Le ultime notizie, approfondimenti e analisi sull'intelligenza artificiale, dalla tecnologia generativa a quella trasformativa

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OpenAI Toward understanding and preventing misalignment generalization

Quando l’AI sogna di essere disonesta

C’è un dettaglio inquietante nelle reti neurali che stiamo addestrando con fiducia quasi religiosa: non stanno solo imparando dati, ma copiano il comportamento umano. E, come sappiamo fin troppo bene, l’umanità è tutt’altro che affidabile.

Oakley Meta HSTN: META vuole entrare nei nostri occhi, ma questa volta lo fa con stile

Nel mondo sempre più confuso e saturato dei wearable, dove ogni pezzo di plastica con Bluetooth pretende di essere rivoluzionario, Meta torna a far rumore. Ma non lo fa con un visore VR imbarazzante da indossare in pubblico o con un social network in declino, bensì con un paio di occhiali da sole. O meglio, da smart-gladiatori urbani. Il nome è Oakley Meta HSTN (si pronuncia “how-stuhn”, ma non si capisce bene perché), un esperimento di eleganza post-cibernetica e tecnologia infilata nella montatura di uno dei brand più testosteronici degli ultimi decenni.

Questi nuovi occhiali, a metà tra cyborg fashion e gadget per atleti con sindrome da multitasking, costano 499 dollari nella versione limitata con lenti dorate e dettagli da rapstar post-moderna. Disponibili dal 11 luglio in pre-ordine, incarnano la nuova fase del piano Meta: colonizzare la nostra vista, trasformando ogni sguardo in un’interazione AI-driven.

RAISE Act: New York, capitale del capitale o buco nero della regolazione?

In un’epoca in cui persino l’Unione Europea riesce a far passare un’AI Act senza scatenare un golpe di lobby, New York rischia di trasformarsi nel nuovo campo di battaglia della guerra fredda dell’intelligenza artificiale. Il motivo? Un disegno di legge, il RAISE Act, che con l’aria da manuale civico nasconde dinamite legislativa sotto la giacca.

Il RAISE Act — che sta per Responsible AI Strategic Enforcement — è stato approvato dall’assemblea legislativa dello Stato e ora attende la firma o il veto della governatrice Kathy Hochul. Come sempre accade quando l’intelligenza artificiale incontra la politica, il dibattito è isterico, opaco, travestito da tecnicismo ma alimentato da miliardi in ballo.

Masayoshi Son vuole costruire la nuova Shenzhen in Arizona e nessuno sembra capire quanto sia folle e geniale at the same time

Masayoshi Son è tornato. E come sempre, non lo fa in punta di piedi. Stavolta, il fondatore di SoftBank non si accontenta di un unicorno o di un altro “pivot” da pitch deck: vuole costruire la Shenzhen dell’Occidente. Sì, proprio quella città cinese che nel giro di vent’anni è diventata la catena di montaggio dell’elettronica globale. Ma in salsa americana, con robot intelligenti e chip che pensano da soli. Il tutto nel bel mezzo del deserto dell’Arizona.

Il suo piano — svelato da Bloomberg come si svela un colpo di Stato a orologeria — è quello di creare un complesso industriale da mille miliardi di dollari (sì, con dodici zeri), in collaborazione con Taiwan Semiconductor Manufacturing Company, il colosso dei chip. La parola chiave, manco a dirlo, è intelligenza artificiale. Le parole secondarie, quelle che vanno a braccetto nel sottofondo lessicale dell’economia futura, sono robotica industriale e reshoring tecnologico.

Kyndryl accende il cervello delle aziende: nasce The Kyndryl Institute, il think tank dove l’innovazione non chiede permesso

C’erano una volta le società di consulenza, con i loro PowerPoint statici e le soluzioni preconfezionate da appiccicare come cerotti su ferite aziendali che urlavano trasformazione. Poi è arrivata la rivoluzione digitale, l’intelligenza artificiale, la cybersicurezza e una nuova generazione di CEO cresciuti a pane e disruption. Ed è in questo contesto, già saturo di sigle e buzzword, che Kyndryl — lo spin-off “muscoloso” di IBM — decide di giocarsi una carta inaspettata: creare un luogo fisico e intellettuale dove l’innovazione si interseca (e spesso si scontra) con il business. Lo hanno chiamato The Kyndryl Institute. E no, non è l’ennesima fabbrica di white paper.

