Il CEO di Palantir, Alex Karp, è apparso oggi su CNBC con lo stesso tono del professore universitario che ti guarda come se non capissi nulla, anche se è il tuo esame di dottorato. Karp ha risposto piccato all’articolo del New York Times che la scorsa settimana ha insinuato che Palantir fosse stata “arruolata” dall’Amministrazione Trump per creare una sorta di “registro maestro” dei dati personali degli americani. Un’accusa pesante. E prevedibile. In fondo, quando la tua azienda costruisce software per eserciti, spie e governi opachi, è difficile convincere il pubblico che stai solo “aiutando le agenzie a lavorare meglio”.

La smentita di Karp? “Non stiamo sorvegliando gli americani”. Certo, come no. È un po’ come se Meta dichiarasse: “Non vendiamo dati”, o come se TikTok sostenesse di non avere legami con la Cina. Palantir, per chi non la conoscesse, è l’azienda fondata con soldi della CIA e oggi quotata al Nasdaq (PLTR), che costruisce sistemi avanzati di analisi dei dati. È anche la compagnia preferita da chi vuole controllare senza che sembri controllo.

Ma la tempistica è interessante. L’articolo del New York Times arriva proprio mentre Palantir sta firmando nuovi contratti governativi e si appresta a diventare una colonna portante dell’architettura digitale dell’intelligence americana. E Karp non ha perso l’occasione per buttare sul tavolo il jolly dell’epoca: l’intelligenza artificiale. “O vinciamo noi, o vince la Cina”. È il nuovo memento mori dei CEO americani. Fa audience. E fa approvare budget militari.

Nel frattempo, un post su X (ex Twitter, ex rete sociale, ora oracolo ufficiale delle smentite aziendali) ha bollato l’articolo come “manifestamente falso”. Palantir, si legge, “non raccoglie dati per sorvegliare illegalmente gli americani”, e la sua piattaforma Foundry è protetta da “sicurezze granulari”. Granulari: la parola magica per dire tutto e nulla. Tipo “blockchain”.

C’è un elemento quasi teatrale nel modo in cui Palantir comunica. Un mix tra paranoia calcolata e narrazione epica. Karp si presenta sempre come il CEO filosofo, erede più di Nietzsche che di Bezos. E non ha torto: in fondo, Palantir non vende un prodotto, ma un’idea. L’idea che l’informazione totale, se ben usata, salverà l’Occidente. Ma a quale prezzo?

È qui che il caso si fa interessante. Perché la “fusione di dati” tra agenzie federali evocata da Trump – e collegata a Palantir – non è solo una faccenda tecnica. È una visione politica. Un progetto che prevede la creazione di un sistema centralizzato, algoritmico, capace di collegare tutto: movimenti bancari, social network, posizione GPS, profilo psicologico. Un panopticon digitale, travestito da efficienza amministrativa. Il sogno di ogni stato securitario.

E non dimentichiamo che Palantir è già dietro al sistema di tracciamento della sicurezza nazionale, ai sistemi di sorveglianza dei migranti, ai database della sanità pubblica. È, per molti versi, l’infrastruttura invisibile del potere post-9/11. O, come la definiva ironicamente un analista nel 2018: “La Google dell’NSA”.

Ma allora, Palantir è davvero il nuovo Leviatano? O è solo il capro espiatorio di un sistema che preferisce avere un colpevole ben vestito, piuttosto che fare i conti con il proprio desiderio di controllo?

La risposta, naturalmente, è più complessa. Perché Palantir, nel frattempo, è anche protagonista della corsa globale all’AI. E Karp l’ha detto chiaramente: “La mia opinione generale sull’AI è che sia pericolosa. Ha conseguenze positive e negative, e o vinciamo noi o vince la Cina.” L’ossessione per l’AI, in questo contesto, serve come cortina fumogena. Mentre discutiamo di etica dell’AI, Palantir consolida il suo ruolo nel cuore dell’apparato statale.

Il paradosso è questo: mentre Silicon Valley si diletta con chatbot e NFT, Palantir costruisce il futuro del potere. Non quello delle app, ma quello della guerra, dei dati, del monitoraggio sistemico. È la differenza tra vendere sogni e vendere controllo.

A pensarci bene, è quasi poetico che Palantir prenda il nome dalle sfere magiche di Tolkien, capaci di vedere tutto in ogni luogo e tempo. Con una sottile differenza: nel mondo reale, chi guarda dentro la sfera, spesso finisce per vedere solo ciò che vuole vedere. O ciò che gli conviene. E quando il potere si specchia nella sorveglianza, l’etica diventa una nota a piè di pagina. O una postilla sul contratto. Scritta in corpo 6.

In tutto questo, la domanda vera è: chi sorveglia i sorveglianti? Ma la risposta, come sempre, è: dipende da chi paga il software.