Non servono più generali geniali, servono algoritmi che sanno uccidere. Il Pentagono lo sa bene. Per questo ha appena firmato un contratto da 50 milioni di dollari con Auterion, una startup svizzera con sede a Zurigo e Arlington, per fornire 33.000 “strike kits” alimentati da intelligenza artificiale all’esercito ucraino. Cosa fanno questi kit? Trasformano droni commerciali da Amazon in killer autonomi. Praticamente, il futuro della guerra costa meno di uno smartphone.
Non parliamo di prototipi da laboratorio, ma di hardware pronto per la spedizione entro fine anno. Le specifiche tecniche fanno rabbrividire quanto entusiasmare chi investe nella difesa next-gen. Il cuore del sistema è Skynode S, un modulo grande come una carta di credito con 4GB di RAM, 32GB di storage e la capacità di navigare, riconoscere bersagli e colpirli anche sotto jamming elettronico. In altre parole: il drone non ha più bisogno di un pilota umano. Vede, pensa e attacca. In autonomia. Chi ha bisogno del joystick quando puoi dare carta bianca a un software che prende decisioni mortali a 100 km/h?
La parola magica è “piattaforma-agnostico”. I kit funzionano su qualsiasi tipo di drone. DJI, Parrot, chi se ne importa. Se vola, può colpire. È l’API della morte. Basta montare il kit e il giocattolo del sabato pomeriggio si trasforma in un’arma strategica da guerra asimmetrica. I militari la chiamano “modularità tattica”. I civili la definirebbero “terrore su richiesta”.
Non è una provocazione, è il presente. A giugno, l’Ucraina ha lanciato droni commerciali modificati in profondità nel territorio russo, centrando aeroporti militari. Si chiamava “Operazione Ragnatela”. Un nome che fa pensare a TikTok, non a un attacco militare. Eppure ha funzionato. I droni FPV (First Person View) erano pilotati a mano, uno per uno, come in un videogioco. Ma è l’ultima volta che la mano umana toccherà il joypad. L’intelligenza artificiale si sta prendendo il posto di comando.
Daniel Gerstein, ricercatore del RAND e veterano del DHS, ha riassunto la situazione con cinismo strategico: “È un gioco del gatto col topo, ma entrambi stanno costruendo nuovi giocattoli in tempo reale”. Da una parte chi attacca con stormi di droni intelligenti. Dall’altra, chi cerca di abbatterli con contromisure elettroniche e sistemi anti-UAV sempre più sofisticati. Ma se il drone non ha bisogno di una connessione continua per ricevere ordini, perché è guidato da un’intelligenza onboard, il gioco cambia completamente. È come combattere un’ombra che non smette di imparare.
La nuova frontiera del conflitto non è solo a terra o nello spazio aereo. È nei microchip. Nella RAM che elabora un flusso video in tempo reale e decide chi è un carro armato e chi un’ambulanza. Non sempre in modo perfetto, intendiamoci. Ma abbastanza da fare danni irreversibili. La guerra diventa una questione di silicio, non di acciaio. E l’etica? Non pervenuta. Come disse uno dei padri dell’AI militare in un momento di candida brutalità: “L’importante non è se l’algoritmo sbaglia. È se sbaglia meno del soldato medio”.
Questi strike kits, pensati inizialmente per droni civili, sono l’equivalente digitale del Kalashnikov: economici, facili da usare, devastanti. La differenza è che imparano a ogni volo. Ogni missione è una lezione. Ogni bersaglio centrato, un aggiornamento del modello. Il campo di battaglia è diventato un dataset. E ogni morte è un dato da ottimizzare.
Il CEO di Auterion non ha rilasciato dichiarazioni roboanti. Non ce n’è bisogno. La tecnologia parla da sé. Una startup fondata nel 2024 è diventata in meno di 18 mesi un fornitore ufficiale di sistemi d’arma per una guerra europea. Quando si dice time to market. Se questa non è la prova definitiva che il ciclo di innovazione tecnologica è ormai sincronizzato con il ciclo della distruzione, allora cos’altro serve?
Nel frattempo, in silenzio, altri Paesi osservano e prendono nota. Perché l’Ucraina non è solo un campo di battaglia. È un laboratorio. I test operativi sul campo valgono più di mille white paper. Cosa succede quando un drone da 300 dollari riesce a disabilitare un radar da 3 milioni? Succede che il concetto stesso di deterrenza viene riscritto. Non serve avere il missile più grosso. Serve avere il software più intelligente.
E mentre i think tank occidentali scrivono paper sull’IA etica e sui limiti morali dell’autonomia letale, la realtà prende un’altra direzione. Sul fronte ucraino, la sopravvivenza non si misura in linee di codice ben commentate. Si misura in millisecondi di reazione, in algoritmi che anticipano il movimento nemico, in sensori che sanno distinguere una jeep da un blindato anche sotto la pioggia. I kit di Auterion non sono un esperimento. Sono già operativi. E funzionano.
Questa evoluzione non si fermerà con 33.000 moduli. Al contrario. È solo l’inizio. L’AI militare, integrata in hardware off-the-shelf, apre una stagione completamente nuova. I confini tra civile e militare evaporano. I droni per le consegne diventano munizioni intelligenti. Il delivery non è più solo per la pizza, ma anche per il tritolo.
Chi controlla questi sistemi? Chi decide i parametri dell’ingaggio? Chi risponde se un algoritmo sbaglia bersaglio? La risposta, al momento, è nessuno. O meglio, la risposta è: chi paga decide. E in questo caso, il Dipartimento della Difesa ha appena firmato un assegno piuttosto eloquente.
I nostalgici della guerra tradizionale, quelli che ancora credono che tutto si giochi con la fanteria e i tank Leopard, stanno già perdendo la battaglia narrativa. L’idea stessa di “teatro operativo” ha perso senso. Ogni luogo con un segnale radio è un possibile bersaglio. Ogni drone è un potenziale assassino. Ogni linea di codice può diventare un’arma.
Benvenuti nella guerra algoritmica. Dove a decidere non è più l’uomo, ma il software. E il software non ha morale, ha solo efficienza.