Quando Apple decide di aprire un account su RedNote, la piattaforma che molti definiscono la versione cinese di Instagram, non sta semplicemente pubblicando un logo animato con un invito ai consumatori a condividere storie. Sta mettendo in scena un esperimento di sopravvivenza. È la mossa più recente di un gigante che in Cina non è più percepito come intoccabile, ma come un concorrente che arranca dietro i brand locali che dettano trend, prezzi e perfino narrative. In altre parole, Cupertino sta cercando di sembrare più giovane, più pop, più vicina a quell’audience che oggi compra un Honor o un Vivo senza la minima nostalgia per Steve Jobs.

La scelta del terreno è tutt’altro che casuale. RedNote è diventata simbolo di un nuovo nazionalismo digitale che si mescola con estetica social e consumismo iper-veloce. È lì che i brand vincono o perdono rilevanza presso un pubblico che considera obsolete le forme di comunicazione tradizionali. Apple lo sa, e sa anche che la sua semplice presenza non basta più: servono engagement, storytelling e, soprattutto, la capacità di inserirsi in un ecosistema che funziona secondo regole disegnate a Pechino, non a Cupertino. La differenza rispetto al 2018, quando aprì il canale ufficiale su WeChat, è abissale. Allora bastava esserci. Oggi bisogna performare, e in Cina performare significa giocare con le stesse armi dei competitor locali.

Dietro questa scelta strategica c’è il contesto più delicato: l’imminente lancio dell’iPhone 17. Apple non può permettersi un’altra generazione tiepida come la 16. L’analista Ivan Lam di Counterpoint lo ha detto senza mezzi termini: i consumatori cinesi non spenderanno soldi per aggiornamenti percepiti come marginali, soprattutto in un ciclo economico dove il consumo è debole e le sovvenzioni statali premiano prodotti sotto i 6.000 yuan. Questo dettaglio, apparentemente tecnico, ha avuto un impatto devastante sul posizionamento di Apple: i suoi flagship, esclusi dagli incentivi, sono stati improvvisamente percepiti come status symbol costosi e fuori contesto. Ecco perché Cupertino si è piegata a tagli di prezzo fino a un terzo, una decisione che un decennio fa sarebbe stata giudicata impensabile, quasi blasfema.

Si potrebbe sorridere pensando all’ironia di un brand che per anni ha predicato il culto del premium e ora implora sussidi governativi per rientrare nel gioco. Ma questa è la realtà di Apple in Cina oggi: una multinazionale che si muove come un outsider, costretta a scendere a compromessi con un sistema che privilegia l’agilità delle aziende locali. Aprire un nuovo store a Shenzhen mentre chiude un punto vendita a Dalian non è un segnale di espansione lineare, è un tentativo di ricalibrare la geografia di un mercato dove la crescita non è più garantita.

C’è anche la dimensione politica, mai marginale in Cina. RedNote non è semplicemente un social network, è un ecosistema dove i contenuti si fondono con valori culturali e con un’identità nazionale sempre più marcata. Apple prova a inserirsi senza irritare né consumatori né regolatori, un equilibrio sottile che spiega anche l’apertura a soluzioni come Douyin Pay sull’App Store. Una volta sarebbe stato impensabile per Apple integrare strumenti di pagamento di un rivale diretto, ma l’azienda oggi non ha il lusso dell’arroganza.

Il paradosso è che i numeri, almeno per ora, non gridano al disastro. Nel trimestre chiuso a giugno, le entrate dalla Greater China sono cresciute del 4,4 per cento rispetto all’anno precedente. Una percentuale che suona bene se letta superficialmente, ma che nasconde un’evidenza: questa crescita è stata drogata da sussidi statali. Senza quella stampella, il castello rischia di crollare al primo soffio.

Il vero test arriverà con l’iPhone 17. Se sarà percepito come un prodotto marginalmente diverso dal 16, Apple non riuscirà a ribaltare la narrativa dominante. I consumatori cinesi non sono più disposti a pagare solo per il brand, specialmente quando Oppo e Xiaomi offrono feature spesso superiori a un prezzo dimezzato. Ciò che un tempo era il fascino irresistibile del logo con la mela oggi rischia di apparire come un orpello di lusso da boomer.

C’è chi sostiene che questa mossa su RedNote sia un preludio a una trasformazione più radicale: Apple che prova a diventare meno americana e più cinese, più flessibile e meno dogmatica. Ma il DNA di Cupertino non si riscrive così facilmente. Il brand è costruito sull’idea di differenza, non di conformità. Per questo la sfida sarà sempre impari: giocare alle regole del mercato cinese senza perdere quell’aura di esclusività che ha reso Apple quello che è.

In fondo, tutto si riduce a una domanda che riecheggia nella mente dei consumatori: perché dovrei comprare un iPhone 17 invece di un modello sussidiato e più accessibile di Huawei o Vivo? Apple risponde con video animati e storytelling su RedNote, ma la vera risposta non può venire da un post social. Dovrà venire da un prodotto che faccia di nuovo innamorare un mercato che non crede più alla magia per default.