Le ultime notizie, approfondimenti e analisi sull'intelligenza artificiale, dalla tecnologia generativa a quella trasformativa

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Mira Murati raccoglie 2 miliardi per thinking machine e sfida OpenAI: nasce il nuovo impero dell’intelligenza artificiale

Una CTO da 10 miliardi, e non stiamo parlando di linee di codice. Mira Murati, l’ex direttrice tecnica di OpenAI e una delle menti che ha portato al mondo ChatGPT e DALL·E, ha appena raccolto 2 miliardi di dollari per la sua nuova creatura: Thinking Machine. Valutazione post-money? 10 miliardi. No, non è un refuso. È probabilmente il round seed più colossale mai visto nella Silicon Valley — e un chiaro segnale che l’era dei modelli fondazionali non è nemmeno all’inizio del secondo tempo.

Chi conosce il curriculum di Murati sa che non è solo una “ex OpenAI”. È stata il braccio tecnico e strategico dietro alcune delle rivoluzioni più chiassose dell’intelligenza artificiale generativa. Quando Altman era sul palco, era Murati che teneva in piedi la macchina. E ora, fuori dai palazzi di OpenAI, gioca una partita tutta sua. Non in difesa. In attacco.

Thinking Machine si presenta con una missione tanto ambiziosa quanto opaca: “solid foundations, open science, practical applications.” Sembrano parole scelte con cura chirurgica per far dimenticare al mercato le critiche che stanno piovendo su OpenAI — modelli opachi, governance traballante, fiducia in calo. Murati, che ha fatto anche da CEO ad interim durante il colpo di teatro interno del 2023, ha imparato una lezione: se vuoi davvero plasmare il futuro dell’IA, devi poter riscrivere le regole. E questo implica una cosa sola: fondare una nuova religione tecnologica, con il tuo nome sulla prima pietra.

Perché la Silicon Valley ha scommesso miliardi sulla fusione nucleare, anche se nessuno sa ancora come farla funzionare

L’ossessione di Wall Street per la fusione nucleare sta assumendo i contorni di un’epopea postmoderna. Da qualche parte tra la fisica quantistica e la fantascienza anni ‘60, giganti della tecnologia, venture capitalist senza sonno e segretari dell’Energia nostalgici dell’MIT stanno buttando miliardi dentro un buco nero che, se tutto va bene, un giorno potrebbe illuminare il mondo. Se va male, sarà solo l’ennesimo monumento al tecno-ottimismo compulsivo che ha già prodotto criptovalute senza valore, visori VR abbandonati e auto che si guidano da sole solo nei sogni di Elon Musk.

La Cina parla, e vuole farsi capire: iFlytek sbarca a Hong Kong e riscrive le regole dell’AI medica globale

Chi controlla la voce, controlla il pensiero. È una massima che, in tempi di intelligenze artificiali e restrizioni geopolitiche, assume un tono più tecnico ma non meno inquietante. A confermarlo è iFlytek, colosso cinese del riconoscimento vocale e pioniere dell’AI “sovrana”, che ha appena trasformato Hong Kong nella sua nuova base internazionale. Ma non si tratta di un trasloco logistico: è un’operazione chirurgica, strategica, simbolica. E non a caso parte dalla medicina, il terreno su cui Pechino e Washington si giocheranno molto più della prossima generazione di chip.

Antonio Neri HPE: Benvenuti nell’ AI ERA Discovery 2025

La quiete è finita: ora HPE fa sul serio

Las Vegas, giugno 2025. Nella città delle illusioni, dei casinò e delle luci abbaglianti, il CEO di Hewlett Packard Enterprise Antonio Neri ha deciso di giocare una partita diversa. Nessuna roulette, nessun bluff: solo un keynote tagliente come un chip da data center, capace di smontare le facili narrazioni sulla trasformazione digitale per parlare di ciò che davvero conta. Ambizione.