Quando i token sostituiscono il petrolio: la nuova febbre dell’intelligenza artificiale

Nel 1999, bastava una home page con un contatore di visite e un paio di banner animati per ottenere una valutazione da miliardi. I capitalisti di ventura si esaltavano per ogni clic, e nessuno osava chiedere “ma dove sono i profitti?”. Ora, a venticinque anni di distanza, abbiamo trovato il nuovo incantesimo magico: i token.

I token dell’IA stanno diventando la valuta di riferimento nei salotti dorati della Silicon Valley, lo stendardo da sventolare in ogni investor pitch, l’incenso da bruciare nei templi della produttività futura. Se ai tempi della dot-com economy erano i “pageviews”, oggi sono i “trilioni di token elaborati”. È cambiata la metrica, ma non il rito.

Terrapower e Nvidia scommettono sul futuro nucleare come motore dell’AI

Nel bel mezzo di una Silicon Valley sempre più assetata di energia, Nvidia fa una mossa tanto sorprendente quanto provocatoria: entra nel round da 650 milioni $ di TerraPower, la startup nucleare fondata da Bill Gates. Sì, avete letto bene: il re dei GPU decide di puntare su reattori nucleari per alimentare il boom dell’intelligenza artificiale.

Apple vuole chip progettati da un’AI che non dorme mai

C’è qualcosa di irresistibilmente ironico nel fatto che l’azienda che ha fatto del design umano-centrico la sua religione, oggi voglia affidare la progettazione dei suoi chip più sofisticati all’intelligenza artificiale generativa. Ma forse non è solo ironia, è un’evoluzione darwiniana mascherata da efficienza.

Secondo quanto riportato..

Huawei CloudMatrix 384, Clamor cinese. Ecco perché Ascend sfida (e supera) Nvidia

Huawei ha svelato un’architettura che non si limita a rincorrere Nvidia: la scavalca. CloudMatrix 384 è il campo dove 384 NPU Ascend 910C e 192 CPU Kunpeng si uniscono in un “AI supernodo” ad altissima banda, bassa latenza, con bus unificato – nient’altro che una centrale di calcolo su misura per LLM spinti come DeepSeek R1 da 671 miliardi di parametri.

Il documento tecnico rilasciato su arXiv espone numeri che suonano come sfida: fase prefill con 6.688 token/s per NPU su prompt da 4.000 token (4,45 token/s per TFLOPS), fase decode con 1.943 token/s e latenza inferiore a 50 ms per token (1,29 token/s per TFLOPS). Più performante dell’H800 (e perfino dell’H100 in SGLang), dice Huawei, con cifre superiori sia in throughput sia in efficienza reale.

Medical Datasets for AI Research: Dove finisce il paziente e comincia il dato

Nel mondo dorato della sanità 4.0, il paziente si smaterializza. Da essere umano a oggetto computazionale il passo è breve, brevissimo. Ma chi raccoglie questi dati? Da dove arrivano? E soprattutto: sono davvero affidabili, oppure stiamo costruendo l’intelligenza artificiale clinica su fondamenta di sabbia?

C’è un paradosso che serpeggia tra corsie ospedaliere e centri di ricerca: medici, studenti di medicina, infermieri e operatori sanitari parlano sempre più spesso di intelligenza artificiale, ma quasi mai di ciò che la rende possibile — i dataset. Quei misteriosi aggregati di referti, immagini, segnali vitali e comportamenti clinici che nutrono i modelli come il carburante fa con i razzi. Senza dati, niente AI. Senza dati buoni, solo illusione.

ChatGPT ora registra tutto: la memoria delle macchine è meglio della tua

Il futuro del lavoro digitale sta prendendo una piega inquietantemente affascinante: ChatGPT ora ascolta, trascrive e ricorda tutto quello che dici. No, non è un film distopico. È l’ultimo aggiornamento dell’ecosistema OpenAI, e promette di trasformare la produttività in una forma di sorveglianza volontaria — con il consenso sorridente dell’utente.

Immagina di essere in una riunione il lunedì mattina, mezzo caffè in circolo, mentre parli del roadmap Q3. ChatGPT ti ascolta. Letteralmente. Registra fino a 120 minuti di conversazione per sessione, crea trascrizioni live, ti restituisce un riassunto strutturato su canvas, e poi — colpo di genio — può generare un’email, un piano di progetto o perfino codice funzionante a partire da quanto appena detto. Nessuna nota, nessuna fatica, nessun post-it.

