L’intelligenza artificiale entra in Parlamento per aiutare i deputati italiani a scrivere le leggi. La vicepresidente della Camera Anna Ascani ci racconta come

Immaginate un Parlamento in cui le discussioni interminabili non sono più ostacolate da montagne di dossier impolverati o da testi legislativi pieni di duplicazioni e incoerenze, ma in cui un’intelligenza artificiale intelligente, ma soprattutto vigilata da umani, faccia da copilota nella scrittura delle leggi. Sembra fantascienza, vero? E invece è la nuova frontiera di Montecitorio. La vicepresidente della Camera, Anna Ascani, ci accompagna dietro le quinte di un progetto che, con tutta la sua ironia da politica esperta, definisce «intelligenza aumentata» e non sostitutiva: un triplice intervento di AI per facilitare la vita ai deputati e, perché no, anche ai cittadini.

Il primo prototipo è un assistente per la redazione di dossier, che in un ambiente notoriamente burocratico e ancorato a documenti datati decenni, promette di trasformare la faticosa ricerca in un’operazione fluida e veloce. Il secondo sistema è dedicato alla scrittura di atti parlamentari e leggi, un terreno minato di ricerche interminabili tra archivi e testi spesso ridondanti. Qui l’intelligenza artificiale si incaricherà di “pulire” il testo, eliminando duplicazioni e incongruenze, riducendo così il rischio di errori e di continue revisioni, un vero salto di qualità nella stesura legislativa. Infine, il terzo prototipo è una chat bot che non promette miracoli, ma trasparenza: sarà il tramite diretto tra cittadino e parlamentare, una finestra certificata sulla carriera e le posizioni politiche del singolo eletto, per trasformare la democrazia rappresentativa in un meccanismo più partecipativo e controllabile.

L’ironia di Ascani emerge subito: nessuno spera che una macchina prenda il posto del politico in aula. Il timore di un Parlamento “robotico” è smentito sul nascere, ma non senza ammettere che la rivoluzione è dietro l’angolo. La vicepresidente ricorda come il progetto nasca da un’attenta fase di studio iniziata ben prima dell’esplosione di ChatGPT, con audizioni, missioni negli Stati Uniti, e una consultazione approfondita di università, centri di ricerca e realtà innovative, fino alla selezione di 28 partecipanti che hanno concorso alla realizzazione di tre prototipi vincenti. Una call for ideas intelligente, dove l’intelligenza artificiale si incastra in un ecosistema di competenze tecnologiche e umane.

Eppure l’esperienza insegna che non basta un algoritmo per rendere le leggi comprensibili, coerenti e attuali. I parlamentari devono ancora vigilare e validare i risultati: «È fondamentale che al centro ci sia sempre l’essere umano», sottolinea Ascani. In un mondo ossessionato da automazione e algoritmi, l’Italia del Parlamento punta a un’intelligenza aumentata, dove il deputato non è un mero esecutore ma un controllore critico e responsabile. Questo significa che il rischio di “allucinazioni” – quelle classiche risposte false o fuorvianti generate da AI – va contenuto e superato, pena la perdita di credibilità dello strumento e della stessa democrazia.

Qui emerge un paradosso interessante: da un lato, Montecitorio cerca di accelerare i tempi di lavoro, dall’altro deve garantirne la qualità, un equilibrio complicato in un contesto così delicato. La selezione delle fonti, ad esempio, sarà rigorosa: nessun “data mining” libero da parte della chat bot ufficiale, che si atterrà unicamente agli atti parlamentari, agli interventi e alle documentazioni certificate. Una soluzione che nasce dal pragmatismo più severo e dalla necessità di prevenire fake news istituzionali, che oggi possono moltiplicarsi facilmente attraverso i canali digitali.

Il terzo prototipo, la chat bot per il cittadino, promette di rivoluzionare la trasparenza istituzionale: chiedere “cosa pensa il deputato X su un tema” o “quali leggi ha votato” sarà finalmente possibile con un solo clic, e soprattutto con informazioni verificate. Certo, questo sistema mette sotto pressione gli sviluppatori, costretti a testare la macchina fino all’esaurimento per eliminare ogni possibile errore, un processo che Ascani non nasconde potrebbe anche richiedere tempi più lunghi, e una comunicazione trasparente all’opinione pubblica, perché la fiducia, come sappiamo, è la moneta più preziosa della politica.

Dietro tutto questo si muove un lavoro culturale importante, che va ben oltre il mero sviluppo tecnologico. A partire da giugno, infatti, la Camera dei deputati ospiterà una serie di seminari pubblici con figure di spicco come il premio Nobel Giorgio Parisi, il filosofo francese Eric Sadin e il direttore del Digital Ethics Center di Yale Luciano Floridi. Un palcoscenico di idee e visioni contrastanti, tra entusiasmo e scetticismo, per mettere a nudo l’impatto profondo dell’intelligenza artificiale sulla società, sulla politica e sulla stessa natura del potere.

Questa commistione tra tecnologia e politica, con il suo carico di aspettative e diffidenze, è l’anello mancante di un dibattito italiano spesso superficiale sull’AI. La sperimentazione di Montecitorio non è solo un esercizio tecnico, ma un banco di prova per la democrazia digitale, che potrebbe insegnare al resto d’Europa come integrare le macchine nel processo decisionale senza perdere il controllo umano. Non a caso, Ascani si affida a un’immagine di intelligenza aumentata, dove l’AI non si limita a sostituire, ma piuttosto potenzia l’intelligenza politica, trasformando la complessità della legislazione in un problema tecnico da risolvere insieme a chi la fa.

Paradossalmente, in un’epoca di populismi e sfiducia nelle istituzioni, potrebbe essere proprio l’intelligenza artificiale a riportare un po’ di ordine e razionalità nelle aule di Montecitorio. A patto che il vero pilota resti sempre la politica umana, con la sua capacità di giudizio, visione e responsabilità. L’AI, d’altra parte, non è (ancora) in grado di questo.

La sfida per i prossimi mesi sarà dunque dimostrare che l’intelligenza artificiale può essere un alleato della democrazia, non un pericolo per essa. Che può rendere più efficiente il lavoro parlamentare senza spegnere la discussione. Che può portare trasparenza senza diventare uno strumento di controllo indiscriminato. E, soprattutto, che non esiste un codice scritto da un algoritmo che sostituisca la volontà degli eletti, ma solo uno strumento che rende la volontà più chiara, leggibile e, si spera, migliore.

Dopo decenni di ritardi digitali, forse è questo il vero cambiamento, più politico che tecnologico, che il Parlamento italiano stava aspettando.