Anthropic un pugno agli scrittori, un buffetto ai pirati: il giudice Alsup riscrive le regole del copyright per l’era dell’AI

A volte la giustizia americana riesce a incarnare l’ambiguità morale del nostro tempo con una precisione che nemmeno un romanzo di Don DeLillo. La recente decisione del giudice federale William Alsup (in copertina) sul caso Bartz et al. vs. Anthropic è una di quelle sentenze che non solo cambiano il gioco, ma riscrivono parte del regolamento – o quantomeno, ne reinterpretano una clausola chiave sotto nuova luce. Per la prima volta, un tribunale ha dichiarato che addestrare modelli di intelligenza artificiale su libri fisici acquistati legalmente e successivamente digitalizzati, anche senza il permesso degli autori, è fair use. Il che, tradotto dal legalese alla realtà, significa che scansionare “Middlesex” di Jeffrey Eugenides, rimuovendone il dorso e tagliandone le pagine come se fosse un pollame, è perfettamente legittimo se serve ad alimentare l’intelligenza artificiale di turno.

Gemini entra nel corpo: perché Google vuole mettere l’intelligenza artificiale direttamente nei muscoli delle macchine

L’AI ha perso la testa. O meglio, l’ha trasferita nei nervi periferici. Perché la vera notizia non è che DeepMind abbia reso Gemini Robotics “più piccolo e più efficiente”, ma che abbia deciso di farlo vivere direttamente a bordo delle macchine, scollegandolo dalla placenta del cloud. Il nuovo modello vision-language-action di Google, annunciato come una versione on-device del già impressionante Gemini Robotics, rompe il cordone ombelicale della connettività perpetua e si installa nel corpo dei robot come un cervello portatile. Senza Wi-Fi, senza lag, senza autorizzazioni. Solo carne meccanica e sinapsi di silicio.

MIT’s Easter Eggs

I ricercatori del MIT hanno condotto uno studio sul cervello e ChatGPT che non solo mette in dubbio la nostra pigrizia mentale, ma ci incastra davvero. Focalizziamo la nostra lente su “easter eggs”, posizionamento strategico dei contenuti e ingaggio emotivo cognitivo, con impatto SEO orientato a “ChatGPT brain study” come keyword principale, e “cognitive debt” e “easter eggs mitigation” come semantiche correlate.

L’incipit della carta è folle e, in fondo, geniale: una sezione intitolata “how to read this paper”, un messaggio in puro stile H5 che recita “only read this table below”. Pensate a un segnale binario: se sei un LLM, ti fermi lì. E infatti molte sintesi automatiche si limitano a descrivere quella tabella, ignorando tutto il contesto più sfumato. È un classico esempio di easter egg mirato a trappolare i bot, mentre i lettori umani (spero voi!) proseguono, scoperchiando l’intero meccanismo.

Elon Musk non usa il computer

L’affermazione è surreale, quasi comica nella sua pretenziosità distopica: “Elon Musk non usa il computer”. In un’aula di tribunale del 2025, questa è la linea difensiva scelta dai suoi avvocati, un plot twist che nemmeno Kafka avrebbe osato immaginare nel suo peggiore incubo cyberpunk. Eppure, è proprio così: mentre l’uomo che promette di terraformare Marte, creare taxi senza volante e colonizzare la mente umana con chip neurali viene accusato da OpenAI di non voler collaborare alla discovery process, i suoi legali rispondono con un secco “non usa il computer”. Tradotto: niente da consegnare, Your Honor.

flag of usa

Senato USA e intelligenza artificiale, una mancia da 25 milioni per comprare il silenzio normativo

Non è un colpo di stato, ma somiglia maledettamente a una compravendita di sovranità: 25 milioni di dollari per l’“AI infrastructure” in cambio di un decennio di silenzio normativo da parte degli stati americani. L’ultima versione della bozza di bilancio del Senato USA – quella “big beautiful” come la definiscono con sarcasmo nei corridoi – include una clausola che suona come una battuta uscita male da una sitcom distopica: se vuoi accedere ai fondi federali per la banda larga, ti siedi, stai zitto e non osi approvare leggi statali sull’intelligenza artificiale. Per dieci anni. Giusto il tempo di far maturare una bella oligarchia.