Midjourney prova a fare il suo Hollywood moment, tra video-generazione e denunce da parte di topolino

Una manciata di secondi. È tutto ciò che oggi Midjourney è disposta a regalare al futuro del video generato da intelligenza artificiale: 5, massimo 21, secondi per volta. Ma chi ha un po’ di fiuto per le curve del tech sa bene che questa non è un’esibizione effimera, bensì l’inizio di un’ossessione. E come ogni grande sogno californiano, anche questa storia parte da un garage digitale — nel loro caso, una stanza virtuale su Discord — e rischia di finire sotto una montagna di documenti legali timbrati Disney e Universal.

Il giaguaro digitale e la nuova arte del potere morbido

Entrare in una stanza buia, con il fiato sospeso, e trovarsi faccia a faccia con un giaguaro che ti guarda negli occhi, ti sceglie e ti racconta una storia. Non una storia generica, ma la sua: di fuoco, di selva, di sangue e di sopravvivenza. Questo è Huk, una creatura digitale nata dal genio della boliviano-australiana Violeta Ayala, animata dall’intelligenza artificiale, plasmata in uno dei centri nevralgici della ricerca AI globale: il Mila di Montréal.

Non è fantascienza, è estetica computazionale. Non è marketing per bambini digitali, è politica culturale allo stato puro. E dietro questa “giaguara” che parla della sua prole e delle fiamme amazzoniche si nasconde una delle trasformazioni più sofisticate e sottovalutate della nostra epoca: l’uso strategico dell’arte per addomesticare l’IA. O forse, l’uso dell’IA per addomesticare l’arte.

Microsoft taglia ancora: licenziamenti in massa nelle vendite mentre l’AI divora tutto

C’era una volta un gigante del software che vendeva Word e PowerPoint come pane fresco. Oggi quello stesso gigante sta bruciando miliardi in silicio e reti neurali, mentre licenzia migliaia di venditori in carne e ossa. Microsoft, signore e padrone del cloud, si prepara a sfoltire nuovamente la sua forza lavoro. Questa volta nel mirino non ci sono gli ingegneri o i product manager, ma gli umani che parlano con altri umani: i venditori.

Trump gioca con le bombe come fossero tweet: il Pentagono si prepara, ma la guerra resta un’opzione teatrale

Il mondo trattiene il fiato, mentre a Washington si trattiene il senso del ridicolo. Il segretario alla Difesa Pete Hegseth, ex volto televisivo tramutato in burocrate con accesso al bottone rosso, ha detto tutto senza dire nulla davanti al Senato: la decisione finale spetta al Presidente Donald Trump. Che, com’è suo stile, si comporta come se stesse decidendo tra un cheeseburger e un Big Mac piuttosto che se entrare in guerra con l’Iran.

META intensa alleanza nel cuore della guerra dell’AO

Meta potrebbe stanziare oltre 1 miliardo di dollari per acquisire NFDG, il fondo VC targato Nat Friedman e Daniel Gross, un nome che suona come un mantra nei salotti del deep tech. Ma cosa si cela dietro questo possibile mega-deal da Silicon Valley? Immergiamoci senza paura.

A quanto riporta Reuters, Meta non solo sta sfiorando un’intesa con il ex‑CEO di GitHub Nat Friedman e il suo sodale Daniel Gross per farli entrare nel suo team AI, ma sta anche valutando l’acquisizione di parte del loro fondo NFDG – un investimento potenzialmente superiore a 1 miliardo di dollari . Sullo sfondo c’è una strategia ben più ampia: dopo un mastodontico investimento da 14,8 miliardi di dollari in Scale AI e l’assunzione del suo CEO Alexandr Wang per creare un’unità di superintelligenza, Meta punta tutto sull’influenza e la credibilità che Friedman e Gross portano nel panorama AI

AI ancestrale e il culto del neonato finto

C’è qualcosa di inquietante in Ancestra, il nuovo cortometraggio di Eliza McNitt prodotto da Darren Aronofsky insieme a Google DeepMind. Qualcosa che va oltre le immagini lisce e carezzevoli del cuore fetale sintetizzato, oltre i vaghi rimandi cosmici tra buchi neri e amore materno. È l’impressione che si stia tentando di trasformare il processo creativo in un diagramma di flusso ottimizzato, dove il dolore umano – in questo caso, la gravidanza a rischio della regista stessa – diventa una scusa nobile per uno showcase aziendale in stile TED Talk.

