Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Il futuro incerto di OpenAI: ex dipendenti si oppongono alla trasformazione in società a scopo di lucro

La lotta legale in corso tra Elon Musk e OpenAI sta assumendo contorni sempre più drammatici, con una nuova e rilevante memoria legale depositata da un gruppo di ex dipendenti dell’organizzazione. Questo gruppo di ex collaboratori, tra cui figure di spicco come Daniel Kokotajlo e William Saunders, ha espresso in modo chiaro e fermo il proprio disappunto riguardo ai cambiamenti strutturali proposti, che potrebbero trasformare radicalmente l’organizzazione da no-profit a un’entità a scopo di lucro.

Il cuore della questione ruota attorno alla missione originaria di OpenAI, creata con lo scopo di garantire che l’intelligenza artificiale avanzata fosse sviluppata a beneficio dell’umanità. Gli ex dipendenti, che hanno firmato una memoria a sostegno della causa intentata dal CEO di Tesla, sostengono che qualsiasi modifica radicale che vada a ridurre il controllo dell’entità no-profit comprometterebbe non solo la missione iniziale, ma anche la fiducia riposta da donatori, dipendenti e altre parti interessate. La critica che si leva contro la trasformazione in società a scopo di lucro si fonda sull’idea che tale scelta contraddirebbe i principi fondanti dell’organizzazione, violando l’impegno verso il bene comune e mettendo a rischio la credibilità stessa dell’azienda.

Meta assume ex consigliere di Trump e CEO di Stripe: perché no, il consiglio di amministrazione mancava proprio di “diversità”

Venerdì, in un audace tentativo di dimostrare che il concetto di “coerenza” è ormai obsoleto, Meta ha annunciato l’ingresso nel suo board di due personaggi dal curriculum perfettamente in linea con la sua missione di “connettere le persone”: Dina Powell McCormick, ex consigliera di Donald Trump e bancaria di alto livello, e Patrick Collison, CEO di Stripe, perché, si sa, quando pensi a “etica e responsabilità sociale”, Stripe è la prima cosa che ti viene in mente.

Mark Zuckerberg, con la solita faccia da poker, ha dichiarato: “Patrick e Dina portano un’esperienza unica nel supportare aziende e imprenditori” – sottintendendo: “Soprattutto quelli che pagano bene o hanno amici potenti”. McCormick, che oltre ad aver servito nell’amministrazione Trump ora gestisce i servizi clienti globali di BDT & MSD Partners, porterà sicuramente quella delicatezza diplomatica che mancava a Meta dopo le varie accuse di manipolazione politica.

Trump esenta smartphone e laptop dagli aumenti tariffari

(Perché anche i tiranni hanno bisogno del loro iPhone)

Che tenero gesto da parte del nostro amato leader supremo, Donald “Tariff Man” Trump, che ha deciso di graziare smartphone e laptop dalla sua personale crociata economica contro la Cina. Venerdì sera, mentre il mondo si chiedeva se i dazi del 145% fossero un errore di battitura o una follia calcolata, l’amministrazione ha annunciato con magnanimità: “Nah, su questi no, grazie, li usiamo troppo.”

Tra i fortunati esentati ci sono iPad, smartwatch e TV a schermo piatto – perché, diciamocelo, anche un protezionista ha diritto al suo binge-watching su Netflix. Apple, HP, Dell e compagnia bella possono tirare un sospiro di sollievo, mentre i consumatori potranno continuare a comprare l’ultimo MacBook senza dover vendere un rene. Peccato per i marchi cinesi come TCL e Lenovo, che dovranno ancora capire se la loro merce è abbastanza americana per sfuggire alla furia tariffaria.

Google Classroom e il nuovo strumento AI per la creazione automatica di quiz: una rivoluzione per gli insegnanti?

Nel panorama dell’educazione moderna, dove la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale sono ormai una realtà consolidata, Google Classroom fa un passo importante con l’introduzione di uno strumento AI che promette di semplificare e potenziare il processo di creazione dei quiz. L’annuncio, fresco di roll-out, riguarda l’integrazione di Gemini AI, un motore avanzato di intelligenza artificiale che, a partire da file caricati o testo inserito manualmente, è in grado di generare domande di quiz in modo completamente automatico.

Il concetto di base è semplice: gli insegnanti, grazie a Gemini AI, possono creare domande mirate che coprono diverse competenze e conoscenze, risparmiando tempo prezioso. Non si tratta solo di generare domande generiche, ma di personalizzarle in modo che siano in linea con gli obiettivi educativi specifici. L’IA permette anche una selezione precisa delle abilità che si vogliono testare, un aspetto fondamentale per ottenere un feedback dettagliato sul progresso degli studenti.

Gemini Blog: https://workspaceupdates.googleblog.com/2025/04/use-gemini-in-google-classroom-to-generate-questions-from-text.html

Sabotare l’IA con ritmi da mal di testa: Benn Jordan e il suono avversario

Nel mondo della musica digitale e dell’intelligenza artificiale, Benn Jordan ha lanciato una sfida che sembra destinata a scuotere le fondamenta della produzione musicale automatizzata. Utilizzando una tecnica chiamata “adversarial noise”, Jordan ha trovato un modo per sabotare i generatori musicali basati su IA, creando quello che lui stesso definisce un “attacco di avvelenamento” che rende la musica generata non solo inutilizzabile, ma potenzialmente dannosa per il sistema stesso. Questo concetto di sabotaggio sonoro sta aprendo un nuovo capitolo nell’intersezione tra arte e tecnologia, dove il confine tra creatività umana e potenza dell’IA è sempre più sfumato.

