Quello che si sta profilando all’orizzonte non è un semplice accordo tecnologico: è un armistizio tra titani, una tregua armata tra due delle aziende più potenti del pianeta. Google e Apple stanno per siglare un’intesa storica per integrare Gemini, il modello linguistico di Google, direttamente nei dispositivi iOS. Siri, la tanto vituperata assistente digitale di Apple, potrebbe finalmente evolversi e diventare qualcosa di più di una segreteria vocale di lusso. La conferma è arrivata in pieno processo antitrust, come spesso accade quando la verità salta fuori sotto giuramento: Sundar Pichai ha dichiarato che l’accordo con Apple per integrare Gemini dovrebbe chiudersi entro metà 2025. E il rollout? Entro fine anno.
Il sottotesto è chiaro: Apple non vuole restare schiacciata tra l’entusiasmo popolare per ChatGPT e la spinta tentacolare di Google. E se l’IA è il nuovo petrolio, Cupertino non intende comprarlo solo da un pozzo. La strategia è multi-modello, pluralista, e profondamente opportunistica. Craig Federighi lo aveva lasciato intendere già lo scorso anno: l’obiettivo è offrire agli utenti una scelta tra diversi modelli di IA, Gemini incluso. Questo spiega perché nell’ultima beta di iOS 18.4 sono comparsi riferimenti espliciti a “Google” come possibile opzione all’interno di Apple Intelligence. Non è un bug, è una bandiera piantata in territorio nemico.
L’accordo, però, non si limita a una semplice distribuzione di un’app. Dietro c’è un’architettura più complessa: Siri potrebbe diventare una sorta di front-end neutrale, capace di orchestrare più modelli linguistici a seconda del contesto e della preferenza dell’utente. Questo implica che, per alcune domande più complesse, Siri potrà passare la palla a Gemini – ovviamente previa autorizzazione – come già fa oggi con ChatGPT. E attenzione: non parliamo solo di Q&A testuali. ChatGPT su iOS può già generare immagini, analizzare foto e comprendere linguaggio naturale in modo conversazionale. Gemini, che già mostra muscoli in Android, ha ambizioni simili, se non superiori.
Sul piano geopolitico del tech, questo è l’equivalente di un G7 dell’intelligenza artificiale. Pichai ha persino raccontato di un incontro con Tim Cook in cui hanno discusso roadmap, modelli, e distribuzione del software Gemini su iOS. Non una chiacchierata da corridoio, ma un vertice tra due CEO che sanno di non potersi ignorare. Cook, dal canto suo, ha fatto intendere che Apple Intelligence si aprirà presto a una serie di modelli di terze parti. Tradotto: non esisterà più un’unica IA per dominare il sistema operativo, ma un marketplace controllato da Apple, dove i giganti si contenderanno l’attenzione dell’utente.
L’integrazione di Gemini potrebbe anche essere il preludio a una nuova guerra fredda tra modelli AI, in cui Apple si ritaglia il ruolo di arbitro, gatekeeper e curatore. In cambio, chiederà la solita tassa d’ingresso in stile App Store: controllo, branding e una fetta dei dati. Google, da parte sua, è disposta a scendere a compromessi pur di conquistare terreno su un dispositivo che vende centinaia di milioni di unità l’anno e che rappresenta ancora la parte più sexy del mercato tech.
Ecco quindi il paradosso: Apple, la paladina della privacy e del controllo verticale, sta costruendo un’infrastruttura in cui gli utenti potranno scegliere tra IA concorrenti, ma solo dentro il recinto ben sorvegliato di Apple Intelligence. Una libertà vigilata, un pluralismo a pagamento. E Google, l’onnipresente motore di ricerca accusato di monopolio, è pronta a mettersi l’abito buono e bussare alla porta del nemico pur di restare al centro dell’esperienza digitale quotidiana.
Per chi ancora pensava che la guerra dell’IA si combattesse solo tra startup e paperoni della Silicon Valley, questa è la prova definitiva: i colossi non stanno solo investendo in modelli, li stanno portando dritti nei nostri telefoni. E stavolta, la posta in gioco non è solo chi risponde meglio alle domande, ma chi possiede la voce che le risponde.