L’accordo siglato lunedì tra Stati Uniti e Cina per sospendere la maggior parte dei dazi doganali reciproci per un periodo di 90 giorni ha suscitato una serie di reazioni, tra cui un sensibile rialzo dei mercati azionari. Il motivo di questo entusiasmo è chiaro: la speranza che l’allentamento delle tensioni commerciali tra le due potenze mondiali possa finalmente disinnescare una guerra commerciale che sembra non finire mai. Ma come spesso accade nelle trattative internazionali, dietro le promesse di una tregua ci sono sempre i soliti interrogativi. Vale la pena credere che questo accordo sia solo il primo passo verso una distensione reale, o si tratta di una mossa strategica per guadagnare tempo mentre entrambe le nazioni continuano a tessere le loro strategie sullo scacchiere globale?
Il breve respiro che dura 90 giorni
La notizia è che gli Stati Uniti ridurranno i dazi dal 145% al 30% e la Cina dal 125% al 10%. In apparenza, un passo importante per ridurre l’impatto che le tariffe hanno avuto sulle economie di entrambi i Paesi. Ma una riduzione di questa portata, seppur sostanziosa, lascia comunque aperto un ampio spazio di incertezza. 90 giorni sono pochi, troppo pochi per parlare di una vera e propria risoluzione, ma giusti per dar tempo a entrambe le parti di rivedere i propri calcoli e capire come proseguire.
Dal punto di vista economico, un “taglio” sui dazi per un periodo limitato potrebbe sembrare una manovra di allentamento, ma senza un cambiamento significativo nelle politiche interne, è probabile che i benefici siano più superficiali che sostanziali. Gli Stati Uniti, riducendo i dazi a livello del 30%, continuano a mantenere una protezione importante per i propri produttori. La Cina, dal canto suo, pur riducendo i dazi al 10%, potrebbe non trovare sufficiente questo gesto per soddisfare le proprie esigenze commerciali, specialmente considerando che l’export cinese ha già affrontato un calo significativo a causa delle tariffe imposte in passato.
Mercati in fibrillazione: ottimismo effimero?
L’accordo ha avuto l’effetto immediato di una fiammata sui mercati. L’indice Hang Seng di Hong Kong ha chiuso in rialzo del 3%, mentre l’indice Hang Seng Tech, che include giganti come Tencent e Alibaba, è salito del 5,2%. Non è un caso che questi rialzi siano stati accompagnati da un incremento nei future sulle azioni statunitensi, suggerendo che gli investitori potrebbero credere, almeno nel breve termine, che la tensione tra Washington e Pechino si stia allentando. Ma, come dice il proverbio, “non è tutto oro quel che luccica”. Il mercato, infatti, spesso reagisce più alle aspettative che alla realtà dei fatti. E a meno che non ci sia un cambio radicale nelle politiche economiche di entrambe le superpotenze, questa tregua di 90 giorni potrebbe essere un colpo di scena, un momento di respiro prima che il conflitto riprenda con una nuova intensità.
L’effetto domino delle tariffe e i rischi nascosti
Ciò che si potrebbe facilmente ignorare nell’analisi iniziale è che i dazi doganali, anche se sospesi temporaneamente, continuano ad avere effetti di lungo periodo sulle economie globali. Le tariffe imposte da entrambe le nazioni hanno avuto un impatto negativo su molte catene di approvvigionamento, influenzando non solo i produttori diretti ma anche le piccole e medie imprese che dipendono dai beni importati per le proprie operazioni. I consumatori, da parte loro, hanno assistito a un aumento dei prezzi su una vasta gamma di prodotti, un fenomeno che potrebbe non essere facilmente invertito, anche se i dazi venissero abbassati.
Il rischio, quindi, non è tanto legato a un’eventuale ripresa delle tariffe, ma alla difficoltà di ripristinare l’equilibrio precedente. Le imprese, abituate ormai a una certa dose di incertezza, potrebbero decidere di rimanere prudenti, continuando a diversificare le proprie catene di approvvigionamento al di fuori dei confini cinesi e statunitensi. Questo comportamento, se dovesse diventare sistematico, potrebbe indebolire ulteriormente il rapporto commerciale tra le due potenze e frustrare gli sforzi di normalizzazione.
L’inconcludenza della politica commerciale di Trump e Xi Jinping
La mossa di Donald Trump, che lo scorso mese ha alzato le tariffe sulle importazioni cinesi fino al 145%, aveva avuto l’effetto di infiammare la guerra commerciale. Pechino, prevedibilmente, ha risposto a tono, aumentando le proprie tariffe sulle merci statunitensi. Si trattava di una strategia rischiosa, soprattutto per i produttori americani, ma anche per l’economia globale, che da tempo aveva risentito degli effetti collaterali di questa guerra tariffaria.
Ma ora, con l’accordo che sospende i dazi, emerge un altro paradosso. Se da una parte sembra che la Cina e gli Stati Uniti abbiano fatto un passo indietro per non rischiare ulteriori danni, dall’altra la mancanza di un vero e proprio piano a lungo termine suggerisce che questo accordo potrebbe non essere altro che una tregua temporanea, una pausa tra due round di una lotta che rischia di protrarsi per anni.
Un accordo che sa di fumo negli occhi?
Come spesso accade nelle relazioni internazionali, gli accordi tra grandi potenze sembrano sempre più un gioco di apparizioni che una vera soluzione. Questo accordo tra Stati Uniti e Cina potrebbe essere interpretato come un tentativo di ridurre la pressione politica interna, mostrando di avere il controllo su una situazione che altrimenti sarebbe sfuggita di mano. Tuttavia, il rischio di un ulteriore inasprimento della guerra commerciale non è mai stato così alto.
Mentre gli investitori festeggiano, è lecito chiedersi se questa tregua sia solo una mossa strategica per guadagnare tempo, oppure se stiamo davvero assistendo a una nuova era di cooperazione tra due superpotenze che, fino a pochi mesi fa, sembravano destinati a scontrarsi su ogni fronte. Come sempre, la risposta sta nel capire come, e se, queste concessioni temporanee si tradurranno in un reale cambiamento delle politiche economiche.
In fondo, come dice il vecchio adagio: “Il diavolo si nasconde nei dettagli”, e qui il diavolo potrebbe essere un mercato imprevedibile e una politica commerciale che continua a mutare in base alle necessità del momento.