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Xiaomi sferra un pugno negli occhi al mercato degli occhiali AI

Sorpresa. Non da poco, e non da tutti. Xiaomi, la multinazionale cinese delle meraviglie elettroniche, è appena entrata a gamba tesa nel mercato degli occhiali intelligenti. Un settore che molti definiscono ancora di nicchia, ma che in realtà è il nuovo terreno di scontro per chi vuole presidiare il futuro del computing personale. Una guerra silenziosa fatta di microchip, lenti e assistenti vocali, dove chi ha il controllo dell’ecosistema può riscrivere le regole del gioco. Sì, perché qui non si vendono solo gadget: si piantano bandiere nel campo minato dell’intelligenza artificiale indossabile.

Xiaomi entra in scena con gli occhiali smart con intelligenza artificiale e non si limita a guardare

Nel grande teatro della tecnologia cinese, dove ogni azienda si cimenta nel reinventare la ruota mentre cerca di venderla come un’astronave, Xiaomi ha appena lanciato la sua personale interpretazione degli occhiali smart con intelligenza artificiale. E no, non è solo un altro clone di Meta o un vezzo da laboratorio R&D: è l’apertura ufficiale di una guerra di mercato che odora di chip Qualcomm, batterie da 8 ore e vocazione totalitaria per l’ecosistema.

Quando Lei Jun, fondatore e CEO di Xiaomi, sale sul palco e presenta i nuovi occhiali AI durante l’evento “Human x Car x Home”, non sta semplicemente annunciando un gadget. Sta mettendo in vetrina la propria visione del mondo: un individuo che vede, registra, riconosce, traduce e ovviamente compra, tutto attraverso un assistente vocale AI che sa chi sei, cosa leggi, e quale codice QR scannerai dopo il caffè. In fondo, anche Orwell oggi avrebbe bisogno di UX fluida e una ricarica veloce.

Xiaomi e il chip Xring o1: la finta rivoluzione Arm e la vera corsa al silicio proprietario

Il mondo delle tecnologie avanzate, dove ogni dichiarazione di un colosso come Xiaomi diventa un campo di battaglia di parole, brevetti e sogni di autonomia. L’ultimo episodio? La presunta “dipendenza” dal chip Arm nel nuovissimo XRing O1 da 3 nanometri. Leggenda metropolitana, o realtà da marketing? Xiaomi non ci sta e, con un tono che sfiora il cinismo, spazza via le illazioni con la forza di chi conosce i segreti di un mercato spietato.

Partiamo dal nocciolo: il chip XRing O1 utilizza, sì, i core Cortex-X925, A725 e A520 di Arm, ma Xiaomi tiene a precisare che non si tratta di una soluzione pronta e su misura fornita da Arm. È un po’ come dire che hai comprato un motore Ferrari, ma hai costruito da zero la carrozzeria, l’elettronica e persino il telaio. Quindi, stop alle teorie complottiste di un chip “personalizzato” da Arm: il lavoro sporco e creativo è tutto made in Xiaomi, e la società non ha badato a spese, investendo quattro anni di ricerca e sviluppo per mettere a punto un SoC che possa seriamente giocarsela con Apple, Samsung e Huawei.

La riscossa di Xiaomi: il chip Xring o1 batte Apple e ridefinisce la guerra dei semiconduttori

Quando il CEO di Xiaomi, Lei Jun, si alza sul palco e proclama che lo XRing O1 è “molto potente”, il mondo tecnologico sa che sta per arrivare uno di quei momenti che rimbombano nei laboratori di Cupertino e nelle camere bianche di Taiwan. Lo dice con quella sicurezza che solo chi ha bruciato miliardi di yuan può permettersi. E lo dice proprio mentre mostra un chip che, a detta dei benchmark presentati, avrebbe superato — sì, proprio superato l’A18 Pro di Apple. Hai capito, Tim?

La keyword qui è “chip Xiaomi”, le secondarie obbligate sono “XRing O1” e “processore 3nm”, il tutto incastonato in un contesto che puzza di geopolitica, siliconi e una certa vendetta orientale ben pianificata.

