Anthropic ha superato OpenAI: il sorpasso silenzioso che sta riscrivendo le regole del mercato Enterprise dell’intelligenza artificiale
Da tempo era nell’aria. Poi è arrivata la conferma, con tanto di numeri e una punta di sarcasmo da parte di alcuni CIO: “We’re not looking for hype, we’re looking for results”. Secondo il report pubblicato da Menlo Ventures, aggiornato a luglio 2025, Anthropic è ufficialmente il nuovo dominatore del mercato enterprise dei modelli linguistici di grande scala (LLM), con una quota del 32% basata sull’utilizzo effettivo da parte delle aziende. OpenAI, nonostante l’eco mediatica e il trionfalismo tipico da Silicon Valley del primo ciclo, è scivolata al secondo posto con un più modesto 25%.
Per avere un’idea della portata del sorpasso, basti pensare che nel 2023 OpenAI deteneva il 50% del mercato, mentre Anthropic arrancava con il 12%. Il ribaltamento non è solo statistico. È filosofico, strutturale, quasi culturale. Un cambio di paradigma sottile ma brutale. Non ha avuto bisogno di titoloni o demo hollywoodiane: Claude si è insinuato nel tessuto enterprise come fa il software che funziona davvero, con silenziosa precisione.
A segnare la svolta è stato il rilascio del modello Claude 3.5 Sonnet nel giugno 2024, seguito a ruota dal Claude 3.7 Sonnet nel febbraio 2025. È in quel momento che molti sviluppatori enterprise, CTO e chief data officer hanno smesso di flirtare con l’idea di ChatGPT per dedicarsi a un nuovo oggetto del desiderio: un modello capace di generare codice, documentazione tecnica e strategie di automazione con una coerenza che definire “sorprendente” è riduttivo. Lo conferma anche il dato più tagliente del report: nel segmento coding, Claude domina con il 42% della quota d’uso, mentre OpenAI si ferma al 21%. Tradotto: “When it comes to code, OpenAI is no longer the first tool we reach for”, ha dichiarato un VP of Engineering di una delle top 100 aziende Fortune, mantenendo l’anonimato.
Il quadro che emerge è chiaro. L’impresa non vuole esperienze utopiche da consumatore finale. Vuole scalabilità, robustezza e, soprattutto, controllo. Qui Anthropic ha saputo giocare un’altra carta decisiva: la trasparenza e la prevedibilità delle sue API, abbinate a policy di sicurezza e privacy meglio allineate ai bisogni di governance aziendale. Questo ha creato una nuova forma di fiducia. Non quella cieca e carismatica che per anni ha reso OpenAI il “Messia” dell’AI generativa. Ma quella razionale, basata su prove d’uso reali e performance misurabili.
In parallelo, anche Google ha continuato a guadagnare terreno nel settore enterprise, senza fare troppo rumore. I suoi modelli Gemini (ex PaLM) si stanno ritagliando uno spazio significativo soprattutto tra le grandi aziende già integrate nell’ecosistema Google Cloud. Ma il dualismo Anthropic-OpenAI rimane il vero scontro ideologico di questo decennio: da una parte, la visione da laboratorio di ricerca privatizzato e mediaticamente ipervitaminizzato; dall’altra, la concretezza di un laboratorio silenzioso, finanziato da Amazon e Google ma con un’ossessione zen per l’affidabilità.
Un altro dato interessante arriva dal fronte open source. Malgrado l’hype iniziale e le promesse di democratizzazione, i modelli open source come LLaMA di Meta non hanno ancora trovato un’applicazione massiva in ambienti enterprise. Secondo Menlo Ventures, solo il 13% dei workload giornalieri aziendali utilizza modelli open source, in calo rispetto al 19% di inizio 2025. Più della metà delle aziende intervistate dichiara di non utilizzare affatto modelli open. Il motivo? Sicurezza, compliance, rischio reputazionale, e — soprattutto — una domanda implicita che gira nei board meeting: “Chi si prende la responsabilità legale se un modello open sbaglia o viene compromesso?”
La risposta non è mai chiara, ed è proprio lì che i modelli closed di Anthropic e OpenAI vincono ancora: offrono un’interfaccia rassicurante, un SLA firmato e una narrativa su cui costruire business plan e architetture di sistema credibili. Ma attenzione: se OpenAI si è rifugiata nella massa dei 2,5 miliardi di prompt al giorno su ChatGPT, giocando sul lato consumer come un gigantesco TikTok testuale, Anthropic ha silenziosamente costruito un impero B2B che produce codice, documenti legali, analisi di rischio, piani industriali e contenuti verticali.
Il CTO di una multinazionale della logistica lo ha detto senza mezzi termini: “ChatGPT è perfetto per l’ufficio marketing. Ma per il nostro dipartimento legale e ingegneristico, solo Claude riesce a capire cosa vogliamo e come lo vogliamo”. Un altro CIO ha aggiunto con sarcasmo: “Claude non si inventa risposte quando non sa qualcosa. E non mi spinge a comprare l’abbonamento premium ogni cinque minuti”. È questa sobrietà il vero killer feature: meno show, più substance.
Il sorpasso di Anthropic su OpenAI, sebbene ancora sottovalutato dai grandi media generalisti, segna una mutazione profonda nel ciclo di vita dell’intelligenza artificiale generativa. Siamo passati dalla fase adolescenziale — fatta di esperimenti, hype e viralità — a una fase adulta dove ciò che conta è l’integrazione con i sistemi ERP, la compatibilità con la supply chain, la tracciabilità delle fonti. In breve, l’AI come strumento operativo e strategico, non come giocattolo da demo.
Siamo davanti a un nuovo equilibrio industriale. Non si tratta solo di quote di mercato, ma della credibilità sistemica che un’azienda riesce a trasmettere attraverso la propria architettura AI. Anthropic ha scelto di costruire un prodotto pensato per i tecnologi, non per gli influencer. E alla lunga, come sempre, la sostanza batte l’apparenza. Proprio come nel 2000 SAP vinse su Lotus Notes. O come Oracle non ha mai avuto bisogno di essere cool per dominare i database. Così oggi Claude sta riscrivendo il destino dell’AI enterprise. Silenziosamente. E con una penna molto affilata.
