Il problema non è l’intelligenza artificiale. Il problema è chi la maneggia come se fosse una mazza ferrata invece che uno strumento di precisione. Robert F. Kennedy Jr., nel suo recente e sconcertante tête-à-tête di 92 minuti con Tucker Carlson, non ha solo presentato una visione distopica del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (HHS), ma ha suggerito che l’IA possa rimpiazzare decenni di scienza medica, dati epidemiologici e perfino il buon senso. Un’utopia tecnologica dai contorni inquietanti, in cui il sapere scientifico viene annichilito in favore di modelli computazionali manipolabili, se non apertamente truccabili.

Kennedy ha definito la sua leadership all’HHS come una “rivoluzione dell’IA”, chiedendo agli americani di “smettere di fidarsi degli esperti”. È difficile immaginare una frase più tossica nel contesto di una pandemia globale e della più grande campagna vaccinale della storia moderna. Quando il capo della sanità pubblica smonta pubblicamente l’autorità scientifica e medica in favore di una tecnologia ancora ampiamente sperimentale, il risultato non è progresso, ma regressione mascherata da innovazione.

L’intelligenza artificiale, si sa, è una definizione ombrello: vaghissima, ambigua e inflazionata, capace di contenere tutto e niente. Ma questo non impedisce a Kennedy di usarla come una bacchetta magica per giustificare riforme radicali e potenzialmente disastrose. In particolare, ha affermato che l’IA aiuterà a “individuare sprechi, abusi e frodi” all’interno del governo federale, eco distorto del progetto DOGE di Elon Musk che ha già prodotto il licenziamento frettoloso di centinaia di dipendenti del CDC, ora disperatamente richiamati indietro. Un piano così mal congegnato da sembrare scritto da un chatbot istruito con gli editoriali di Alex Jones.

Anche l’uso dell’IA per “analizzare i mega-dati” del CDC suona come un tentativo di dare una patina di rigore tecnico a un’idea che non ha né fondamenta statistiche né una direzione chiara. Kennedy non distingue fra machine learning, modelli predittivi, reti neurali o NLP: tutto diventa un grande frullatore semantico in cui l’IA è buona quando supporta la sua narrazione e corrotta quando sostiene il consenso scientifico.

Il capitolo più pericoloso di questa narrazione, tuttavia, riguarda la proposta di riformare il VAERS (Vaccine Adverse Event Reporting System), un sistema già fragile e spesso travisato, che Kennedy vorrebbe automatizzare con algoritmi di intelligenza artificiale. Il fatto che VAERS sia spesso citato a sproposito dai movimenti anti-vax non è una novità. È un sistema aperto: chiunque può segnalare qualsiasi evento avverso temporaneamente associato a un vaccino. Che poi si tratti di rabbia, insonnia o abduzioni aliene, poco importa: l’evento viene registrato. Ma Kennedy, con la grazia di un elefante in una farmacia, intende usare questi dati come base per un’analisi automatizzata che legittimi la sua narrazione anti-vaccini.

Il rischio è evidente: alimentare un sistema di IA con dati rumorosi e non validati significa addestrarlo a riconoscere pattern fittizi, correlazioni spurie, e magari a “scoprire” effetti collaterali che non esistono. È il sogno bagnato di ogni teorico del complotto: una macchina che finalmente conferma le loro paure. Ma, come sanno bene i data scientist, “garbage in, garbage out”. Se inserisci spazzatura nel modello, ne otterrai spazzatura con sembianze di verità scientifica. Ed è proprio questa la distorsione più insidiosa: l’autorità del calcolo al servizio dell’ignoranza programmata.

A peggiorare la situazione, va ricordato che Kennedy ha già tentato di ottenere accesso illimitato al database VAERS. Il fatto che uno dei principali regolatori vaccinali sia stato rimosso per aver resistito a questa richiesta dovrebbe bastare a sollevare un’allerta rossa. Ora che quell’ostacolo è stato rimosso, nulla impedisce a Kennedy di manipolare i dati per creare una nuova “realtà statistica” dove i vaccini diventano i principali sospettati, e non la principale salvezza.

Questo non significa che l’intelligenza artificiale non abbia un ruolo da giocare nella salute pubblica. I modelli predittivi basati su dati di larga scala possono individuare tendenze nascoste, migliorare l’efficienza dei processi regolatori, e persino ridurre la necessità di sperimentazione animale. Ma ciò richiede trasparenza, revisione tra pari, integrità accademica, e soprattutto, la volontà di farsi smentire dai dati. Tutto ciò è incompatibile con un approccio ideologico, polarizzante, e basato sulla sfiducia sistemica verso la comunità scientifica.

Il fatto che Kennedy proponga di sostituire i test sugli animali con “modelli computazionali basati sull’IA” non è completamente fuori dal mondo: la FDA, già sotto l’amministrazione Biden, ha avviato una transizione in questa direzione. Ma far passare questa evoluzione come se fosse una propria innovazione è tanto scorretto quanto ingenuo. Il passaggio a modelli come gli organ-on-chip o le colture organoidi è frutto di decenni di ricerca e regolamentazione cauta, non il colpo di genio di un avvocato ambientalista travestito da scienziato.

C’è poi il problema dell’illusione di precisione. Quando un report generato da IA viene pubblicato con citazioni inventate, come accaduto con la “Make America Healthy Again Commission” capitanata dallo stesso Kennedy, si capisce quanto sia pericolosa l’adozione frettolosa di strumenti generativi. I modelli possono “allucinare” studi, fabbricare riferimenti, e fornire un’apparenza di rigore dove non c’è alcun fondamento. In medicina, questo può significare vite perse.

La verità è che la crociata di Kennedy contro le istituzioni sanitarie non ha nulla a che fare con l’innovazione e tutto a che vedere con il controllo del discorso scientifico. Utilizzare l’intelligenza artificiale come arma per scardinare i sistemi di sorveglianza epidemiologica e sabotare la fiducia pubblica nella vaccinazione è l’equivalente digitale del mettere la scienza sotto processo con una giuria di algoritmi mal addestrati.

Il paradosso finale è che Kennedy parla di intelligenza artificiale come se fosse una panacea, mentre si comporta come se fosse un gioco da ragazzi. Ma l’IA non è neutrale, e non è immune alla strumentalizzazione politica. In mani sbagliate, diventa uno strumento di amplificazione dei bias, di conferma dei pregiudizi, e di erosione sistematica della verità.

Quando un politico usa l’intelligenza artificiale per sfidare la scienza medica, non sta proponendo una riforma. Sta costruendo una realtà alternativa, una pseudoscienza algoritmica che traveste l’opinione personale da evidenza oggettiva. È una guerra culturale in cui i modelli linguistici diventano i nuovi chierici, e le dashboard interattive i nuovi pulpiti.

Ma se l’IA è davvero una rivoluzione, allora dovrebbe essere trattata con il rigore di una rivoluzione scientifica, non come l’ennesima arma retorica per alimentare la paranoia pubblica. Altrimenti, come scrisse Arthur C. Clarke, “ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”. E Kennedy sembra proprio il tipo di mago disposto a tutto pur di far sparire la scienza.