Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Cina al bivio dell’intelligenza artificiale: la guerra dei modelli LLM si combatte a colpi di token e orgoglio nazionale

È ufficiale: l’intelligenza artificiale in Cina non è più solo una corsa tecnologica. È una guerra fredda a bassa latenza, giocata al ritmo di GPU e tariffe al millesimo di yuan. ByteDance, SenseTime, DeepSeek, Baidu, Alibaba: tutti a contendersi il trono dell’LLM più performante, più economico, più patriottico. E se vi aspettavate una lotta leale, preparatevi a qualcosa di più crudo: dumping cognitivo, propaganda di silicio e un’estetica da showroom di potenza computazionale.

Il protagonista della settimana è SenseTime, il colosso dell’AI quotato a Hong Kong e da sempre nel mirino geopolitico occidentale. Ha appena rilasciato un upgrade del suo Sensechat, un chatbot conversazionale ora dotato di capacità vocali e visive. Tradotto in termini brutali: parla cantonese, ti guarda, ti ascolta, e pensa anche – o almeno finge benissimo. La vera chicca? L’integrazione del modello multimodale SenseNova V6, che promette “visual reasoning”, ovvero la capacità di elaborare simultaneamente testo, video, audio, e – perché no – anche l’espressione rassegnata di un manager davanti al KPI che non sale.

Joe Tsai: Alibaba e la rivoluzione open source: la sfida che scuote l’AI e il cloud

Nel cuore pulsante di Parigi, durante il palcoscenico ipertecnologico di VivaTech, Joe Tsai, presidente di Alibaba Group Holding, ha lanciato una delle dichiarazioni più taglienti e, allo stesso tempo, strategicamente calcolate dell’anno. Aprire i modelli di intelligenza artificiale—quei giganteschi LLM che oggi dominano il panorama digitale—non è solo un gesto di altruismo tech, ma una mossa calibrata per sbloccare una marea di applicazioni AI e, soprattutto, per rilanciare una delle divisioni più strategiche di Alibaba: il cloud computing.

Se vi aspettavate una svolta convenzionale, vi sbagliate. Tsai, con la sua tipica ironia da veterano, ha definito il periodo appena trascorso per Alibaba come “un’era di grandi tormenti”. Eppure, proprio da quel caos, emerge la strategia chiave: democratizzare l’AI, liberarla da ogni vincolo di esclusività, spingendo così l’intero ecosistema verso una domanda esplosiva di infrastrutture cloud.

La guerra invisibile dell’intelligenza artificiale al cuore dell’istruzione cinese

Non hanno usato manganelli, né droni. Ma un clic silenzioso ha oscurato le menti digitali più brillanti del Dragone. Alibaba, ByteDance, Tencent e Moonshot: giganti che nel silicio scolpiscono l’immaginario tecnologico cinese, si sono piegati di fronte a un nemico vecchio come il mondo — la voglia di barare all’esame.

Durante i giorni sacri del gaokao, l’imponente rito collettivo che decide il destino accademico (e spesso anche esistenziale) di oltre 13 milioni di studenti, le funzioni più sofisticate dei chatbot sono state messe in pausa. Non per guasti tecnici o aggiornamenti di sistema. Ma per paura che qualche diciottenne troppo sveglio potesse chiedere una foto al compagno più fidato del 2025: l’algoritmo.

Quando i robot diventano figli unici: il paradosso cinese dell’assistenza agli anziani

C’è qualcosa di profondamente poetico — e vagamente inquietante — nel fatto che la Cina, un paese plasmato per decenni dalla politica del figlio unico, si ritrovi ora a programmare androidi per accudire i propri anziani. Come se la Silicon Valley del Dragone stesse tentando di correggere, con servomeccanismi e intelligenze artificiali, le lacune biologiche di una demografia sempre più sbilanciata. Ma tranquilli: non è fantascienza. È politica industriale, e pure parecchio concreta.

Il nuovo programma pilota lanciato congiuntamente dal Ministero dell’Industria e dell’Informazione e dal Ministero degli Affari Civili cinese prevede l’inserimento massiccio di robot per l’assistenza agli anziani. Sì, avete letto bene: badanti a circuito integrato, caregiver con sensori Lidar, compagni di vita con algoritmo di riconoscimento emotivo. Non è un nuovo anime giapponese, è il piano strategico della seconda economia mondiale per sopravvivere a se stessa. E non è un caso che il Giappone — eterno fratello-rivale nell’arena della senilizzazione — sia già da tempo sulla stessa strada.

Beijing Academy of Artificial Intelligence (BAAI): RoboBrain 2.0 promette la spatial intelligence

La cina vuole dare un cervello ai robot, ma la vera guerra è tra intelligenze

Nel cuore sempre più caldo della guerra fredda tecnologica, Pechino ha svelato il suo nuovo gioiello: RoboBrain 2.0, il “cervello” open-source pensato per colonizzare le menti—pardon, i circuiti—dei robot cinesi. Una mossa che, se letta con lenti geopolitiche e una certa vena di cinismo ingegneristico, sa meno di innovazione e più di controffensiva. Sotto la patina dell’entusiasmo scientifico e delle promesse di collaborazione industriale, si cela l’inizio di un nuovo capitolo nell’eterna partita tra intelligenza naturale, artificiale e, soprattutto, geopolitica.