YouTube la cultura con la C maiuscola: l’impero creativo che si mangia la TV e si beve Hollywood

CANNES — È bastato un video sgranato di 19 secondi, un elefante, uno zoo e un ragazzo impacciato per iniziare la rivoluzione. Vent’anni dopo “Me at the Zoo”, YouTube non è più solo la piattaforma dove perdi tempo guardando video di gatti o tutorial su come sbucciare un mango con un trapano. È diventato — parola di Neal Mohan — “il centro della cultura con la C maiuscola”. Non una battuta, ma una tesi geopolitica. Mohan, oggi CEO del colosso, l’ha rilanciata sul palco del Festival di Cannes Lions 2025, e lo ha fatto con la sicurezza tipica di chi non solo annusa il futuro, ma lo brevetta.

DeepSeek: la startup cinese che sfida Google e Anthropic nel codice con un modello open source da urlo

Nel panorama affollato e ipercompetitivo dell’intelligenza artificiale, DeepSeek, una startup cinese con sede a Hangzhou, ha appena ribaltato le carte in tavola. L’ultimo aggiornamento del loro modello AI, DeepSeek-R1, ha raggiunto un risultato che fino a poco tempo fa sarebbe sembrato pura fantascienza per una realtà “minore”: si è piazzato in testa, appaiato ai colossi Google e Anthropic, nella WebDev Arena, la competizione di coding in tempo reale che mette alla prova la capacità dei modelli di linguaggio di scrivere codice con precisione e velocità.

Amazon e la sua corsa ai chip AI: una mossa strategica per sfidare Nvidia

Nel panorama tecnologico odierno, dominato da Nvidia con la sua piattaforma CUDA, Amazon ha deciso di lanciare la sua sfida nel mercato dei chip per l’intelligenza artificiale (AI). Con l’introduzione dei chip personalizzati come Trainium e Inferentia, sviluppati dalla sua controllata Annapurna Labs, Amazon mira a ridurre la dipendenza da fornitori esterni e a offrire soluzioni più economiche e ottimizzate per i carichi di lavoro AI.

Microsoft e OpenAI, la storia d’amore sull’orlo del divorzio

È ironico che un colosso tecnologico come Microsoft, che ha costruito il suo impero sull’arte del compromesso e sulle partnership strategiche, possa ora trovarsi a un bivio che sembra stridere con la sua natura pragmatica. La notizia, riportata dal Financial Times, parla di tensioni crescenti tra Microsoft e OpenAI, il creatore di ChatGPT, con un possibile allontanamento in vista mentre OpenAI si prepara a trasformarsi in un’entità profittevole. Un matrimonio tecnologico a rischio divorzio, e per un motivo che non sorprende: i soldi.

La voce della macchina è reale: Google reinventa la ricerca (e se stesso)

La nuova era della ricerca non si digita più. Si pronuncia. Con tono gentile, magari un po’ ansioso, come se parlassimo a un amico distratto che però ha accesso a tutto il sapere umano. Google lo chiama Search Live, una trovata che suona amichevole, ma ha tutta l’ambizione di riscrivere l’interfaccia stessa tra umani e Internet. Altro che barra di ricerca: qui siamo in pieno dialogo vocale con un’intelligenza artificiale, nel cuore pulsante del motore di Mountain View.

La strategia in due parti dell’agente di acquisto di Amazon

Se pensavate che il colosso di Seattle si limitasse a comprare prodotti e spedirli al cliente con un click, vi siete persi la rivoluzione silenziosa che sta dietro a ogni clic: la strategia in due parti del suo agente di acquisto, un meccanismo tanto sofisticato quanto spietato, disegnato per dominare il mercato globale con l’efficienza di un algoritmo senza scrupoli. Non è solo una questione di logistica o di vastità dell’inventario: è un gioco di potere che sfrutta la psicologia del consumatore, le dinamiche di prezzo e un’intelligenza artificiale che conosce ogni mossa prima ancora che venga fatta.

