Nel deserto saudita, dove un tempo si cercava l’acqua, oggi si trivella per qualcosa di molto più volatile: l’influenza tecnologica globale. E questa volta, non sono solo i soliti emiri a muovere il gioco, ma un tavolo imbandito con carne pesante: Amazon, OpenAI, NVIDIA, BlackRock e SpaceX. Tutti con i jet parcheggiati a Riyadh, stretti intorno a un Mohammed bin Salman che recita il ruolo di anfitrione post-petrolifero, mentre Donald Trump — l’uomo che vende i sogni come se fossero condomini a Las Vegas — rilancia con un piano da One Trillion Dollar Baby.
Non è un vertice, è una transazione esistenziale.
Trump porta in dote un piano da 1 trilione (con la “t” sputata) di dollari. L’obiettivo? Trasformare gli Stati Uniti in una macchina industriale e tecnologica da guerra fredda 2.0, alimentata con capitali sauditi e carburata da AI, energia pulita e logistica post-amazoniana. In cambio, gli americani offrono ai sauditi non solo armi da 100 miliardi e reattori nucleari civili, ma anche una benedizione strategica: accesso diretto alla linfa vitale dell’innovazione occidentale. Cloud, chip, modelli di intelligenza artificiale, supply chain di terre rare. In pratica: il bottino del secolo.
Non è solo geopolitica, è ingegneria del potere.
NVIDIA è lì per benedire i chip. OpenAI per evangelizzare i modelli. Amazon per digitalizzare i cammelli. SpaceX per colonizzare le lune (e forse estrarre minerali rari con una firma in Qatar tra Musk e Trump). BlackRock, ovviamente, per contare i soldi e dettare le regole fiscali del gioco. È come se Wall Street, Palo Alto e Cape Canaveral avessero deciso che la nuova Silicon Valley va costruita dove il sole brucia 16 ore al giorno e l’elettricità costa meno del pane.
La chiamano “Silicon Dune” e non è uno scherzo.
MBS non vuole solo essere il principe del petrolio, vuole diventare il signore dei modelli. Il suo obiettivo è fare dell’Arabia Saudita il nuovo nodo neurale dell’innovazione globale. Neom, l’enorme città-fantasia nel deserto, sarà il contenitore. Ma il contenuto? Quello lo stanno firmando ora, con un mix letale di accordi militari, concessioni infrastrutturali e partnership tech a prova di compliance.
L’America, nel frattempo, si finge riluttante ma non vede l’ora. Perché questo “triliardo” saudita non è solo denaro: è tempo comprato sul mercato del declino industriale. Washington sa che per competere con la Cina non bastano i semiconduttori taiwanesi o i pannelli solari texani. Serve una nuova alleanza. Una Tech Beltway transatlantica del Golfo, che faccia girare i dati come un tempo girava il greggio.
La parte cinica? Tutti fingono che sia per la pace e l’innovazione.
Ma dietro la cortina di startup e algoritmi, questa è una nuova forma di imperialismo. Un impero soft fatto di infrastrutture digitali, AI sovrane e minacce atomiche “green”. Le big tech non stanno vendendo soluzioni, stanno vendendo dipendenza. E i sauditi, da buoni strateghi del XXI secolo, vogliono essere i padroni della nuova moneta: il calcolo computazionale.
Curiosità da bar: un insider al meeting ha detto che Elon Musk ha chiesto se si potesse terraformare una zona del deserto per simulare Marte. Gli hanno risposto che è già più vivibile del centro di San Francisco.
Nel caos apparente, tutto torna. La partita si gioca su tre tavoli: energia, AI, egemonia. Chi controlla questi tre asset nel prossimo decennio non vincerà solo elezioni o guerre commerciali. Scriverà le API della storia.
E mentre i giornali parleranno di “collaborazioni strategiche”, quello che si sta consumando è uno scambio brutalmente semplice: capitale per controllo, accesso per sicurezza. Il mondo sta firmando la sua nuova architettura, e i server non saranno più nei bunker del Nevada, ma sotto la sabbia iperconnessa del Golfo.
Intelligenza artificiale, energia nucleare civile, difesa e cloud. In mezzo: uno scambio di DNA industriale tra due mondi che si odiano culturalmente ma si amano finanziariamente.
Benvenuti nel secolo delle alleanze sintetiche.
E se pensi che tutto questo sia un’esagerazione, aspetta 72 ore. Quando verranno annunciati 500 miliardi di accordi solo nella Fase 1, con settori che vanno dall’idrogeno verde alla militarizzazione dell’orbita bassa, capirai che questo non è solo un vertice. È un reboot del sistema operativo geopolitico.
E il bello è che nessuno ha chiesto il consenso dell’utente.