Il trucco dietro il “Poisonify” di Benn Jordan è tanto semplice quanto geniale: l’aggiunta di rumore avversario a file audio che, per l’orecchio umano, suonano perfettamente normali. Tuttavia, per i modelli di IA, questi file non sono ciò che sembrano. Il rumore avversario agisce come un “veleno” sonoro che destabilizza l’apprendimento della macchina, facendo sì che i generatori musicali non siano più in grado di produrre musica coerente. Il risultato è devastante: non solo la musica diventa “non allenabile”, ma l’intero modello rischia di essere compromesso.

Google sviluppa un’intelligenza artificiale per decifrare il linguaggio dei delfini: DolphinGemma, la nuova frontiera della comunicazione animale

Google ha messo in campo una delle sue creazioni più sorprendenti: un modello di intelligenza artificiale, soprannominato DolphinGemma, sviluppato per analizzare e decifrare i suoni dei delfini. La notizia ha suscitato una curiosità generale, aprendo un nuovo capitolo nella comprensione del mondo animale e nel tentativo, ormai quasi ossessivo, di creare ponti tra le forme di comunicazione non umane e la tecnologia. Ma cosa c’è veramente dietro questo progetto?

Meta e il futuro dell’IA: Formazione sui dati degli utenti dell’UE o nuova era di sorveglianza?

Meta ha recentemente annunciato che prevede di allenare la propria intelligenza artificiale sui dati degli utenti dell’Unione Europea, incluse informazioni da piattaforme come Facebook e Instagram. Questo annuncio non arriva certo come una sorpresa, considerando il crescente interesse dell’azienda per l’AI, ma ci sono implicazioni più profonde che vanno oltre la semplice giustificazione di migliorare i modelli di IA. Meta ha messo in luce che si tratta di un passo necessario per perfezionare l’interazione dell’IA con il pubblico europeo, ma ciò solleva inevitabili interrogativi sul rispetto della privacy, sulle possibili ripercussioni legali e sull’accesso che l’azienda avrà ai dati degli utenti.

I senatori repubblicani chiedono abrogazione dell’AI Diffusion Rule

Il 14 aprile 2025, sette senatori repubblicani hanno inviato una lettera al Segretario al Commercio Howard Lutnick, chiedendo l’abrogazione della “AI Diffusion Rule“, una normativa introdotta dall’amministrazione Biden che limita l’esportazione globale di chip per l’intelligenza artificiale.

Secondo i senatori, questa regola potrebbe danneggiare la leadership degli Stati Uniti nel settore dell’IA, creando incertezza per le aziende americane e ostacolando gli investimenti e le partnership tecnologiche globali. La normativa classifica i paesi in tre livelli, con solo 18 nazioni che godono di un accesso facilitato alla tecnologia americana, mentre la maggior parte, inclusi alleati come Israele, affronta restrizioni significative.

I senatori avvertono che tali limitazioni potrebbero spingere i paesi del secondo livello a rivolgersi a soluzioni cinesi, indebolendo l’influenza tecnologica degli Stati Uniti. Microsoft ha espresso preoccupazioni simili, affermando che la regola potrebbe dare alla Cina un vantaggio strategico nella diffusione della propria tecnologia IA.

Il Segretario Lutnick ha dichiarato che è necessario impedire alla Cina di utilizzare la tecnologia americana per costruire i propri sistemi IA. La questione evidenzia le divisioni interne al Partito Repubblicano su come gestire le esportazioni tecnologiche in un contesto di crescente competizione con la Cina.

OpenAI rilancia la sfida: gpt-4.1 abbassa i costi, alza l’asticella e guarda dritto agli sviluppatori

OpenAI ha appena lanciato GPT-4.1, e se ti stavi ancora leccando le dita con GPT-4o, forse è il momento di rimettere la sedia sotto la scrivania. No, non è GPT-5, e sì, è una mossa calcolata. Più strategia da CEO che show da keynote. Perché la verità è che questo nuovo rilascio – GPT-4.1, con le sue varianti Mini e Nano – è un prodotto che profuma meno di demo spettacolare e più di macchina da guerra per sviluppatori che hanno bisogno di potenza, efficienza e costi sotto controllo.

Kevin Weil, Chief Product Officer di OpenAI, si è lasciato andare in un livestream che sa di “state of the union”, affermando senza mezzi termini che questi nuovi modelli “sono migliori di GPT-4o in quasi tutte le dimensioni” e riescono a “eguagliare o superare GPT-4.5 in molti aspetti chiave”. Boom. Questo è uno statement. Soprattutto se consideriamo che il modello di punta della generazione precedente veniva ancora percepito come il non plus ultra.

Sovranità digitale e AI: perché il DDL Meloni è l’inizio di una rivoluzione strategica per l’Italia

C’è una certa retorica che, quando si parla di tecnologia e pubblica amministrazione, tende a oscillare tra l’allarmismo catastrofista e l’idealismo tecno-utopico. Il DDL sull’intelligenza artificiale, noto come Atto 1146, approvato dal Senato il 20 marzo 2025, ha acceso entrambe le micce. Eppure, al netto del rumore, c’è una verità semplice: per la prima volta, l’Italia sta tentando di scrivere una strategia industriale coerente in un ambito — quello dell’AI e del cloud, in cui finora abbiamo giocato solo da comparse.

