C’è una guerra che non si combatte coi droni, né con carri Leopard: si combatte con gli engagement. E la Nato, o meglio il suo Strategic Communications Centre of Excellence (un nome che sembra uscito da un seminario aziendale del 2012), ha appena pubblicato il Virtual Manipulation Brief 2025, un’analisi che assomiglia più a una radiografia dell’invisibile che a un rapporto di intelligence classico. Qui non si cercano carri armati, si cercano pattern. Coordinamenti sospetti. Narrativi convergenti. Troll vestiti da patrioti.

E i numeri fanno male. Il 7,9% delle interazioni analizzate mostrano chiari segnali di coordinamento ostile. Non stiamo parlando di un paio di bot russi nostalgici di Stalin che si retwittano a vicenda, ma di una sinfonia digitale ben orchestrata, che attraversa dieci piattaforme diverse – non solo X (che ormai è diventato l’equivalente social di una vecchia radio a onde corte), ma anche YouTube, Telegram, Facebook, Instagram e altre tane più oscure dove l’informazione diventa disinformazione e viceversa.

Il Kremlino vince la guerra dei meme, per ora. Il messaggio filo-russo compare il doppio delle volte rispetto ai contenuti pro-occidentali, e triplica la presenza quando le narrazioni sono coordinate su più piattaforme. È come se Mosca avesse capito che non serve essere veri, serve essere ovunque.

La disinformazione, però, non è democratica. Cambia faccia a seconda della piattaforma. Su X vince la velocità. Su Telegram domina il fanatismo. Su YouTube, invece, si costruisce la profondità: contenuti lunghi, pieni di “esperti” auto-dichiarati, citazioni parziali, immagini drammatiche. La guerra informativa qui diventa esperienziale, una narrazione immersiva, più simile a un documentario HBO che a un tweet arrabbiato.

Un dettaglio che fa riflettere: la quantità di post non equivale all’impatto. È l’equivalente digitale del rumore bianco. Si può postare mille volte al giorno su X e non spostare una virgola dell’opinione pubblica, mentre un solo video ben fatto su YouTube o un canale Telegram virale possono orientare una comunità intera. La qualità batte la quantità. E la qualità, ahimè, spesso la fa il nemico.

Mosca, come sempre, si comporta da predatrice opportunista. Lo studio evidenzia come i cambi di rotta nella politica estera USA – ogni ambiguità, ogni stanchezza dichiarata verso l’Ucraina – vengano immediatamente strumentalizzati per delegittimare la Nato, attaccare l’Europa, minare la fiducia negli alleati. È il principio dell’asimettria narrativa: non servono nuove idee, basta distorcere quelle esistenti.

Ma attenzione al dragone. Pechino non twitta, ma scrive a penna dorata. Il tono è diverso: meno memetico, più imperiale. La Cina non grida, sussurra. Rafforza la propria immagine di potenza razionale e stabile, e parallelamente indebolisce la credibilità statunitense. Più che disinformare, rifrange. Non mente, ma seleziona. Non insulta, ma ridicolizza. È Sun Tzu col filtro TikTok.

E poi, c’è lei. L’intelligenza artificiale. Non è più solo lo strumento usato per generare contenuti fake, ma anche il nuovo analista della Nato. Il 15% del codice usato per scrivere il Virtual Manipulation Brief è stato generato da AI. Il che significa due cose. Primo: la complessità del campo di battaglia digitale è ormai oltre la capacità cognitiva umana. Secondo: l’AI stessa diventa sia lente che specchio. Crea, distrugge, interpreta e — potenzialmente — manipola. Se la verità è una funzione di calcolo, chi controlla l’algoritmo controlla la narrazione.

Tutto questo ci porta a un paradosso inquietante: la velocità del conflitto informativo cresce, ma cresce anche la nostra capacità di risposta. Siamo entrati in una corsa armata computazionale, dove i contendenti aggiornano i loro arsenali narrativi con la stessa frequenza con cui aggiorniamo il software dei nostri telefoni.

La domanda non è più “Chi ha ragione?”, ma “Chi riesce a farlo sembrare tale più rapidamente e in più posti?”. L’informazione non è più un bene comune, ma un’arma iper-personalizzata. E se la verità è una questione di percezione, allora la percezione va progettata, codificata, venduta. O distrutta.

Nel mezzo di tutto ciò, la Nato si trova in un ruolo tragicomico: cercare di regolamentare la realtà in tempo reale, come un bibliotecario che insegue libri volanti in una tempesta.

“Se non puoi convincerli, confondili”, diceva Harry Truman. Ma oggi il problema è chi confonde e chi dovrebbe convincere. E soprattutto, chi li riconosce. Perché mentre leggiamo questi dati, mentre ci indigniamo, mentre pubblichiamo editoriali, il nemico è già passato alla narrativa successiva.

E probabilmente, l’ha scritta con l’aiuto di ChatGPT.