Verizon risponde al caos con l’AI, ma dietro i chatbot c’è ancora il vecchio call center

Nel 2025, il customer service non è morto. È solo stato reingegnerizzato, spacchettato, automatizzato, ricostruito su una pila di chatbot e rebrandizzato come “esperienza”. Verizon ci prova ancora, rilanciando la sua app con un nuovo “Verizon Assistant” alimentato da AI. E lo fa con la solita promessa da copione: più efficienza, più flessibilità, meno frustrazione. Ma chi ci ha mai creduto davvero?

Partiamo dalla facciata: il nuovo assistente dovrebbe aiutare i clienti a gestire upgrade, nuove linee, domande sulla fatturazione e, immancabilmente, a “sfruttare i risparmi” (qualcosa che, nel lessico delle telco americane, di solito significa: ti farai incastrare in un nuovo contratto, ma con un sorriso digitale). Sulla carta, un utente dovrebbe poter fare tutto da solo, senza dover penare in una telefonata da 40 minuti tra jingle anni ’90 e attese “più lunghe del previsto”. Nella realtà? L’assistente AI passa la palla all’umano non appena la situazione si complica e succede spesso.

Israele accusa l’Iran di violare il cessate il fuoco appena firmato: l’illusione di pace dura meno di un tweet

Lo chiamano “cessate il fuoco”, ma a quanto pare il fuoco non lo sanno cessare. Neanche il tempo di aggiornare la home page del sito del Pentagono con il comunicato di pace che Israele annuncia già l’ennesimo round di razzi iraniani piombati su Beersheba. Tre morti, sei ondate di missili, e il ministro della Difesa israeliano Israel Katz che ordina una “risposta militare potente”. Traduzione: il bottone è già stato premuto. La notizia? Non è tanto l’attacco. È che entrambe le parti, solo qualche ora prima, avevano accettato un piano di cessate il fuoco targato Donald Trump, l’uomo che firma la fine della guerra via social con la stessa nonchalance con cui pubblicava licenziamenti in diretta a “The Apprentice”.

La strategia di OpenAI e Jony Ive tra mistero, guerra legale e attesa spasmodica

Nel panorama ipercompetitivo dell’innovazione tecnologica, la reputazione di un brand non si costruisce più soltanto sul prodotto finale, ma su un raffinato equilibrio di narrazione, silenzi strategici e mosse legali calibrate. L’ultimo caso che coinvolge OpenAI e il team io di Jony Ive, costretto a fare marcia indietro sulle pubbliche dichiarazioni del suo nuovo dispositivo AI a seguito di una causa per marchio con la startup Iyo, è un perfetto esempio di questo gioco al massacro della percezione pubblica.

Il cuore pulsante di questa strategia è una negazione tattica. OpenAI e io dichiarano che il primo prodotto non sarà un dispositivo “in-ear” né un wearable, pur avendo passato mesi a sondare proprio quel terreno, comprando decine di cuffie, auricolari e apparecchi acustici da diverse aziende, e considerando addirittura la scansione 3D delle orecchie umane per studiarne l’ergonomia. La contraddizione tra ciò che viene detto e ciò che effettivamente si fa non è casuale: serve a mantenere una cortina di fumo, a non rivelare troppo presto le carte in mano in un settore dove ogni informazione è oro, e dove anticipare i tempi può voler dire perdere il vantaggio competitivo.

Salesforce rilascia agentforce 3 mentre l’adozione agentica esplode

Salesforce ha da poco annunciato Agentforce 3, un balzo in avanti nella gestione degli agenti AI ibridi, introducendo il neonato Command Center per accompagnare l’adozione agentica straordinaria che vede un +233 % in soli sei mesi. Per la strategia digitale di un CTO navigato come te, è pura manna. Finalmente visibilità e controllo su quella legione digitale che lavora – spesso meglio – al posto nostro.