Certo, il dibattito si è acceso in particolare sull’articolo 5 del disegno di legge, che stabilisce che “lo Stato e le altre autorità pubbliche” devono orientare le proprie piattaforme di e-procurement verso fornitori di AI che garantiscano la localizzazione e l’elaborazione dei dati strategici su data center in Italia. Non è un vezzo autarchico, ma un segnale preciso: i dati strategici, come l’energia o la difesa, non possono essere affidati a chiunque. Pretendere che il cloud della PA risieda in territorio nazionale significa affermare un principio di accountability e controllo operativo che non è più rimandabile. E non è affatto una provocazione: è una scelta politica e tecnologica matura.

Elon e Zuck nei semafori: l’AI che sussurra al tuo attraversamento pedonale

I sistemi vocali normalmente servono a guidare i pedoni non vedenti, avvertendoli di attendere o attraversare. Ma da venerdì, a Palo Alto, 12 incroci del centro hanno cominciato a vomitare frasi deliranti del tipo “Vuoi essere mio amico? Ti do un Cybertruck” oppure “È normale sentirsi violati mentre forziamo l’AI in ogni aspetto della tua esperienza cosciente”. Tutto questo con la voce di Elon o di “The Zuck”. Aggiungici una guest star con voce alla Trump che sussurra a Musk “Sweetie, torna a letto”, ed eccoci in pieno territorio deepfake theatre.

Kawasaki presenta Corleo: il cavallo robotico alimentato a idrogeno

Kawasaki Heavy Industries ha recentemente svelato Corleo, un concetto futuristico di veicolo a quattro zampe alimentato a idrogeno, progettato per affrontare terreni difficili con agilità e sostenibilità. Presentato il 4 aprile 2025 all’Expo Osaka Kansai, Corleo rappresenta l’incontro tra l’esperienza di Kawasaki nella robotica e nella tecnologia motociclistica.

La nuova trovata: Tariffe settoriali e paranoia industriale, la crociata di Trump contro l’Asia tech

Benvenuti nel nuovo episodio della soap opera Tariff Wars: Made in America, dove ogni giorno è una roulette russa per le supply chain globali. Howard Lutnick, Segretario al Commercio USA e fedele araldo del trumpismo 2.0, ha rivelato in un’intervista alla ABC che l’amministrazione ha deciso di separare i destini tariffari dei prodotti tech – smartphone, computer, semiconduttori e altra elettronica di prima fascia – da quelli soggetti ai dazi “reciproci” annunciati ad aprile. Ora, questi prodotti rientreranno sotto una nuova categoria: le “tariffe settoriali”.

Sam Altman come John Lennon? “OpenAI è più famosa di Dio”, “Qualcosa come il 10% della popolazione mondiale usa i nostri sistemi”

Se John Lennon nel 1966 aveva scioccato il mondo dicendo che i Beatles erano “più famosi di Gesù Cristo”, Sam Altman oggi sembra rilanciare lo stesso tipo di provocazione, ma in chiave post-umana: Qualcosa come il 10% della popolazione mondiale usa i nostri sistemi. Diciamolo: se Dio esiste, probabilmente ora sta facendo il login su ChatGPT.

Durante il TED 2025, Altman si è fatto intervistare da Chris Anderson, e non ha perso tempo per gettare benzina sul fuoco già divampante del culto di OpenAI. Altman ha affermato candidamente che gli utenti della startup hanno toccato gli 800 milioni. Un numero che vale da solo una parabola. O una IPO.

Alibaba sorpassa ByteDance nella corsa all’intelligenza artificiale: Quark è il nuovo padrone cinese dei super assistenti AI

In un mercato che si trasforma più velocemente di quanto la burocrazia riesca a normarlo, Alibaba ha piazzato un colpo chirurgico alla concorrenza: il suo assistente AI potenziato, Quark, è ufficialmente l’app di intelligenza artificiale più utilizzata in Cina. Non si tratta di una vittoria estetica o di un semplice restyling da PR, ma di un sorpasso strategico e pesantemente indicativo: Quark ha raggiunto i 150 milioni di utenti attivi mensili, superando Doubao di ByteDance e DeepSeek, ferme rispettivamente a 100 e 77 milioni, secondo i dati tracciati da Aicpb.com.

Sì, Alibaba possiede il South China Morning Post, ma qui i numeri parlano chiaro anche senza media embedded.

Pete Hegseth e la vendetta del contabile: cancella 5 miliardi di “aria fritta” al Pentagono e fa tremare l’impero della consulenza

Nel cuore dell’apparato più costoso del pianeta, una scure si è finalmente abbattuta. Pete Hegseth, arrivato da FoxNews ad essere Segretario alla Difesa con il ghigno dell’uomo d’azione e la contabilità nel sangue, ha mandato al macero oltre 5 miliardi di dollari in contratti IT, cloud e consulenze considerate “superflue”. Il bersaglio? I soliti noti: Accenture, Deloitte, Booz Allen Hamilton e l’intera burocrazia-parassita incistata nelle viscere del Pentagono. Quella che per anni ha lucrato sulla nebbia decisionale dell’apparato difensivo, presentando fatture da 500 dollari l’ora per PowerPoint su come “diversificare le riunioni” o “ottimizzare la supply chain con l’empatia”. Vedi il Memo.

“Abbiamo bisogno di questi soldi per investire in una migliore assistenza sanitaria per i nostri militari e le loro famiglie, invece di spenderli per consulenti di processi aziendali da 500 dollari all’ora,” ha detto Hegseth. “Sono davvero tanti soldi per consulenze.”