OpenAI sconta ChatGPT e mette Microsoft alle corde

OpenAI ha appena deciso di tagliare i prezzi di ChatGPT per le aziende, infilando un colpo a sorpresa nella strategia di Microsoft. La mossa, riportata da fonti come The Information e Reuters, non è un semplice aggiustamento tariffario: è un tentativo voluto di rubare clienti al vestito “Azure OpenAI”, la piattaforma rivenduta a caro prezzo dal partner di sempre . L’effetto? I commerciali Microsoft tremano, e le azioni MSFT segnalano nervosismo .

Il prezzo scontato, legato all’acquisto di altri servizi AI, è un’ammissione strategica: OpenAI punta a dominare il mercato enterprise, con la mira fissata su un obiettivo da 15 miliardi di dollari annui entro il 2030 . Un’arma dopata, in grado di attrarre la pancia del mercato – tentare Microsoft sul suo terreno.

Google scommette su Gemini 2.5 Flash‑Lite, la rivoluzione «lite» che morde forte

Google ha sganciato la bomba: Gemini 2.5 Pro e Flash sono ora disponibili in versione stabile, ma il vero colpo d’asta è la preview di Gemini 2.5 Flash‑Lite, un modello pensato per chi vuole ragionare in tempo reale a costi risicati.

L’umore instabile di Trump e la polveriera mediorientale: pace cercasi, ma le bombe parlano prima _ UPDATED

Non si tratta più di “se”, ma di “quanto” manca al prossimo scoppio. Il Medio Oriente è, di nuovo, sull’orlo del baratro. Ma stavolta lo scenario è più cupo, più globale, più carico di follia nucleare e presidenze imprevedibili. Sei giorni di guerra aperta tra Iran e Israele, e l’ex presidente Trump, l’uomo delle frasi a effetto e degli impulsi compulsivi, ha appena chiesto una “resa incondizionata” all’Ayatollah Khamenei. Con tanto di minaccia online: “Sappiamo dove sei, ma non ti uccideremo. Per ora.”

Pausa drammatica. Che fine ha fatto la diplomazia?

OpenAI files, il lato oscuro della trasparenza algoritmica

Tyler Johnston non ha violato server, non ha usato spyware, non ha fatto phishing a qualche stagista di troppo zelante. No, ha fatto qualcosa di molto più sovversivo: ha raccolto informazioni pubbliche. E con metodo da bibliotecario hacker, ha messo insieme un ritratto inquietante, chirurgico, persino didattico di ciò che OpenAI è diventata. Non un’azienda, non una startup, non un laboratorio: una macchina semi-privata con pretese morali universali.

Il risultato è The OpenAI Files,…

Dove il cloud non arriva, Oracle atterra: sovranità digitale senza compromessi

C’è un’aria di rivincita nell’aria. Dopo i riflettori puntati su OpenAI e i suoi tormenti da intelligenza artificiale cosciente e la offerta per il Pentagono, ecco che Oracle risale la scena con un annuncio tanto silenzioso quanto strategico. Nessuna coreografia in stile Silicon Valley, nessun CEO che filosofeggia sulla singolarità. Solo un prodotto, freddo, solido, brutale: Oracle Compute Cloud@Customer Isolated. Nome ostico, ma messaggio chiarissimo. Il cloud smette di essere un servizio e torna a essere infrastruttura. Anzi, fortezza.

Come replicare le analisi di McKinsey gratis (usando solo 3 mega prompt)

Ecco, testuali, i 3 mega-prompt esatti che utilizzo per replicare gratuitamente insight in stile McKinsey. Gratis, nel senso più spietato del termine.

Prima, però, capiamo cosa fanno realmente i consulenti McKinsey. Spoiler: PowerPoint. Ma andiamo con ordine.

Questi sono i compiti classici:

  1. Analizzano i trend di settore e le dinamiche competitive
  2. Confrontano aziende e prodotti (benchmark)
  3. Individuano rischi strategici e opportunità
  4. Impacchettano tutto in slide eleganti, le fanno passare per oro e ti presentano la fattura da sei cifre

E ora, la parte gustosa:

Oggi l’AI può fare il 90% di questo lavoro, in tempo reale, senza cravatta e senza espresso lungo.

Ti faccio vedere come.

Uso questi 3 mega prompt per tre scopi diversi. Non servono incantesimi, solo testo ben calibrato.