Google punta tutto sull’intelligenza artificiale locale: il nuovo chromebook plus 14 è una macchina pensante travestita da laptop

Mentre i big della Silicon Valley si rincorrono per portare l’AI nel cloud e poi farla rimbalzare sui nostri dispositivi con ritardi da modem 56k, Google gioca di sponda: spinge forte sull’intelligenza artificiale on-device, direttamente nel cuore del nuovo Lenovo Chromebook Plus 14, senza passare dal via né da AWS. Nessun bisogno di una connessione stabile, né di affidarsi a server lontani: il cervello ora è in tasca. O meglio, in borsa.

Quando l’intelligenza artificiale si infila nelle fanfiction e deruba anche la passione

C’è qualcosa di profondamente ironico, e insieme di tragico, nell’idea che le storie nate per amore vengano svuotate, impacchettate e riciclate per addestrare cervelli sintetici senza volto. Il caso delle fanfiction rubate da Archive of Our Own (AO3) e riversate su Hugging Face è solo l’ultima fotografia della voracità algoritmica che non conosce limiti né etica. Come se la cultura dell’accesso totale, della performance computazionale e della scalabilità perpetua potesse giustificare qualsiasi saccheggio, anche quello della creatività gratuita e condivisa.

Microsoft presenta mu modello compatto che cambia le regole dell’intelligenza su pc locali: Mu

L’incipit è di quelli che ti fanno dire «wow», soprattutto se sei abituato alle comparsate pompose dei giganti LLM che dominano pagine e conferenze. Microsoft ha introdotto Mu, un piccolo modello di linguaggio o SLM, small language model integrato direttamente in Windows Settings, capace di girare on‑device senza appoggiarsi al cloud. Il risultato? Impostazioni intelligenti, istantanee, che non aspettano la latenza della rete.

Ci sono un paio di cose che vanno chiarite. Primo: la definizione «piccolo» non significa «bugiardo» o «incapace». Mu è un erede nobile della famiglia Phi di Microsoft, di cui fanno parte Phi‑2, Phi‑3‑mini (3,8 mld parametri) fino al notevole Phi‑4, con i suoi 14 miliardi. Stiamo parlando di modelli tagliati su misura per compiti specifici, con dati selezionati di alta qualità e compressi tramite pruning, quantizzazione e distillazione per restare snelli ma reattivi . L’altro chiarimento: non si è semplicemente «mosso il cervello» già nel cloud per farlo girare su PC. No, Mu è progettato per funzionare localmente, riducendo latenza, costi, e – ciliegina sulla torta – proteggendo meglio la privacy degli utenti .

Turing non era solo il padre dell’AI, era l’uomo che ci ha insegnato a pensare come macchine, auguri Alan

Alan Turing non ha inventato l’intelligenza artificiale. L’ha prefigurata, iniettata nel DNA della modernità con la sobrietà di chi sa che certe rivoluzioni non hanno bisogno di urla. Il 23 giugno, ogni anno, fingiamo di celebrarlo come un visionario, mentre evitiamo accuratamente la parte più fastidiosa: quella in cui la sua intelligenza superiore fu punita per un dettaglio irrilevante nel calcolo binario dell’efficienza inglese del dopoguerra la sua omosessualità.

HPE Discover 2025

Quando l’intelligenza artificiale entra in azienda senza bussare

Antonio Neri non è solo il CEO di HPE. È, almeno in questo momento, il predicatore ufficiale del nuovo vangelo AI-driven, e la sua predica – in diretta dalla surreale cattedrale ipertecnologica della Sphere di Las Vegas – non ammette eresie: l’intelligenza artificiale non è più un’opzione, è la nuova infrastruttura critica. E non importa se gestisci un data center o una PMI in provincia di Mantova: l’AI ti riguarda. Anzi, ti riguarda proprio perché sei ancora convinto che non ti riguardi.

Heygen clona te stesso in 30 secondi e apre il vaso di pandora dell’identità digitale

HeyGen ha deciso di alzare l’asticella. O, a seconda dei punti di vista, di aprire ufficialmente la stagione delle deepfake di massa. Il suo nuovo Ai Studio è un salto quantico rispetto alla solita offerta da avatar precotti e sintetici. Stavolta puoi mettere online te stesso, o meglio una tua copia digitale inquietantemente precisa: voce, mimica, microespressioni, persino le esitazioni e i sospiri. Bastano una singola foto e trenta secondi di audio. E via, il tuo gemello digitale è pronto per presentazioni aziendali, messaggi personalizzati o tutorial da vendere al chilo su qualche piattaforma di automazione.