La fine dell’era dei chatbot ciechi: Model Context Protocol di Anthropic e l’intelligenza artificiale che finalmente “agisce”

Quando si parla di AI generativa nel 2025, il vero problema non è più la creatività dei modelli, ma la loro drammatica incapacità di interagire col mondo reale. Fino a ieri, chiedere a un LLM il prezzo attuale delle azioni Apple equivaleva a interpellare un indovino con amnesia cronica. Ottimo a parlare, pessimo a fare. Ora, Anthropic cambia le regole del gioco con il suo Model Context Protocol (MCP), un’infrastruttura che segna l’inizio di una nuova era: quella degli agenti AI operativi, contestuali, e – per una volta – utili davvero.

Il principio alla base è brutalmente semplice, ma incredibilmente potente. Un Large Language Model non è più un oracolo chiuso nella sua scatola nera addestrata mesi fa, ma un agente intelligente che può usare strumenti in tempo reale, decidere cosa fare in base al contesto, rispettare policy aziendali, chiedere approvazioni, e tornare con un output operativo e affidabile.

AI Shoring: il declino silenzioso del make or buy e l’ascesa dell’impresa aumentata RaaS

Per anni, le aziende hanno puntato su offshoring, pionere e gigante fu EDS e nearshoring Accenture, IBM, HPE per delegare attività digitali complesse a regioni con costi contenuti. Tuttavia, con l’avvento delle straordinarie capacità dell’intelligenza artificiale, stiamo forse entrando in una nuova era: l’AI shoring. Questo concetto prevede che, anziché affidare compiti manuali come il monitoraggio degli avvisi bancari o le verifiche di conformità a team umani ubicati all’estero, le aziende inizino a sfruttare agenti di intelligenza artificiale e algoritmi di apprendimento automatico (ML). Questa transizione potrebbe rivoluzionare profondamente il modo in cui le organizzazioni affrontano attività ripetitive e basate su processi, aprendo la strada a un futuro più efficiente e automatizzato.

Mentre i piani industriali ancora puzzano di slide PowerPoint e decisioni da comitato, fuori dalla sala riunioni si sta consumando una rivoluzione. Invisibile, distribuita, automatica. Una terza via si sta affacciando oltre le classiche dicotomie strategiche del “make or buy”, ed è molto più subdola, molto più efficiente, e soprattutto non dorme mai: delegare attività operative e decisionali agli agenti AI. Battezziamola pure AI shoring, perché suona bene e inquieta quanto basta.

Alphabet e Nvidia scommettono sull’IA estrema Safe Superintelligence (SSI): il nuovo colpo da $32 miliardi di Ilya Sutskever scuote la Silicon Valley

La Silicon Valley, si sa, ama gli enfant prodige. Ma quando l’ex chief scientist di OpenAI, Ilya Sutskever, si mette in proprio per fondare un’azienda chiamata Safe Superintelligence (SSI), con l’intento non tanto velato di creare un’Intelligenza Artificiale “super” ma anche “sicura”, l’élite tech reagisce come i venture capitalist davanti al nuovo Steve Jobs: tirando fuori i portafogli prima ancora che il pitch sia finito.

Secondo fonti vicine alla questione (la versione moderna del “un amico mi ha detto”), Alphabet e Nvidia – due entità che solitamente non giocano nella stessa sandbox senza stringere i pugni hanno deciso di unirsi a un round di finanziamento che ha catapultato SSI a una valutazione di 32 miliardi di dollari. Il round è stato guidato da Greenoaks, uno dei soliti noti nel panorama del venture capital high-stakes, quelli che scommettono forte e spesso sulle scommesse più pericolose: modelli AI di frontiera, che bruciano chip come fossero carbone in una locomotiva dell’Ottocento.

Sensetime rilancia la sfida dell’AI cinese con petaflops, chip patriottici e asset leggeri

SenseTime, la startup che da tempo ha smesso di comportarsi come tale, sta per far saltare il banco dell’intelligenza artificiale con una mossa tanto prevedibile quanto spregiudicata: moltiplicare a tre cifre la sua capacità di calcolo entro i prossimi due anni, spingendo sul pedale dei chip domestici in piena guerra tecnologica con gli Stati Uniti.

Yang Fan, co-fondatore di SenseTime e gran manovratore della divisione SenseCore, ha messo le carte sul tavolo. La capacità computazionale crescerà tra l’“alto doppia cifra” e il “tripla cifra” su base annua nei prossimi 24 mesi. Tradotto in numeri, nel 2024 si parla di un +92% rispetto all’anno precedente, con un totale che ha sfondato i 23.000 petaflops. Ma dietro ai numeri c’è molto di più: un progetto strategico per svincolarsi dalla dipendenza da chip statunitensi e una corsa dichiarata al profitto per il 2026. Il tutto, con una certa voglia di provocazione tecnologica made in China.

Netflix mette l’intelligenza artificiale nel telecomando: la nuova ricerca “emotiva” powered by OpenAI

Netflix ha deciso di rovesciare il tavolo ancora una volta, e stavolta lo fa alzando l’asticella dell’esperienza utente con un motore di ricerca alimentato da OpenAI. Non più solo “azione”, “thriller” o “con Will Smith”, ma qualcosa di molto più profondo: “voglio qualcosa di malinconico ma con un finale ottimista”, oppure “una serie che mi faccia compagnia mentre cucino con il gatto sulle ginocchia”. Fantascienza? No, Australia e Nuova Zelanda su iOS, ora. Presto anche negli Stati Uniti. Il futuro dell’intrattenimento non è nei contenuti: è nel modo in cui li cerchi.

