Siamo nel 2025, ma sembra di vivere in un eterno loop distopico tra guerre commerciali, rincari a raffica e multinazionali che fingono di restare sorprese da un mondo che loro stesse contribuiscono a modellare. Microsoft ha appena annunciato una mazzata colossale per tutti i gamer e tech enthusiast: rincari fino al 45% su Xbox, controller, cuffie e persino giochi. Il tutto, ovviamente, “per via delle condizioni di mercato e dell’aumento dei costi di sviluppo”. Tradotto: colpa dei dazi imposti anni fa da Donald Trump, ancora oggi come un fantasma fiscale che infesta l’industria tecnologica.
Il prezzo della Xbox Series X, già non propriamente a buon mercato, sale di 100 dollari, raggiungendo la modica cifra di 599,99 dollari. Per chi pensava di cavarsela con la più economica Series S, la sorpresa è un bel +80 dollari, per un nuovo totale di 379,99 dollari. E non è finita: i controller e le cuffie – quei piccoli accessori di cui non puoi fare a meno – subiscono un’impennata fino al 45%, partendo da 65 dollari. È come se Microsoft avesse deciso di trasformare ogni singola componente in un piccolo lusso da collezionisti.
Non è una mossa limitata agli Stati Uniti. Anche in Europa, Regno Unito e Australia, i listini vengono rivisti al rialzo. E attenzione, perché sebbene Redmond abbia tenuto a precisare che i prezzi “potrebbero variare a seconda del paese e del tasso di cambio”, la direzione è chiara: su, sempre su, mai giù. Del resto, quando si parla di “market conditions”, è solo un altro modo elegante per dire che l’utente finale pagherà sempre la festa.
Ciò che sorprende non è solo l’entità dell’aumento, ma la tempistica. Microsoft fa tutto questo mentre il mercato console è già in una fase stagnante. Le vendite non esplodono, i giochi AAA costano sempre di più da produrre e la fedeltà del pubblico sta lentamente scivolando verso piattaforme più agili, meno ingessate da logiche hardware. Cloud gaming e servizi in abbonamento stanno cambiando le regole del gioco, e Microsoft risponde aumentando il prezzo dei suoi cavalli di battaglia fisici come se nulla stesse cambiando nel panorama digitale.
La cosa più ironica? Nessuno, durante l’ultima earnings call del colosso, ha avuto il coraggio di pronunciare la parola “tariffa” in maniera esplicita. CFO Amy Hood ha parlato genericamente di “incertezza sui dazi” che avrebbe guidato un lieve aumento nelle vendite hardware nel trimestre di marzo. Un po’ come dire che la paura dell’inflazione ti spinge a comprare oro… o una Xbox prima che aumenti ancora.
In parallelo, anche Nintendo aveva annunciato rincari simili sui suoi titoli di punta. L’industria si sta rapidamente consolidando attorno a un paradigma in cui l’esperienza premium non è più solo una scelta, ma una tassa. Se vuoi giocare, paghi. E se vuoi risparmiare, vai su mobile o ti rassegni a guardare gameplay su Twitch.
Alla fine, questa non è solo una notizia per gamer o appassionati di elettronica. È un chiaro segnale di come la politica economica internazionale abbia effetti concreti, talvolta devastanti, sulla quotidianità di interi settori. E come sempre, chi paga il conto sono gli utenti finali, trattati alla stregua di cavie in un esperimento di pricing globale.
Microsoft, da sempre attenta alla gestione della propria immagine, cerca di edulcorare la pillola parlando di “rising development costs”. Ma dietro ogni aumento, ogni virgola nei listini, c’è un messaggio chiaro: il futuro del gaming non è per tutti. È per chi può permetterselo.