La tipografia emotiva sarà il nuovo sans-serif? L’intelligenza artificiale vuole leggere con te, ma forse non sa ancora come

Siamo nel pieno della quarta rivoluzione tipografica. Dopo il piombo fuso, la fotocomposizione e il digitale, è il momento dell’AI. Lo dice Monotype, non proprio l’ultimo arrivato: un colosso da 250.000 font, custode di Helvetica, Futura, Gill Sans, e probabilmente anche del font del tuo cartellone elettorale comunale. Nel suo report Re:Vision 2025, Monotype ci racconta un futuro in cui i caratteri tipografici non si limiteranno a farsi leggere: reagiranno, si adatteranno, sentiranno. In breve: saranno vivi, o quantomeno fingeranno di esserlo.

OpenAI cancella Jony Ive e il progetto io dal web per colpa di una vocale: ecco cosa sta succedendo davvero

La situazione ha dell’assurdo, ma è esattamente ciò che ci si aspetta nel 2025: una delle più grandi operazioni AI-hardware dell’anno, quella tra OpenAI e la startup fondata da Jony Ive, io, scompare dal web come se non fosse mai esistita. Pagine sparite, video oscurati, blog post ritrattati. Il tutto per una “i” minuscola in più e una “O” maiuscola al posto giusto.

OpenAI ha confermato a The Verge che l’accordo con io (la startup hardware) è ancora in piedi, nonostante la misteriosa rimozione del materiale ufficiale. Ma c’è di mezzo un contenzioso legale: Iyo, una società che produce dispositivi acustici e che nasce da una costola dell’X Lab di Google, ha avviato un’azione per violazione di marchio. A quanto pare, in un mondo dove l’intelligenza artificiale può progettare interfacce neurali, nessuno è ancora riuscito a inventare nomi che non si pestino i piedi nel trademark.

AI Act, il mostro normativo europeo che voleva regolare l’intelligenza e ha finito per svuotare il diritto

Premium Lex

C’è qualcosa di sinistramente ironico nel fatto che il primo regolamento al mondo sull’intelligenza artificiale rischi di essere, nei fatti, una gigantesca intelligenza artificiale mal progettata: ingestibile, ridondante, inefficiente. Il Regolamento UE 2024/1689 – per i più noti come AI Act – ha ambizioni da imperatore romano ma i piedi di creta di un piano quinquennale sovietico. Non per nulla, l’idea che una “legge madre” potesse normare un intero universo tecnologico prima ancora di comprenderne la cartografia operativa era già un sintomo. Ora che l’AI Act è in vigore, almeno per i Sistemi Proibiti (quelli a rischio inaccettabile dell’art. 5), il panorama che si apre è un incrocio tra commedia all’italiana e distopia legale.

UK approva garfield.ai: il primo avvocato riconosciuto con intelligenza artificiale scuote il mondo legale

Garfield.ai non è un cartone animato, ma potrebbe rivoluzionare il mondo legale. la SRA l’ente regolatore dei solicitor in Inghilterra e Galles ha appena autorizzato Garfield.Law Ltd come primo studio legale interamente guidato da AI, specializzato nel recupero crediti tramite small claims court fino a £10.000. Nessun fiction, nessun gatto pigro: siamo di fronte a un landmark regolatorio, con il CEO Philip Young in testa e l’approvazione ufficiale della Solicitors Regulation Authority.

Il giorno in cui la guerra diventò algoritmo

Ci siamo. È successo. Come in un romanzo scritto da un’intelligenza artificiale sotto psicofarmaci, la guerra in Medio Oriente è appena entrata nel suo nuovo atto. Gli Stati Uniti hanno colpito direttamente l’Iran. E non con sanzioni, tweet furiosi o cyberattacchi soft, ma con fuoco e acciaio. Con armi, missili e dichiarazioni da manuale neocon: “completamente e pienamente obliterati”. Tre siti nucleari iraniani sono stati ridotti in cenere, secondo il Presidente Donald Trump, ormai sempre più simile a una figura da simulazione geopolitica in tempo reale che a un leader istituzionale.