Netflix sta testando questa nuova funzione in una modalità opt-in, il che significa che solo chi accetta di provarla potrà accedere a questa nuova frontiera del consumo digitale. Il test è già partito in due mercati culturalmente distanti da Hollywood, un segnale interessante: Netflix non vuole solo capire come funziona la ricerca semantica, ma come diverse culture interagiscono emotivamente con l’intrattenimento. Il fatto che il rollout sia solo su iOS, e non ancora previsto su Android o TV, non è casuale: Apple rappresenta il pubblico “premium”, quello che Netflix vuole profilare per primo. Il risultato? Una massa critica altamente segmentata e ad alto valore che permetterà al sistema di affinare i prompt e le risposte.

Youtube inventa la colonna sonora del futuro: addio copyright, benvenuto AI jukebox

Nel grande circo degli strumenti di content creation, YouTube sta silenziosamente spingendo i creator verso una nuova era, una dove non è più necessario pregare l’algoritmo di non falciarti il video con una segnalazione per copyright. Secondo quanto riportato da TechCrunch, la piattaforma di Google sta lanciando una nuova funzione chiamata Music assistant, un tool basato su intelligenza artificiale che permette di generare basi musicali strumentali su richiesta, totalmente gratuite e – cosa più importante – libere da ogni incubo legale.

La demo è stata presentata da Lauren sul canale Creator Insider, una specie di “dietro le quinte” ufficiale di YouTube dove le novità vengono spiegate con quel tono da Silicon Valley che cerca disperatamente di suonare umano, ma finisce per sembrare sempre un po’ Google Assistant con empatia. Nella dimostrazione, Lauren mostra una nuova tab all’interno della beta di Creator Music, dove compare il già battezzato Music assistant. Scrivi una frase come “dammi una musica motivazionale per un montaggio di allenamento” e voilà, l’algoritmo ti sforna una lista di tracce pronte all’uso. Clic, scarichi, editi il video, e nessuno ti tocca.

Chatgpt e il fenomeno della figurina virale Action Figure: quando l’AI diventa un giocattolo da esposizione

Non c’è niente di più LinkedIn-core del trasformarsi in un action figure e raccontare al mondo che la tua “arma” è una tazza di caffè e il superpotere una tastiera. Se ti stavi chiedendo qual è il nuovo passatempo digitale del branco di marketer, recruiter e aspiranti thought leader, eccoti servito: l’ultima mutazione dell’ego professionale si materializza in plastica (digitale), blister e accessori personalizzati. È la tendenza delle “AI Action Figure”, figli illegittimi dell’ultima ondata virale generata da ChatGPT, dopo il delirio visivo in stile Studio Ghibli.

Nel panorama inarrestabile dei trend figli di prompt scritti male e pixel disegnati troppo bene, il giocattolo personalizzato è l’ennesima forma di autocelebrazione travestita da contenuto creativo. Con il suo packaging da scaffale Walmart e le pose da finto modesto imprenditore del secolo, l’action figure AI non è altro che la versione 3.0 del biglietto da visita con sfondo motivazionale. Ovviamente, tutto questo ha trovato il suo habitat naturale su LinkedIn, dove ogni post è una TED Talk mancata e ogni like un’autoconferma esistenziale.

Apple e Siri: La sfida di rendere l’assistente virtuale intelligente, ma non troppo

Apple sta cercando di riscrivere la storia del suo assistente vocale Siri, ma il cammino è tutt’altro che lineare. Secondo quanto riportato dal New York Times, l’azienda della Mela prevede di lanciare una versione aggiornata di Siri entro la stagione delle vacanze 2025, con nuove funzionalità intelligenti e personalizzate che avrebbero dovuto essere implementate già in iOS 18. Tra queste, la possibilità di editare e inviare foto su richiesta, un passo in avanti significativo rispetto alla Siri che conosciamo oggi. Non solo un aggiornamento tecnologico, ma un tentativo di recuperare il terreno perso nei confronti dei suoi concorrenti, che da anni offrono assistenti vocali decisamente più avanzati.

L’illusione dell’intelligenza artificiale gratuita finirà male

Quando forse dopo i DAZI 🙂 Benvenuti nell’età dell’ipocrisia algoritmica, dove tutti si stanno innamorando follemente dell’AI come se fosse una droga sintetica: economica, disponibile ovunque, apparentemente innocua. ChatGPT, Claude, Gemini, Copilot: tutti lì, pronti a sussurrarti la risposta perfetta, il testo magico, la presentazione impeccabile. Solo che sotto la superficie liscia e lucida della nuova era digitale, si sta preparando una trappola industriale degna delle più raffinate manipolazioni del capitalismo predatorio. E sì, inquieta davvero che nessuno faccia i controlli.

Ci hanno venduto l’illusione dell’AI come bene pubblico, gratuito o a basso costo, come se il genio uscito dalla lampada fosse lì solo per farci risparmiare tempo e neuroni. Ma improvvisamente le aziende stanno iniziando a cambiare tono: “Attenzione, l’AI costa energia, non è sostenibile, dovremo aumentare i prezzi”. Ma dai? Chi l’avrebbe mai detto che far girare milioni di parametri su server sparsi in data center energivori tra Arizona, Norvegia e Cina non fosse la cosa più sostenibile del mondo?

Protetto: Microsoft 365 Copilot: l’ennesima “innovazione” che ci costa un botto ?

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Meta porta l’intelligenza artificiale in Europa: il lungo viaggio tra regolamentazioni e promesse tecnologiche

Meta ha finalmente annunciato il lancio delle sue funzionalità di intelligenza artificiale (AI) su Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger in Europa. Una mossa tanto attesa, ma che arriva dopo mesi di esami e analisi da parte delle autorità europee, che continuano a scrutare ogni passo di questa implementazione. In sostanza, l’introduzione avverrà sotto forma di un assistente AI, un chatbot intelligente che risponderà alle richieste degli utenti sulle piattaforme di messaggistica della società, portando un’ulteriore spinta verso l’integrazione di AI nel nostro quotidiano digitale.