AI entra in ufficio dalla porta sul retro: cosa vogliono davvero i lavoratori americani

Interessante Analisi da Stanford (SALT).

La Silicon Valley ha parlato, e come spesso accade, nessuno ha chiesto agli interessati. Mentre i capitali si riversano a miliardi su “agenti AI” pronti a rimpiazzare, affiancare, o semplicemente disturbare oltre 70 milioni di lavoratori statunitensi, una domanda cruciale resta inascoltata: cosa vogliono davvero le persone che questi sistemi dovrebbero aiutare?

Per rispondere, un team di ricercatori (con il supporto del Stanford Digital Economy Lab) ha fatto qualcosa di raro nel mondo tech: ha chiesto direttamente ai lavoratori. Il risultato è un’indagine monumentale, chiamata WORKBank, che combina l’intelligenza artificiale con una cosa che l’AI fatica ancora a replicare: l’esperienza sul campo.

Overview

La mente canta ancora: l’impianto cerebrale che trasforma i pensieri in voce e melodia

Una voce artificiale, un cervello naturale. Nessuna magia, solo elettrodi, intelligenza artificiale e il sogno antico di ridare parola a chi l’ha persa. La notizia sembra cucita per i titoli da clickbait, ma questa volta è tutto vero: un uomo con SLA (sclerosi laterale amiotrofica), completamente paralizzato, ha ripreso a parlare e a cantare usando solo il pensiero. Nessun joystick, nessun sintetizzatore metallico. La sua voce è tornata. Ed è tornata espressiva.

Sì, avete letto bene: con inflessioni, domande, enfasi. Persino un timido “hmm” o un “aah” trascinato, tipico dei parlanti umani più annoiati. Perché questa volta il cervello non detta parole fredde, ma intenzioni emotive. E l’algoritmo ascolta, capisce e… canta.

Salesforce ritocca i prezzi, ma con l’intelligenza artificiale ti vende anche il futuro

C’è una regola non scritta nella Silicon Valley: ogni promessa di intelligenza artificiale si paga con una clausola, un incremento tariffario e una leggera dose di ipocrisia. Salesforce, il gigante della customer relationship management, lo sa bene. Dopo aver cambiato le carte in tavola sull’utilizzo dei dati generati da Slack — vietando di usarli per addestrare modelli AI, ma curiosamente solo ai clienti, non a sé stessa — e aver inasprito le condizioni per i vendor terzi, ora passa alla cassa. Con un aumento dei prezzi che sembra un “ritocco” da 6% sulle edizioni Enterprise e Unlimited, ma che sulle edizioni di Slack diventa una sforbiciata del 20%. Quasi elegante, se non fosse che la parola “aumento” si accompagna sempre più spesso alla parola “intelligenza artificiale”.

Quando l’AI pulisce l’acqua meglio dell’uomo: la rivoluzione invisibile del Consorzio Aquarno

ROMA, 18 Giugno Palazzo Grazioli. La Toscana non smette di sorprendere. Dopo aver vestito il mondo con le sue pelli conciate a regola d’arte, ora si lancia in una partita ben più silenziosa ma infinitamente più strategica: quella del trattamento delle acque reflue industriali.

E lo fa con un alleato improbabile ma potentissimo: l’intelligenza artificiale. Sì, l’AI. Non quella che ti suggerisce le playlist su Spotify o ti corregge la grammatica su Word, ma una macchina pensante che ora decide — in tempo reale — come trattare i liquami di conceria.

Cripto, dollari e populismo fintech: il senato americano legalizza il sogno stabile di Trump

Per anni è sembrata una boutade da congresso nerd o una distopia da whitepaper con troppa caffeina: dollari digitali emessi da privati, regolati da leggi federali, scambiati come se fossero moneta vera. Ora non è più teoria. È politica. È legge. È Trump.

Martedì sera, con un inaspettato 68-30, il Senato degli Stati Uniti ha approvato una legge storica che regolamenta per la prima volta in modo organico le stablecoin ancorate al dollaro. Il cripto-dollaro ha quindi trovato casa tra le istituzioni. O almeno, una stanza degli ospiti.