Il Beijing Academy of Artificial Intelligence (BAAI) gioca d’anticipo. Con un lessico che sa di startup ma una postura da think tank governativo, ha lanciato un pacchetto di modelli AI pensati non solo per far muovere meglio i robot, ma per farli “pensare” come i loro progettisti desiderano. RoboBrain 2.0 promette una spatial intelligence più raffinata (vedi alla voce “non sbattere contro i muri”) e una capacità di pianificazione che permette alle macchine di scomporre attività complesse in sequenze logiche, autonome, ottimizzate.

Semiconduttori e sovranità: perché l’EDA cinese è l’unico gioco possibile in città

Il settore più noioso dell’alta tecnologia – il software per la progettazione dei chip – si è trasformato nel protagonista indiscusso della nuova guerra fredda. E no, non è un’esagerazione giornalistica.

Quando Washington ha ordinato a Cadence, Synopsys e Siemens EDA di smettere di vendere in Cina, la notizia non ha fatto solo tremare i server di Pechino: ha acceso una miccia nella borsa di Shenzhen. Perché? Perché l’EDA, quell’oscuro acronimo che significa Electronic Design Automation, è letteralmente il software che pensa i chip, li disegna, li simula, li testa. Senza EDA non c’è chip. Senza chip non c’è AI. Senza AI non c’è dominio tecnologico. E senza dominio, in questo secolo, sei solo un gigantesco mercato di consumatori.

Guerra fredda 2.0: chip, aerei e terre rare. Cronaca di un decoupling annunciato

Sotto la superficie diplomatica levigata dei colloqui di Ginevra, si consuma l’ennesimo atto del disaccoppiamento tecnologico tra Stati Uniti e Cina. Niente più sorrisi da foto opportunity, solo freddi fax del Dipartimento del Commercio americano. La Silicon Valley ha ricevuto l’ordine: smettere di esportare strumenti di Electronic Design Automation (EDA) a Pechino. Cadence, Synopsys, Siemens EDA: messi in riga, come scacchi sacrificabili sulla scacchiera geopolitica dei semiconduttori.

I colpi di scena non finiscono qui. La Casa Bianca ha anche messo in pausa alcune licenze concesse a fornitori americani per collaborare con COMAC, il Boeing cinese che sogna il decollo del C919, l’aereo destinato a spezzare il duopolio Airbus-Boeing. L’alibi? Le recenti restrizioni cinesi sulle esportazioni di terre rare. Il messaggio tra le righe: se ci provate con i minerali, noi chiudiamo i rubinetti dell’ingegneria.

Nvidia, l’Impero colpito al cuore: l’AI senza Cina è solo un’illusione

Non lo dicono ancora ufficialmente, ma la tensione è palpabile. Nvidia è finita nel mezzo di una guerra che non ha voluto combattere, ma da cui non può uscire. Il gigante dell’intelligenza artificiale, la fabbrica di chip più ambita del pianeta, ha appena fatto una mezza ammissione: il chip AI per la Cina non è pronto. Tradotto: l’America ha colpito, e Nvidia sta ancora cercando di capire dove sanguina.

Jensen Huang, CEO con la giacca di pelle e lo sguardo da filosofo californiano, lo ha detto durante l’ultima earnings call con la freddezza tipica di chi sa che ogni parola sarà sezionata da analisti, burocrati e lupi di Wall Street. “Non abbiamo nulla da annunciare al momento”, ha detto, lasciando intendere che qualcosa bolle in pentola, ma che per ora il fuoco è spento. O meglio: bloccato da Washington.

Software vietato, chip castrati: l’America ha deciso di spegnere la Cina (e forse anche sé stessa)

La mossa è chirurgica, ma il bisturi è arrugginito e il paziente è globale. Gli Stati Uniti, ancora una volta, tirano il freno a mano sull’export tecnologico verso la Cina, questa volta colpendo il cuore invisibile dell’innovazione: l’Electronic Design Automation, EDA per gli adepti, il software che non costruisce chip, ma li rende possibili. Senza EDA, progettare semiconduttori diventa un’arte rupestre. Lo riferisce il Financial Times, sempre più simile a un bollettino di guerra commerciale piuttosto che a un quotidiano economico.

Ma andiamo con ordine, se ordine si può chiamare questa escalation da Guerra Fredda digitale. A partire da maggio 2025, ogni singolo byte di software EDA che voglia attraversare il Pacifico verso Pechino dovrà essere accompagnato da una licenza di esportazione concessa – o negata – dal Bureau of Industry and Security del Dipartimento del Commercio USA. E no, non si tratta più solo di tool per chip all’avanguardia: adesso il divieto si estende a tutta la linea di prodotti, dall’entry-level al bleeding edge. Anche i cacciaviti digitali sono considerati arma strategica.

