Siamo entrati in un’era in cui l’inganno digitale ha imparato a respirare, battere, sudare. Eppure, anche il migliore dei deepfake, quello che ti frega l’occhio e ti accarezza il sospetto, manca sempre di qualcosa. Manca quel micro-secondo di esitazione emotiva, quella scintilla di incoerenza umana che non si può interpolare o sintetizzare. Ma le cose stanno cambiando, e molto velocemente. Fabrizio Degni lo ha notato e condiviso: “High-quality deepfakes have a heart”. No, non è una metafora. È un dato scientifico.
La ricerca pubblicata su Frontiers il 30 aprile 2025 da Clemens Seibold, Eric L. Wisotzky e colleghi ha messo nero su bianco ciò che fino a poco tempo fa sembrava impensabile: i deepfake ad alta qualità possono simulare i segnali del battito cardiaco umano, rendendo obsoleti i metodi di rilevamento basati su analisi biometriche tradizionali. Altro che “i deepfake non hanno un’anima” forse ancora no, ma un cuore simulato sì, e batte pure bene.