Oracle, quel dinosauro del software che negli anni ’80 e ’90 sembrava immarcescibile, oggi è il cavallo di Troia dell’AI nel cloud. Martedì, quando presenterà i risultati del trimestre chiuso ad agosto (primo del suo esercizio fiscale 2026, che va da giugno a maggio), scopriremo quanto profondo sia il suo tuffo nel rosso. Le anticipazioni parlano chiaro: niente aumenti in contanti, voci interne rivelano che Oracle starebbe eliminando bonus e aumento salari i dipendenti riceveranno azioni al posto dei soldi. Altri tagli? Più di 150 posti nel cloud a Seattle sono già stati sacrificati sull’altare dei cluster AI, e centinaia nel mondo stanno cadendo pure sotto il dito della ristrutturazione.
È una danza crudele: si taglia mentre si investe, perché il conto dei data center con OpenAI e GPU da NVIDIA pesa come un macigno. Oracle ha bruciato quasi 400 milioni di dollari di free cash flow nell’esercizio 2025; nelle proiezioni 2026, i capex saliranno del 19 %, spinti verso $21 – 25 miliardi. La mossa è audace, il rischio alto. Ma guardiamo i numeri: il cloud ora vale il 44 % del fatturato, con infrastruttura in crescita del 49 % e un backlog futuro (RPO) salito del 62 % a $130 miliardi. Gli analisti, impavidi, lanciano upgrade e target da $250 a $308, come se Oracle fosse una startup AI in piena accelerazione.
C’è un’ironia di fondo: aziende coetanee come Amazon, Microsoft, Google e Meta investono nell’AI pur generando flussi di cassa titanici. Oracle, che nel 2027 sarà cinquantenne, paga il conto anticipato. Un rallentamento nella corsa all’AI e tutto rischia di invertire, più velocemente di quanto una startup fondi il suo primo round.
Buona discesa nelle prossime trimestrali.