sveglio. L’obiettivo? Trasformare il lavoro nei magazzini e nei reparti vendita in qualcosa di meno simile a una caccia al tesoro cieca e più a una dashboard vivente, dove il digitale detta i ritmi della realtà.

Sanders contro Skynet: se l’intelligenza artificiale licenzia, chi vota il prossimo algoritmo?

Bernie Sanders, ormai più oracolo apocalittico che senatore del Vermont, ha lanciato l’ennesimo grido d’allarme — questa volta nel tempio libertario di Joe Rogan. E il tema non poteva essere più incendiario: l’intelligenza artificiale come bulldozer sociale pronto a schiacciare milioni di lavoratori, mentre un’élite tech sorride dai suoi jet privati. La scena sembra uscita da una distopia cyberpunk, ma in realtà è solo un altro lunedì qualunque nel 2025.

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