Macrohard. Il nome stesso suona come uno scherzo da liceo. Un gioco di parole che sembra fatto per strappare un sorriso, ma che porta con sé la firma inconfondibile di Elon Musk. L’uomo che da decenni trasforma la provocazione in strategia industriale, dal mettere razzi nello spazio al vendere auto elettriche come status symbol per miliardari annoiati. Ora l’obiettivo dichiarato è demolire il dominio software di Microsoft con un progetto che sembra scritto da uno sceneggiatore di satira tecnologica: una compagnia interamente simulata da intelligenze artificiali, senza dipendenti umani, che produce software generato da AI e lo mette sul mercato. Macrohard, appunto. Il meme diventa modello di business, e il mondo si accorge che dietro lo scherzo si nasconde un piano che potrebbe essere letale per chi domina oggi lo stack digitale.
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Chi ancora pensa che l’intelligenza artificiale sui sistemi operativi serva solo a “fare riassunti” non ha capito nulla. Microsoft lo sa benissimo e gioca la sua partita più audace con Copilot Vision, il nuovo strumento che, in modo molto elegante e apparentemente innocuo, scansiona tutto ciò che appare sul tuo schermo. Sì, hai letto bene: tutto. Documenti di lavoro, chat private, fogli Excel, grafici sensibili. Ti basta chiedere qualcosa e l’AI di Windows 11, con un candore quasi offensivo, ti risponde come se fosse il tuo analista personale. A prima vista, sembra geniale. Ma se guardi meglio, ti accorgi che questo è l’inizio di un cambiamento radicale nella percezione stessa del sistema operativo. Windows non è più un semplice strumento. È diventato un osservatore costante, un’entità che interpreta, suggerisce, e forse memorizza molto più di quello che vorresti ammettere.

Secondo uno studio MSFT 25% del codice nuovo scritto da Google è generato da AI. Non lo dice un anonimo post su Hacker News, lo dice Sundar Pichai in persona. Mark Zuckerberg, non certo noto per la moderazione nei suoi entusiasmi, vuole strumenti AI di coding ovunque dentro Meta. OpenAI e Anthropic stanno già infilando i loro modelli nei flussi di lavoro degli sviluppatori. Ma c’è un dettaglio fastidioso che rovina la festa: questi modelli sanno scrivere codice, ma non sanno correggerlo. O meglio, si perdono in bug che uno stagista al primo mese sistemerebbe in due minuti. Così, mentre ci illudiamo che la prossima frontiera sia il prompt che ti scrive l’app da solo, la realtà è che passiamo ancora la maggior parte del tempo a fare debugging. A mano. Come nell’era pre-AI.