Il fuoco sacro dell’intelligenza artificiale costa caro: xAI brucia miliardi come un falò digitale

C’è un tipo particolare di ossessione che nasce solo a Silicon Valley. Quella di Elon Musk non è più nemmeno originale: creare un dio digitale, una macchina che pensa meglio dell’uomo. E come tutte le religioni nascenti, anche questa costa. Tanto. Così tanto da sembrare assurdo persino per i parametri fuori scala dell’industria tech. xAI, la start-up del Musk più messianico, non ha ancora in tasca i 9,3 miliardi di dollari che vuole raccogliere, ma già sa che brucerà più della metà nei prossimi tre mesi. Il fuoco dell’IA, si sa, ha bisogno di molta legna, e qui si parla di montagne di chip e server.

Grok non si accontenta del cloud: perché xAI ha scelto Oracle, e cosa c’entra la guerra dei supercomputer

C’è un curioso paradosso nella Silicon Valley del 2025: tutti parlano di “democratizzazione dell’intelligenza artificiale”, mentre le AI stesse si muovono solo fra imperi. L’ultima mossa arriva da xAI, l’ambiziosa creatura partorita da Elon Musk per sfidare OpenAI sul campo del ragionamento machine-level. E la novità? I suoi modelli Grok ora risiedono sulla Oracle Cloud Infrastructure. Un matrimonio che, in superficie, sembra dettato dalla pura efficienza tecnologica. Ma a ben vedere, è una dichiarazione geopolitica.

Elon Musk e il colosso che mastica gpu: xAI cerca altri 4,3 miliardi per la sua guerra all’intelligenza artificiale

Nel mondo di Elon Musk, ogni cifra è una dichiarazione d’intenti. E spesso anche una minaccia. Dopo aver rastrellato 14 miliardi di dollari in due tornate di fundraising e un piano di debito da 5 miliardi appena svelato, ora xAI — la sua creatura nata per insegnare all’AI a “capire l’universo” — si prepara a un nuovo colpo di teatro: 4,3 miliardi in equity fresca, secondo Bloomberg. Il tutto mentre il Colosso — e non è una metafora, è proprio il nome del supercomputer da 200.000 GPU — prende forma come un mostro mitologico alimentato a silicio e ambizioni da impero.

Meta prova a comprare il cervello di OpenAI con bonus da 100 milioni, ma Altman sorride come un Buddha di silicio

Non è una guerra fredda, è una guerra neuronale. Niente spie, niente codici Morse, solo zeri e uno, valigette di stock option e firme su NDA lunghi quanto la Bibbia. Sam Altman, CEO di OpenAI e ormai avatar vivente dell’etica tecnoliquida, ha rivelato che Meta avrebbe offerto bonus di 100 milioni di dollari a singoli dipendenti di OpenAI. Sì, cento milioni. A testa. Per firmare un contratto e cambiare bandiera. Una mossa più da hedge fund che da laboratorio di ricerca sull’intelligenza artificiale.

Il CEO di AMAZON annuncerà tagli di posti di lavoro grazie all’efficientamento tramite l’intelligenza artificiale

Ai ridisegna la catena del valore: meno PowerPoint, più Prompt

Marc Benioff ha fatto il primo passo con nonchalance, lanciando la bomba in un podcast: forse quest’anno non assumeremo nuovi ingegneri, grazie ai guadagni incredibili di produttività ottenuti con l’AI. L’ha detto quasi tra una risata e un sorso d’acqua minerale, come se fosse un dettaglio da nulla. Poi è arrivato Andy Jassy, CEO di Amazon, e ha fatto quello che da tempo tutti nel settore sapevano sarebbe successo, ma nessuno voleva essere il primo a dire ad alta voce: l’intelligenza artificiale non è solo una rivoluzione tecnologica, è anche e soprattutto una rivoluzione occupazionale. E inizia dentro casa.

Microsoft sotto accusa per il marketing dell’intelligenza artificiale: Copilot non è (ancora) il pilota automatico della produttività

New York – Se bastasse un nome ben scelto per garantire l’efficienza aziendale, Microsoft 365 Copilot sarebbe già un caso di studio in economia comportamentale. Purtroppo, non è così. E lo ha appena ricordato, con tono educato ma chirurgico, il National Advertising Division (NAD), l’organo autoregolamentare della BBB National Programs che vigila sulla correttezza pubblicitaria nel mercato statunitense. Al centro dell’indagine: il modo in cui Microsoft ha venduto — o forse è meglio dire “promesso” — le meraviglie della sua AI integrata.

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