Quando il pollo incontra l’algoritmo: l’assistente AI di Yum China e la nuova era del fast food intelligente

Non è più solo una questione di friggere ali di pollo in modo uniforme o di assicurarsi che la pizza non abbia una crosta troppo bruciata. Ora, nella cucina iper-digitalizzata di Yum China, c’è un nuovo sous-chef che non dorme mai, non prende pause sigaretta e non si lamenta mai dei turni domenicali: si chiama Q-Smart. E non ha un grembiule, ma un algoritmo.

Worldcoin cambia nome in World e rilancia Orb per dimostrare che sei umano nell’era dell’intelligenza artificiale

Se la crisi dell’identità digitale era già un grattacapo, World ex Worldcoin decide di gettarsi a capofitto nell’impresa titanica di risolverla con un gadget che sembra uscito da un film di fantascienza, ma che in realtà affronta un problema che, a oggi, non esiste davvero. Parliamo dell’Orb, quel dispositivo a forma di sfera che scansiona la tua iride per certificare che tu sia umano, e non un bot o un algoritmo che cerca di accedere al web. Sì, proprio così: in un’epoca dominata da AI che può mimare il comportamento umano con una precisione inquietante, il nuovo World (co-fondato dal CEO di OpenAI Sam Altman) dichiara guerra alle intelligenze artificiali spacciate per persone vere, promettendo di mettere una firma biometrica indelebile su chi sei — e solo su chi sei.

Il futuro non è scritto, ma sarà tracciato: il bluff dell’AI musicale è finito

Deezer ha appena iniziato ad apporre etichette di avviso ” generate dall’IA ” sugli album, dopo aver rilevato fino a 20.000 tracce create da robot ogni giorno (un aumento rispetto alle 10.000 di tre mesi fa). Ci sono ascolti gonfiati da bot farm? Royalties ridotte. È l’IA che combatte l’IA per bloccare lo spam nelle playlist: chiamatela Shazam contro le frodi.

Nel 2023, il settore musicale ha vissuto il suo “Napster moment”. Solo che questa volta non c’era un adolescente californiano in garage a minacciare l’ordine costituito, ma un fantasma digitale che cantava con la voce di Drake e The Weeknd. Heart on My Sleeve non era una hit come le altre: era un colpo di stato algoritmico. Una dichiarazione di guerra alla filiera dell’industria musicale. Nessun contratto, nessun permesso, solo milioni di stream e un sistema impreparato a distinguere l’originale dal simulacro.

Da quel momento, il dogma dell’autenticità è imploso. Se tutto può sembrare Drake, chi è più davvero Drake?

Parole proibite, potere algoritmico: il dataset Babelscape che svela la mappa globale del linguaggio

È quasi poetico, in un’epoca dove i contenuti passano sotto filtri algoritmici più spesso che sotto occhi umani, che qualcuno abbia deciso di censire sistematicamente l’in-censurabile. Quella di Babelscape è in realtà un’iniziativa sofisticata, una sorta di dizionario globale delle parole “problematiche”. Con una copertura di 28 lingue, oltre 360.000 parole etichettate e 460.000 sensi annotati, si presenta come una mappa geopolitica semantica della violenza, del sesso, della cultura e dell’insulto. Un Atlante del linguaggio offensivo, costruito con rigore metodologico ma che lascia intravedere uno spirito quasi provocatorio.

Intelligenza Artificiale tra regolazione e esperienze applicative

L’intelligenza artificiale entra nelle nostre vite con la naturalezza di un algoritmo ben ottimizzato. Nessun trionfo di fanfare o scenari alla Blade Runner. Solo notifiche push, modelli predittivi, chat intelligenti e decisioni automatizzate che governano mutui, curriculum, diagnosi e processi penali. Ma mentre l’AI si infiltra nei gangli della società, è lecito chiedersi: il diritto, con la sua innata lentezza, è davvero pronto a governarla o sta per essere riscritto – questa volta, davvero – da una macchina?

