Quando si parla di privacy, Google non è certo estraneo a sollevare polveroni, ma stavolta il gigante della Silicon Valley ha dovuto fare i conti con la giustizia texana. Il procuratore generale del Texas, Ken Paxton, ha annunciato che Google ha accettato di sborsare ben 1,375 miliardi di dollari per risolvere una causa che l’accusava di violare la privacy dei dati dei propri utenti. Una somma che fa sembrare “piccolo” l’importo che ha dovuto pagare Meta lo scorso luglio, in un caso simile riguardante il riconoscimento facciale.

Secondo la causa, Google avrebbe raccolto e tracciato i dati privati degli utenti senza il loro consenso. Geolocalizzazione, ricerche in incognito e addirittura dati biometrici sono finiti nel mirino delle autorità texane, che nel 2022 avevano deciso di fare causa al colosso per una serie di pratiche discutibili. Quello che più irrita è che la raccolta di questi dati non sarebbe stata trasparente e nemmeno sufficientemente chiara agli utenti, che pensavano di essere al sicuro mentre cercavano informazioni su Google o si spostavano nel mondo attraverso le mappe.

Come ormai accade in questi casi, Google ha fatto sapere di aver modificato da tempo le politiche sui suoi prodotti, anche se la causa è rimasta sospesa nel limbo delle questioni legali più oscure. La dichiarazione di Google, che minimizza la questione dicendo che molte delle problematiche sollevate erano già state risolte in altre sedi, non convince. Il pagamento, infatti, non è solo un gesto simbolico: è il riconoscimento di una responsabilità ben precisa.

C’è da chiedersi, però, quanto questo tipo di “soluzione” aiuti veramente gli utenti a proteggere la propria privacy, soprattutto quando gli stessi colossi tecnologici continuano a gestire enormi quantità di dati in modo discutibile. Google ha risolto una vecchia controversia con una cifra che potrebbe sembrare esorbitante, ma che in realtà è solo una piccola goccia nell’oceano dei guadagni che l’azienda ottiene attraverso la raccolta e l’utilizzo dei dati.

Sarà interessante vedere se questa “sistemazione” finirà davvero per risolvere le problematiche relative alla privacy o se sarà solo l’ennesima manovra per coprire una falla. In fondo, si sa, ogni azienda vive di margini di profitto e non c’è niente che un bel pagamento non possa risolvere.

La questione rimane aperta: quanto si è davvero fatto per proteggere la privacy dei dati degli utenti, se le cause continuano a proliferare e i pagamenti non si fermano mai? In fondo, ci sono sempre “spazi di miglioramento” quando si parla di privacy e la tecnologia ci marcia sopra, con la stessa sicurezza di chi sa che la prossima mossa legale non tarderà ad arrivare.