Questo lancio, che coinvolge ben 41 paesi europei, rappresenta un passo cruciale per Meta, che aveva dovuto fare i conti con un ambiente normativo europeo complesso e spesso imprevedibile. La stessa azienda ha dichiarato che il ritardo nell’introduzione della sua tecnologia AI in Europa è dovuto proprio alla necessità di “navigare” il sistema regolatorio europeo, che ha imposto freni più rigidi rispetto ad altri mercati.

Google lancia Firebase Studio: l’IDE basato su web per costruire applicazioni full-stack con intelligenza artificiale

Google ha recentemente introdotto Firebase Studio, un potente ambiente di sviluppo web-based che promette di rivoluzionare il modo in cui vengono create e distribuite applicazioni di intelligenza artificiale full-stack. Integrando in un’unica piattaforma Project IDX, Genkit e Gemini, Firebase Studio fornisce agli sviluppatori un set di strumenti avanzati per progettare, costruire e distribuire applicazioni con un’efficienza senza precedenti. La funzionalità più interessante? Un agente di prototipazione delle app che può generare automaticamente applicazioni complete a partire da semplici prompt o disegni, riducendo drasticamente il tempo di sviluppo.

OpenAI, la corsa cieca all’IA: quando la sicurezza diventa un optional

Nel 2023, OpenAI sembrava incarnare il paradigma della responsabilità etica nella corsa all’intelligenza artificiale. Sei mesi di test per GPT-4, un impegno pubblico verso la trasparenza e persino collaborazioni con istituzioni governative per garantire che la nuova tecnologia non si trasformasse in un’arma nelle mani sbagliate. Ma quell’immagine da tech-samaritani sembra già roba da archivio storico. Oggi, il nuovo modello “o3” viene lanciato dopo appena pochi giorni di valutazioni. Una marcia forzata al rilascio che ha tutta l’aria di una sindrome da IPO imminente o da guerra fredda tra colossi dell’IA. O entrambe.

Dietro questa virata non ci sono misteri: pressione competitiva, fame di mercato, e un culto ossessivo per il “first mover advantage” stanno spingendo OpenAI ad accelerare brutalmente il ciclo di sviluppo dei suoi modelli. Il problema? Che questi modelli non stanno diventando solo più intelligenti, ma anche più pericolosi. E il tempo per verificarlo si è drasticamente ridotto.

No Wafer No Party, Chips di guerra: la Cina ridefinisce l’origine dei semiconduttori e silura il piano di Trump

Quando si parla di guerre commerciali, si tende a pensare a dazi, ritorsioni e mercati in affanno. Ma in realtà, in ballo ci sono sempre definizioni. E stavolta, è la definizione di “origine” che sta facendo tremare le fondamenta dell’industria globale dei semiconduttori. La Cina, in un colpo da maestro di strategia geoindustriale, ha ufficializzato che l’origine doganale di un chip sarà determinata dal luogo in cui viene effettuata la wafer fabrication, ovvero la fase chiave in cui nasce fisicamente il semiconduttore, indipendentemente da dove venga impacchettato o testato. La notizia è stata diffusa dalla China Semiconductor Industry Association (CSIA) con un messaggio molto chiaro: chi fabbrica il wafer, vince.

Questa mossa, a prima vista meramente tecnica, è in realtà una bomba geopolitica travestita da comunicato doganale. Il suo effetto immediato? Spostare l’ago della bilancia verso le fonderie cinesi come SMIC e Hua Hong, che hanno registrato un balzo azionario rispettivamente del 5,9% e 14% subito dopo l’annuncio. In altre parole, un “boost” di fiducia che difficilmente si compra con una campagna pubblicitaria.

Debug Gym – AI sa scrivere ma non sa correggersi: perché gli LLM sono ancora lontani dal pensare come uno sviluppatore

Secondo uno studio MSFT 25% del codice nuovo scritto da Google è generato da AI. Non lo dice un anonimo post su Hacker News, lo dice Sundar Pichai in persona. Mark Zuckerberg, non certo noto per la moderazione nei suoi entusiasmi, vuole strumenti AI di coding ovunque dentro Meta. OpenAI e Anthropic stanno già infilando i loro modelli nei flussi di lavoro degli sviluppatori. Ma c’è un dettaglio fastidioso che rovina la festa: questi modelli sanno scrivere codice, ma non sanno correggerlo. O meglio, si perdono in bug che uno stagista al primo mese sistemerebbe in due minuti. Così, mentre ci illudiamo che la prossima frontiera sia il prompt che ti scrive l’app da solo, la realtà è che passiamo ancora la maggior parte del tempo a fare debugging. A mano. Come nell’era pre-AI.

Pechino suona la carica, Li Qiang a Ursula von der Leyen : “abbiamo gli strumenti per resistere alla guerra commerciale di Trump”

Nel teatro sempre più grottesco dell’economia globale, dove le regole del gioco sembrano essere scritte con l’inchiostro simpatico dell’interesse nazionale americano, la Cina ha deciso di mostrare i muscoli ma con il guanto bianco della diplomazia. Li Qiang, Premier della Repubblica Popolare, ha alzato la cornetta e parlato con Ursula von der Leyen per recitare un copione che sa di calma glaciale e determinazione sistemica: “abbiamo abbastanza strumenti politici in riserva” e “siamo pienamente in grado di contrastare gli shock esterni”.

