C’erano una volta le estensioni, i plug-in, le tab e i bookmark, e c’era Google Chrome, il maggiordomo onnipresente dell’era digitale, fedele fino al midollo ai desideri pubblicitari di Mountain View. Ma qualcosa sta cambiando. Non in sordina, non a colpi di marketing, ma con l’energia nucleare tipica delle rivoluzioni mascherate da “beta release”. Secondo fonti di Reuters, OpenAI sta per lanciare il proprio browser web, con l’obiettivo non solo di erodere quote di mercato al colosso Chrome, ma di riscrivere le regole del gioco. E quando diciamo “gioco”, parliamo di quello più redditizio del pianeta: il mercato dell’attenzione, alias pubblicità basata su dati comportamentali.
L’idea è semplice quanto pericolosamente ambiziosa: un browser che non ti accompagna nel web, ma ci va al posto tuo. Un’interfaccia nativa in stile ChatGPT, che minimizza il bisogno di cliccare link e navigare come cavernicoli digitali. Le pagine web diventano secondarie, i siti sono solo una fonte grezza da cui l’IA estrae risposte, compila moduli, prenota cene e forse, tra un po’, negozia mutui. Per Google è come se un ospite si presentasse a cena e iniziasse a svuotare il frigo.
In fondo era scritto. Chrome, il browser più usato al mondo con oltre 3 miliardi di utenti, è uno dei pilastri fondamentali del monopolio informativo di Google. Non solo indirizza il traffico verso il proprio motore di ricerca, ma raccoglie dati di comportamento su scala planetaria per nutrire la macchina pubblicitaria che genera tre quarti delle entrate di Alphabet. Togli il browser e togli l’ossigeno. Non è un caso se il Dipartimento di Giustizia statunitense ha ordinato lo smembramento dell’impero pubblicitario, e OpenAI ha fatto trapelare interesse per un’acquisizione di Chrome, nel caso si aprisse una breccia legale. Se non puoi comprare il castello, costruiscine uno sotto terra.
Il nuovo browser sarà basato su Chromium, lo stesso codice open-source da cui nasce Chrome. Ma la somiglianza si ferma qui. OpenAI ha arruolato due ex-vicepresidenti di Google, veterani del team originale di Chrome, per guidare l’operazione. Un colpo da maestro in stile Altman: rubare i cervelli prima ancora delle quote di mercato. E, sempre secondo le fonti, la motivazione profonda è il controllo: non essere solo un plug-in su un browser altrui, ma l’intero ambiente. Chi controlla il browser, controlla il comportamento. E chi controlla il comportamento, controlla il denaro.
Questa mossa non nasce nel vuoto. Il mercato dei browser sta vivendo un curioso Rinascimento in salsa AI. Brave, The Browser Company, Perplexity con il suo “Comet”: tutti sognano di trasformare il browser in un agente, non in un’interfaccia passiva. Ma nessuno ha 500 milioni di utenti settimanali come ChatGPT. Nessuno ha già integrato AI agent come Operator che possono agire direttamente, come avatar digitali armati di tastiera invisibile. Se OpenAI riesce a infilare questi agenti dentro il browser, ogni clic diventa un’azione delegata, ogni form compilato è una trattativa algoritmica. Il web smette di essere uno spazio da esplorare e diventa un’infrastruttura da attraversare senza guardarla.
Qui si gioca qualcosa di più della competizione tra aziende. È il futuro della relazione uomo-macchina. Fino a oggi, navigare significava cercare, confrontare, selezionare, leggere. Domani potrebbe bastare chiedere. O peggio, potrebbe non esserci più bisogno di chiedere nulla: l’agente sa già. L’idea stessa di “navigazione” rischia l’obsolescenza, come le enciclopedie cartacee o i modem dial-up. In questo scenario, i contenuti web diventano materia prima, non destinazione. Per chi scrive, per chi progetta interfacce, per chi vende online, è una rivoluzione copernicana.
Ma è una rivoluzione che non piace a tutti. Google ha costruito un impero sulla centralità del search e della pubblicità contestuale. Se il browser di OpenAI fa da filtro, da interprete, da concierge personale, allora Google perde la visibilità. Non basta essere il sito più visitato: se nessuno ci arriva, o se un’IA ne estrae il succo prima ancora di caricare la pagina, l’efficacia pubblicitaria crolla. È la morte lenta del pay-per-click. È la smaterializzazione dell’utente, ridotto a una riga nei log di un agente. Un’azienda che ha vissuto per decenni sui dati del comportamento, si ritroverebbe cieca.
Tutto questo mentre l’AI cambia pelle: da strumento passivo a controparte attiva. Altman non vuole più solo generare testi o immagini su richiesta. Vuole ridisegnare l’esperienza computazionale stessa. Con il browser, OpenAI entra nei ritmi quotidiani delle persone: lavoro, svago, acquisti, comunicazione. È la stessa logica che l’ha portata a spendere 6,5 miliardi per acquistare l’hardware di Jony Ive. Il software è potente, ma senza una base nativa resta ospite. Un browser proprietario è l’equivalente digitale di un sistema operativo: ti permette di riscrivere le regole del gioco, senza dover bussare alla porta di nessuno.
Certo, la sfida è titanica. Chrome non è solo il browser più usato, è anche un pilastro tecnico in una catena complessa che collega Android, Gmail, Google Docs, Google Maps e l’intero ecosistema pubblicitario di Alphabet. Aprire una breccia in quel fortino richiede più di un’interfaccia carina o di qualche AI assistant. Servono prestazioni, compatibilità, velocità, sicurezza. Serve fiducia. Ma OpenAI ha un vantaggio competitivo senza precedenti: è percepita come l’AI company. Ogni suo movimento viene interpretato come visione del futuro. E se riesce a integrare il suo browser con ChatGPT, con la semantica dei contenuti generativi, con la personalizzazione comportamentale, allora può diventare la porta principale del web. Una porta che decide quali stanze vale la pena visitare e quali no.
La retorica attorno all’intelligenza artificiale spesso scivola nel misticismo. Ma qui si tratta di un fatto concreto: chi possiede il browser, possiede il contesto. In un’epoca in cui il contenuto conta meno del contenitore, OpenAI sta costruendo il proprio. E se ci riesce, cambierà non solo come navighiamo il web, ma cosa significa “navigare”.
Non è un’estensione. È una mutazione.
La prossima volta che apri Chrome, chiediti chi ti sta guardando. E poi pensa a cosa succederà quando sarà lui a guardare per te.