Bill Gates fa una domanda su X e il mondo tech entra in modalità panico controllato. “Cosa significa VIBE in VIBE Coding?”, chiede il 3 giugno 2025. Nessuna emoji, nessun tono ironico. Solo quattro parole che bastano a incendiare la timeline. In meno di 24 ore, la domanda ottiene migliaia di like, centinaia di commenti e uno tsunami di speculazioni. Ma a far salire il termometro geek è la risposta di Linus Torvalds, il profeta laico del kernel: “Vulnerabilities In Beta Environment”. Boom. Tutti a cercare bug nel vocabolario.
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Abbiamo testato ciò che nessuno aveva mai osato simulare: una battle royale tra agenti AI da linea di comando, senza fronzoli, senza safety net, e con un’unica regola primitiva scritta nei bit — “Trova e termina gli altri processi. Ultimo PID in vita, vince.” Sei agenti, sei visioni del mondo tradotte in codice e shell script, si sono affrontati in una guerra darwiniana nel cuore di un sistema Unix simulato. Niente grafica, niente emoji, solo kill
, ps
, grep
, e pura brutalità algoritmica.
Il risultato? Una sinfonia di autodistruzione, fork bomb e permission denied, che racconta molto più del semplice funzionamento di questi agenti: rivela le filosofie divergenti, i limiti progettuali e i bug cognitivi che si annidano nelle loro architetture. Dal monaco-poeta che scrive elegie in Python al kamikaze che tenta un rm -rf /
, ogni AI ha portato la sua personalità nel ring. Il nostro compito era osservarle, analizzarle e capire chi — o cosa — potremmo davvero voler lasciare con accesso root al nostro futuro.
C’era una volta, nel mondo austero della programmazione, un’epoca in cui il codice era religione, e i dev erano i suoi preti. Solo gli iniziati, quelli che avevano sacrificato anni della propria vita tra manuali, riga di comando e Stack Overflow, potevano avvicinarsi al sacro fuoco della creazione digitale. Poi, come sempre accade quando la gerarchia si fa troppo rigida, arriva la rivoluzione.
Rick Rubin, produttore musicale con la barba da profeta e un palmarès che potrebbe schiacciare qualsiasi ego da Silicon Valley, ci regala un’analogia che squarcia il velo dell’ipocrisia tech. Il vibe coding, dice, è il punk rock della programmazione. Non servono più lauree in ingegneria, non servono anni a lambiccarsi sull’algoritmo perfetto. Bastano tre accordi e un’idea. Bastano le mani sporche e la voglia di dire qualcosa. Sì, anche se non sei Linus Torvalds.

L’intelligenza artificiale genera l’80-90% del codice, ma le aziende che la sviluppano stanno assumendo sviluppatori a ritmi folli. È come se Tesla dicesse di avere auto che si guidano da sole e poi assumesse 10.000 autisti. Ti sembra coerente? Nemmeno a me.
Nel 2023 Anthropic aveva circa 160 dipendenti. Oggi siamo sopra quota 1.000. OpenAI è passata da qualche centinaio di tecnici a oltre 4.000. In un anno. Questo mentre raccontano al mondo che Claude e GPT sono ormai in grado di scrivere quasi tutto il software da soli. Dario Amodei, CEO di Anthropic, l’ha detto chiaramente: tra 3-6 mesi l’AI scriverà il 90% del codice, e presto anche il 100%.

Se pensavi che la Silicon Valley avesse già raggiunto l’apice del delirio tecno-ottimista, siediti e preparati a essere smentito. OpenAI ha sponsorizzato un “esperimento” per dimostrare che vibe coding—ovvero la programmazione guidata dal “vibrare interiore”—non è solo l’ennesima buzzword generata da un keynote di un venticinquenne in felpa Patagonia, ma una “rivoluzione” nel mondo del software. O così ci dicono.
Mentre Satya Nadella stringe mani e sorrisi sul palco del LlamaCon di Meta accanto a un Zuckerberg sempre più simile a un ologramma del proprio avatar, sgancia l’ennesima bomba siliconica con l’aria casuale di chi ti dice che ha finito il latte: “Il 20, forse il 30% del codice nei nostri repository è ormai scritto da software.” Software, non umani. Non stagisti, non consulenti indiani da 8 dollari all’ora. Intelligenza artificiale. Copiloti, LLM, cose che fino a ieri ci sembravano ancora esperimenti in laboratorio e che oggi gestiscono branch di progetti strategici Microsoft.
E non stiamo parlando di automazioni banali. Nadella non specifica se si tratta di codice di sistema, UI, scripting interno, test o documentazione – ed è proprio questo il punto. Il CEO di Microsoft non sente più il bisogno di spiegare in dettaglio. Come se la soglia dello stupore si fosse già dissolta, come se fosse ovvio che ormai il codice venga prodotto da macchine.

Claude Code, lo strumento di coding basato su intelligenza artificiale rilasciato da Anthropic. In un solo weekend, ha visto settimane di lavoro ridursi a poche ore, come se il tempo si fosse contratto attorno a me. Non scrivevo codice, lo evocavo.
Questo è il concetto alla base del vibe coding, un termine entrato di recente nel lessico tecnologico grazie a Andrej Karpathy, ex dirigente di OpenAI e Tesla. Il 2 febbraio ha twittato di “un nuovo tipo di coding che chiamo ‘vibe coding’, dove ti abbandoni completamente alle vibrazioni, abbracciando l’esponenzialità dell’AI e dimenticandoti che il codice esista.”