Tradotto dal mandarino: Trump può pure giocare a Risiko con i dazi, noi giochiamo a Go con decenni di pianificazione centralizzata. Il messaggio è chiaro, e non è solo per l’Europa: Pechino non ha intenzione di piegarsi alla nuova ondata protezionistica partorita dalla Casa Bianca. Anzi, rilancia con il solito mantra del “difendere l’equità internazionale” un concetto che fa sorridere se pronunciato da un Paese che tiene in piedi il più sofisticato sistema di capitalismo di Stato mai concepito.

Sensetime sfida OpenAI: il colosso cinese lancia un modello AI che “ragiona meglio” SenseNova V6 e V6 Reasoner

In un mercato sempre più saturo di fuffa e slide patinate, dove tutti si dichiarano pionieri dell’intelligenza artificiale, SenseTime ha deciso di alzare la voce e i numeri. L’azienda cinese ha lanciato due nuove versioni della sua suite AI, SenseNova V6 e V6 Reasoner, con una dichiarazione che ha il sapore del guanto di sfida: siamo meglio di OpenAI, punto.

Mentre in Occidente ci si perde tra conferenze stampa dal retrogusto evangelico e annunci scritti come se fossero la quarta sinossi di un film Marvel, in Cina si lavora. E i risultati, per quanto tutti da verificare sul campo, iniziano a diventare ingombranti. SenseTime afferma che il nuovo modello V6, equipaggiato con 600 miliardi di parametri una cifra che fa impallidire anche GPT-4o – ha surclassato il rivale americano in discipline fondamentali per l’AI del presente e del futuro: fact-checking, ragionamento numerico, analisi e visualizzazione dei dati. Tutte aree dove la precisione conta, e il marketing si ferma alla porta.

Xu Li, CEO e chairman del gruppo, ha snocciolato i risultati facendo riferimento a TableBench, una piattaforma indipendente che si propone come metro di paragone neutrale nel Far West dell’AI. Secondo questi benchmark, il V6 Reasoner non solo ha “ragionato meglio”, ma ha anche consumato meno risorse, offrendo il miglior costo-performance del settore. Una frecciatina nemmeno tanto velata a chi in Occidente punta su modelli da miliardi di dollari ma ancora allergici alla logica più spicciola.

Trump ordina un’indagine sull’ex capo della cybersicurezza: vendetta o strategia preventiva?

Quando l’ex presidente Donald Trump firma un ordine esecutivo, non lo fa mai a cuor leggero. Mercoledì ha messo nero su bianco un attacco frontale a Christopher Krebs, ex direttore dell’Agenzia per la sicurezza informatica e delle infrastrutture (CISA), oggi dirigente di SentinelOne, società privata di cybersecurity. Sì, proprio lui, lo stesso che dopo le elezioni del 2020 ebbe l’ardire di smentire pubblicamente le teorie trumpiane sul presunto “furto” elettorale. Il prezzo? Ora si ritrova al centro di un’indagine ordinata dallo stesso uomo che l’aveva già licenziato con una mossa spettacolare e mediatica.

Trump, in questo nuovo ordine esecutivo, ha revocato il nulla osta di sicurezza a Krebs, etichettandolo di fatto come una minaccia all’apparato statale. Ma attenzione: non si tratta di un’azione isolata. Il tycoon è nel pieno di una campagna di rivincita sistematica contro individui, studi legali e università che a suo dire lo avrebbero danneggiato o screditato. Questo comportamento paranoico, o forse solo estremamente strategico, ci racconta più del modus operandi trumpiano che dell’effettiva pericolosità di Krebs.

La scelta di prendere di mira un esperto riconosciuto a livello internazionale, che aveva semplicemente affermato che le elezioni del 2020 furono “le più sicure nella storia americana”, non è solo un atto vendicativo, ma un segnale politico ben preciso. Siamo nel pieno del 2024 e Trump ha bisogno di polarizzare l’attenzione, consolidare la base e riscrivere la narrativa in vista delle prossime elezioni. Quale modo migliore se non riesumare i fantasmi del 2020 e attaccare chi, con freddezza e competenza tecnica, ha osato contraddirlo?

Amazon premia il suo CEO: Andy Jassy incassa 40 milioni, mentre i dipendenti fanno i pacchi

Andy Jassy, il successore designato di Jeff Bezos e oggi CEO di Amazon, ha incassato solo 40,1 milioni di dollari nel 2024. La cifra, rivelata nel proxy statement di Amazon pubblicato giovedì, rappresenta un aumento del 37% rispetto ai 29,2 milioni del 2023. Un bel balzo, considerando che non ha ricevuto nuove azioni da quando ha preso il timone nel 2021. Ma si sa, a Wall Street anche l’immobilismo può essere una strategia, se il mercato fa il lavoro al posto tuo.

Il grosso del compenso deriva da stock option che si sono “vestite” Vested termine che nel gergo finanziario fa sembrare la cosa più sexy di quanto non sia grazie alla fiammata del titolo Amazon in Borsa. La società ha sottolineato come Jassy abbia in realtà avuto il 6% in meno di azioni rispetto all’anno precedente. Ma quando il prezzo delle azioni vola, anche il paracadute d’oro si gonfia da solo.

Ursula von der Leyen e la guerra dei pixel: perché una tassa europea sulla pubblicità digitale è una mina sotto il cloud delle Big Tech


Non è una guerra commerciale, è una partita a Risiko giocata da boomer vestiti da statisti, con le aziende tech americane al centro del bersaglio. Apple si è già beccata il primo colpo, ma ora anche Meta e Google rischiano di vedere i loro margini evaporare tra i fumi di ritorsioni e nuove fantasiose imposte pensate a Bruxelles, con la stessa lucidità con cui si sceglie il karaoke di fine anno in un ente pubblico.