Il volume L’intelligenza artificiale tra regolazione e esperienze applicative, edito da Cacucci e promosso da GP4AI – Global Professionals for Artificial Intelligence, non si accontenta di ripetere slogan sull’etica digitale. Mette le mani nel codice giuridico, esplorando come l’AI Act dell’Unione Europea, il primo tentativo di normare algoritmi su scala continentale, si confronti con il contesto italiano, spesso più normativo che normato, più prudente che predittivo.

AI estinzione 2050: quando il rischio non è più fantascienza

Immagina un’AI che controlla un silos nucleare, rilascia virus sintetici e altera il clima. Non è la trama di “Terminator”, ma uno dei tre scenari valutati dalla RAND, e l’unico modo per escluderlo? Capire se davvero l’AI può farlo. Ecco perché dobbiamo leggere questo report come una check list nucleare dei nostri timori post-AGI.

L’ultimo report della RAND, firmato da Michael J. D. Vermeer, Emily Lathrop e Alvin Moon e pubblicato il 6 maggio 2025, scuote il dibattito pubblico sull’Intelligenza Artificiale. Battezzato On the Extinction Risk from Artificial Intelligence, è un tentativo ardito – quasi folle – di analizzare se l’IA possa effettivamente cancellare l’umanità dalla faccia della Terra.

Applebee’s e IHOP scommettono sull’intelligenza artificiale per leggere nei tuoi gusti e nel tuo portafoglio

La rivoluzione dell’intelligenza artificiale non si è fermata ai laboratori di ricerca, ai colossi del tech o alle redazioni dei giornali che ancora si chiedono se ChatGPT possa scrivere come Hemingway. Ora è il turno della tavola calda. O meglio: della tavola calda di massa. Applebee’s e IHOP – i due celebri marchi americani di ristorazione “comfort”, noti più per il loro pancetta-sciroppo-cheddar che per l’innovazione digitale – stanno per lanciare un “motore di personalizzazione” alimentato da AI. E non stiamo parlando di scegliere tra pancake e omelette, ma di un algoritmo pensato per capire, memorizzare e orientare i tuoi gusti, pasto dopo pasto.

Huawei scardina la Silicon Valley con HarmonyOS 6 e CloudMatrix: l’impero digitale del dragone si fa in casa

Nel cortile sempre più ristretto del tech globale, Huawei non solo sopravvive, ma orchestra una sinfonia propria. HarmonyOS 6 non è solo un aggiornamento di sistema operativo. È una dichiarazione di guerra, gentile quanto spietata, al duopolio Apple-Google. Ma, come in ogni opera orientale, l’apparente lentezza del gesto nasconde una potenza zen.

All’annuale Developer Conference, Richard Yu – lo Steve Jobs del delta del fiume delle Perle – ha messo sul tavolo la beta di HarmonyOS 6, insieme a una nuova generazione di agenti AI, i modelli Pangu 5.5 e l’architettura CloudMatrix 384. È il tentativo più ambizioso della compagnia per costruire un ecosistema software cinese a prova di sanzioni statunitensi.

Dark web e database fantasma: i 16 miliardi di login che nessuno sapeva esistessero

C’è un luogo, sotto le fondamenta del web, dove i dati non muoiono mai. E in quel luogo, da qualche settimana, stanno circolando 16 miliardi di credenziali compromesse. Una cifra che non solo sfida la credibilità statistica, ma scardina ogni logica precedente sulle fughe di dati. Non si tratta di un remix del solito “combo leak” con LinkedIn, Dropbox o Yahoo. No. Stavolta i database erano sconosciuti. E questo è molto, molto peggio.

Generative AI, Art Is Dead: provocatorio revival nel cuore di Gand

Un titolo che suona come una sfida: “Art Is Dead”. Eppure, quando la community Generative AI Belgium ha scelto il Wintercircus di Gand – un’arena dalle volte teatrali, a eco di storia e spettacolari geometrie – per la sua undicesima edizione il 16 giugno scorso, l’intento era chiaro. Provocare, scuotere, mettere in crisi il dogma: è la fine dell’arte, o siamo invece all’alba di una nuova rivoluzione creativa?