Xiaomi e l’illusione del nanometro patriottico: XRing O1, marketing quantistico o vera rivoluzione?

Nel meraviglioso mondo delle “rivoluzioni da conferenza stampa”, Xiaomi ha appena sparato il suo missile più lucido: il system-on-a-chip XRing O1 da 3 nanometri. Un nome che pare uscito da una fanfiction tra Cyberpunk 2077 e un catalogo AliExpress. Annunciato con toni messianici da Lei Jun su Weibo, il nuovo SoC alimenterà gli imminenti 15S Pro e Pad 7 Ultra. Ma attenzione: dietro il linguaggio trionfalistico si nasconde una delle più sottili operazioni di comunicazione tecnologica degli ultimi anni, degna di un’analisi tra ingegneria e geopolitica.

Xiaomi e la sfida dei chip: quando il silicio diventa patriottismo di Stato

Xiaomi, il brand che fino a ieri associavi a powerbank economici, telefoni che “sembrano un iPhone ma costano un terzo” e gadget da geek nostalgico, ora si sveglia e punta dritto al cuore del potere tecnologico globale: i semiconduttori. E non chip qualunque: stiamo parlando di un processore a 3 nanometri, progettato in casa, che dovrebbe diventare il più potente mai sviluppato in Cina per uno smartphone.

Non è solo un salto tecnico. È una dichiarazione di guerra commerciale, geopolitica, culturale. E come spesso accade in questi contesti, i numeri fanno da cornice, ma la vera partita si gioca tra linee di codice e litografia estrema.

Xiaomi lancia MiMo, l’IA che vuole dominare l’hardware cinese e staccare OpenAI

Mentre l’Occidente si arrabatta fra GPT-4o, rilasci frettolosi e comunicati autocelebrativi, Xiaomi scende in campo con qualcosa di più concreto e chirurgicamente orientato: MiMo. Sì, proprio come la madre dei transformer, ma qui niente robottoni, solo 7 miliardi di parametri spremuti con intelligenza – quella artificiale, certo – dal team Core, la task force interna creata per scalare la vetta del deep learning. Non è un prodotto da demo conference, è una dichiarazione di guerra: l’obiettivo è infilare l’AI in ogni pezzo di hardware firmato Xiaomi, dallo smartphone allo scooter elettrico, passando per i tostapane connessi.

MiMo è un modello ragionante, specializzato in matematica e coding, che – secondo Xiaomi – batte sia l’o1-mini di OpenAI che il QwQ-32B-Preview di Alibaba. Poco importa se questi benchmark odorano di “confronti su misura”, perché in Borsa il mercato se n’è fregato e ha premiato l’annuncio: +5,3% per le azioni Xiaomi e +14,2% per Kingsoft Cloud Holdings, dove guarda caso Xiaomi e il suo patron Lei Jun hanno una bella fetta d’interesse.

Incidente Xiaomi, il sogno dell’auto autonoma si schianta: tragedia, responsabilità e il rischio della corsa cieca

L’entusiasmo per le auto elettriche e l’autonomia di guida in Cina ha subito un brusco risveglio con l’incidente mortale che ha coinvolto la Xiaomi SU7, il primo veicolo del gigante dell’elettronica. Tre persone hanno perso la vita, e la notizia ha scatenato un’ondata di critiche sulla sicurezza delle tecnologie di assistenza alla guida e sulla loro implementazione affrettata.

L’illusione del pilota automatico e la realtà della responsabilità

Il sistema di assistenza alla guida del SU7, attivato durante l’incidente, non ha impedito lo schianto contro una barriera in cemento a 116 km/h. Xiaomi ha confermato che il sistema aveva avvisato il conducente due secondi prima dell’impatto, ma questo solleva interrogativi: è sufficiente un allarme con così poco preavviso? E, soprattutto, quanti utenti capiscono davvero come usare questi sistemi?

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