Ursula von der Leyen, che evidentemente ha deciso di iniziare la campagna elettorale con l’eleganza di un colpo di mazza sul tavolo delle relazioni transatlantiche, ha proposto una tassa sui ricavi pubblicitari delle aziende statunitensi. Non sui profitti, attenzione, ma sui ricavi. Il che, per chi mastica un po’ di business, è come tassare l’aria condizionata di un ristorante e non il conto. È una misura punitiva, non una riforma. È una provocazione fiscale mascherata da giustizia economica, e come ogni provocazione, rischia di ottenere l’effetto opposto.

L’età dell’alluminio Agibot: Peng Zhihui, il prodigio dei robot umanoidi, ora nel club degli eletti di Pechino

Ne sentiremo parlare.

In un Paese che ha reso l’iperbole una forma d’arte politica, quando il Premier cinese Li Qiang ti chiama a raccolta tra un economista della logistica e un magnate del trasporto marittimo, qualcosa di simbolico sta accadendo. Peng Zhihui, classe 1993, fondatore della start-up AgiBot e ex enfant prodige di Huawei, è stato convocato tra le giovani speranze della tecnologia nazionale per un simposio a porte chiuse a Pechino. Un palcoscenico istituzionale che somiglia a un’investitura, più che a una riunione operativa.

Sotto il volto liscio del socialismo high-tech si nasconde un sottotesto chiarissimo: Pechino ha bisogno di nuovi idoli, possibilmente con un background da ingegneria applicata e un portfolio di robot bipedi pronti a spostare scatole o conquistare TikTok. E Peng, con il suo curriculum da sceneggiatura Marvel un braccio robotico alla Iron Man, un nickname virale (“Zhihuijun”), e un passato nei reparti AI di Huawei e Oppo è perfetto per la parte. Non un semplice imprenditore, ma un totem narrativo per una Cina che vuole ribadire che la partita dell’intelligenza artificiale non è a esclusivo appannaggio della Silicon Valley.

La guerra dei dazi diventa guerra di nervi: Trump e Xi al bivio di un duello strategico globale

Il sipario si è alzato sul secondo atto della guerra commerciale USA-Cina e stavolta non si tratta solo di dazi. È un confronto strategico, una partita a scacchi geopolitica, con Washington e Pechino incastrati in una dinamica di escalation reciproca che trascende il semplice commercio. Trump, tornato alla Casa Bianca con la sottile eleganza di un bulldozer in cristalleria, ha innalzato i dazi al +125% (quindi in totale dovrebbero essere 145%) contro la Cina. Una mossa che sa più di vendetta che di strategia economica, mentre a tutti gli altri partner commerciali ha concesso una graziosa tregua di 90 giorni. Per Pechino, invece, nessun salvacondotto.

Non siamo più nel 2018. Oggi, con le supply chain globali già fratturate e l’economia mondiale in modalità “survival”, la mossa di Trump appare come un tentativo di rianimare il suo brand politico attraverso il nazionalismo economico più tossico (Monroe). Ma la Cina non è quella che era. Non c’è più l’ombra di un compromesso tattico: Pechino ha messo in chiaro che è pronta a pagare qualsiasi prezzo pur di non piegarsi. Lo ha detto Zhao Minghao, esperto del Centre for American Studies di Shanghai, e lo ha ribadito ogni funzionario cinese coinvolto: questa è una guerra di risolutezza, non di numeri.

OpenAI dà memoria a ChatGPT: l’AI ti conosce, ti ricorda e ti risponde meglio di tua madre

Era solo questione di tempo prima che l’intelligenza artificiale smettesse di soffrire d’amnesia digitale. Oggi, OpenAI ha annunciato il rollout di un aggiornamento che porta ChatGPT dal ruolo di pappagallo iper-efficiente a quello di compagno digitale capace di ricordare tutta la tua storia con lui. Sì, tutta. Passato remoto, congiuntivo incluso.

Questa nuova “memoria aumentata” è in fase di rilascio per gli utenti paganti del piano Pro, trasformando radicalmente il paradigma dell’interazione uomo-macchina. Fino a ieri, ChatGPT poteva ricordare quello che gli dicevi solo se glielo salvavi manualmente. Oggi, invece, può recuperare il contesto da qualunque conversazione precedente e usarlo per rispondere come se avesse seguito la tua vita digitale in tempo reale. Tipo un assistente personale, ma senza lo stipendio, senza pause caffè, e senza sindacato.

Canva sfida l’impero di Microsoft e Google: l’attacco definitivo parte dal Visual Suite 2.0

Canva ha appena lanciato la bomba nucleare contro l’oligarchia del software aziendale. Mentre Microsoft si aggrappa disperatamente a Teams e Copilot, e Google continua a impilare fogli, slide e documenti in un’interfaccia che sa di decennio scorso, Canva si presenta con un piano tanto semplice quanto ambizioso: fagocitare tutto. Design, produttività, AI generativa, gestione dei team, fogli di calcolo, codice, foto, siti, presentazioni. In una sola parola? Total domination.

La nuova versione di Visual Suite non è solo un update, è una dichiarazione di guerra. L’obiettivo? Trasformare Canva da quello strumento da marketer fighetti e freelance creativi a vera alternativa alle suite collaudate di Microsoft 365, Google Workspace e pure una bella fetta di Adobe Creative Cloud.

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