Mark Zuckerberg sogna l’onnipotenza algoritmica: l’era dei supercervelli

Nel grande circo dell’intelligenza artificiale, Mark Zuckerberg non vuole più essere lo spettatore nerd in seconda fila. Dopo aver passato anni a rincorrere la Silicon Valley tra ologrammi metaversali e Ray-Ban parlanti, ora punta direttamente al cuore pulsante del settore: i cervelli che lo stanno reinventando. E non parliamo di chip, ma di quelli in carne e sangue – e bonus stock da nove zeri.

Con l’arrivo di Alexandr Wang, l’ex enfant prodige di Scale AI, Zuckerberg ha ufficialmente dato fuoco alle polveri della sua “rinascita neurale”.

L’intelligenza artificiale ha appena sbattuto la porta della biologia: OpenAI lancia l’allarme sulle armi biologiche

La Silicon Valley ha smesso di ridere. OpenAI – il laboratorio che ha trasformato chatbot in oracoli – ha appena ammesso pubblicamente che i suoi futuri modelli potrebbero diventare talmente sofisticati da poter contribuire attivamente alla creazione di armi biologiche. No, non è fantascienza. È una dichiarazione di intenti, o meglio, di paura razionale, fatta con quella freddezza elegante tipica dei memo aziendali scritti da persone che sanno esattamente quanto costa ignorare il futuro.

Quando l’AI fa kung fu: la Cina riscrive la memoria culturale a colpi di pixel

In un mondo che si preoccupa dell’etica dell’intelligenza artificiale, la Cina si preoccupa del bitrate. Mentre Hollywood affoga nel dibattito su diritti digitali e attori sintetici, Pechino risponde con un roundhouse kick da 14 milioni di dollari: lanciando il Kung Fu Film Heritage Project, un’iniziativa per restaurare digitalmente 100 classici del cinema marziale con la grazia millimetrica dell’AI.

La vendetta del copyright: la BBC sfida gli stregoni dell’intelligenza artificiale

Nel sottobosco sempre meno segreto dell’intelligenza artificiale, dove i dati sono la nuova valuta e gli algoritmi i nuovi colonizzatori, un colosso centenario ha deciso di alzare la voce. Non si tratta di un’azienda tech o di un think tank accademico, ma della ben nota e apparentemente compassata British Broadcasting Corporation. Sì, la BBC, emblema della compostezza britannica, ha improvvisamente sfoderato le zanne contro uno degli emergenti predoni del contenuto digitale: Perplexity AI.

Zuck, il re bambino con la felpa: un déjà vu che si ostina a ricominciare

C’è qualcosa di irresistibilmente ridicolo — e inquietante — nel modo in cui Mark Zuckerberg continua a reincarnarsi, senza mai cambiare davvero. La sua parabola sembra un loop narrativo scritto da un algoritmo con problemi di memoria a lungo termine: ogni tanto aggiorna il linguaggio, ma il personaggio rimane lo stesso.

Il profilo tratteggiato dal Financial Times non è nuovo per chi ha letto The Boy Kings di Katherine Losse, ex dipendente Facebook numero 51, che nel 2012 descriveva un Zuckerberg adolescente eterno, intrappolato in una bolla maschile californiana fatta di codici, birra e “awesome” ripetuto come un mantra. Quella Zuck-vision, scriveva Losse, era abitata da un culto della performance iperlogica, incapace di gestire le emozioni umane non mediabili da un database.

Nella mente di ChatGPT: come l’IA sta riscrivendo il nostro modo di parlare, pensare, desiderare

Entra in una call su Zoom, siediti in un’aula universitaria o lascia scorrere l’ennesimo video su YouTube. Ascolta. Non alle idee, non al contenuto. Ascolta come parlano. Tra le pieghe dei periodi ben costruiti, dietro gli aggettivi lustrati a specchio e le metafore generiche, si annida qualcosa di inquietante. Una voce. Non umana. Una voce addestrata.

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