L’acqua, quella banale, trasparente, liquida comodità che scorre dal rubinetto, potrebbe diventare la leva di Archimede capace di spostare o far crollare l’intera economia digitale globale. Non stiamo parlando dell’idrogeno verde o della corsa al litio, ma di rame. E della sete insaziabile che questo metallo ha per farsi estrarre e raffinare. Nel 2035, se le proiezioni del nuovo rapporto PwC si rivelassero corrette, fino a un terzo della produzione mondiale di semiconduttori potrebbe essere compromessa dalla scarsità d’acqua. Non per una guerra, non per un attacco informatico. Ma per una banale, prevedibile, ignorata siccità.
Il rame è il sangue invisibile che scorre dentro ogni chip. Serve a costruire i minuscoli filamenti che connettono le logiche interne dei processori, come vene digitali in circuiti cerebrali artificiali. L’estrazione di questo metallo però è tutto tranne che virtuale: servono oltre 1.600 litri d’acqua per produrne appena 19 chili. Tradotto: un SUV intero di molecole d’acqua per realizzare il rame necessario a una manciata di componenti che faranno girare i server dell’intelligenza artificiale, i radar delle auto autonome, le lavatrici intelligenti e i prossimi smartphone pieghevoli. Più che industria hi-tech, sembra agricoltura idrovora.