ByteDance lancia Bagel: il giocattolo open source da 7 miliardi di parametri che mastica le immagini meglio di Photoshop

Nel silenzio strategico tipico di chi sa di avere una bomba in tasca, ByteDance sì, proprio la madre cinica di TikTok ha lanciato BAGEL, un nuovo modello open source con 7 miliardi di parametri, progettato per una cosa sola: fare a pezzi il concetto tradizionale di editing visivo. Non uno, ma più file immagine manipolabili contemporaneamente, con risultati che sfiorano il surreale. Sì, sembra fantascienza. E invece è Python, PyTorch e tanta Cina.

Sembra il solito modello generativo? Sbagliato. BAGEL ha il sapore di un disastro imminente per una lunga lista di professionisti: grafici, designer, fotografi, influencer, stagisti pagati in exposure.
ByteDance ha messo la firma su un modello multimodale addestrato per manipolare batch di immagini come se fossero una sola entità: coerenza cromatica, mantenimento dello stile, contesto condiviso, persino le ombre vengono gestite come se stessimo lavorando con un’unica tela narrativa.

Bytedance e Doubao: l’illusionismo dell’intelligenza artificiale in videochiamata

Siamo all’apice del teatro digitale, dove ByteDance – la madre di TikTok – ha deciso di mettere in scena l’ennesima trovata degna del miglior illusionista. L’app Doubao, già nota come uno dei chatbot più popolari in Cina, si trasforma ora in una guida interattiva, consulente e analista in tempo reale grazie a una nuova funzione di videochiamata. Fantastico, no? O forse solo un altro trucco ben confezionato per mascherare i limiti reali dell’intelligenza artificiale generativa.

Fusione strategica in Cina tra Sugon e Hygon: la risposta silenziosa al dominio Americano

Nel teatro globale della supremazia tecnologica, dove gli Stati Uniti recitano il ruolo di guardiani del mercato dei semiconduttori e dei supercomputer, la Cina risponde con mosse che sembrano poco appariscenti ma che in realtà hanno la forza di un terremoto. La fusione tra Sugon, il colosso cinese dei supercomputer, e Hygon, il designer di chip specializzato in CPU e acceleratori per intelligenza artificiale, è la quintessenza di questa strategia sotterranea, raffinata e, per certi versi, cinica.

Siamo in un’epoca in cui la tecnologia non è più solo una questione di innovazione, ma di geopolitica pura, dove le restrizioni commerciali si trasformano in armi. Washington ha inserito Sugon nella sua Entity List, bloccandogli l’accesso ai chip americani più avanzati. Il risultato? Un’accelerazione forzata verso l’autosufficienza, un mantra ripetuto fino alla nausea da Pechino ma che, questa volta, ha un peso reale. La fusione non è solo un’operazione finanziaria: è una dichiarazione di guerra silenziosa, un modo per consolidare le forze e aggirare il cappio tecnologico imposto da Washington.

La guerra dei laboratori: perché gli Stati Uniti stanno silenziando la Cina anche nei test di smartphone e router

La censura digitale non passa più dalle bacheche dei social. Passa dai laboratori. Sì, quelli che certificano se il tuo prossimo smartphone non emette più radiazioni del consentito o se il baby monitor Wi-Fi non si trasforma in una porta d’accesso per hacker di Stato.

La Federal Communications Commission (FCC), in una mossa che sa di decoupling tecnologico al napalm, ha votato all’unanimità per squalificare i laboratori cinesi dal processo di autorizzazione dei dispositivi elettronici destinati al mercato statunitense. Tradotto: niente più bollini di conformità firmati da Pechino per cellulari, telecamere di sorveglianza, router e compagnia connessa.

Un salto quantico nell’allenamento AI: la sfida cinese che spaventa la silicon valleyCina, Osservatorio,

Quando una società cinese di trading quantitativo decide di entrare nel ring dell’intelligenza artificiale, non si limita a fare da spettatrice. Shanghai Goku Technologies, fondata nel 2015, ha appena buttato sul tavolo un paper destinato a scuotere le fondamenta della ricerca AI globale. Non è un progetto qualunque, ma una proposta che mette in discussione i metodi tradizionali di training, quelli che dominano il mercato e che OpenAI, Microsoft e altre megacorporazioni hanno adottato come oro colato: il fine-tuning supervisionato (SFT) e il reinforcement learning (RL). Goku parla di un framework ibrido adattativo step-wise, chiamato SASR, che sarebbe più efficiente e, soprattutto, più umano nel modo in cui sviluppa capacità di ragionamento.

L’intelligenza artificiale va in guerra: Pechino riscrive le regole del caos digitale 解放军报

Nel mondo dell’intelligenza artificiale applicata alla guerra, i cinesi non stanno giocando alla pari. Stanno giocando sporco. E se la notizia che la PLA (People’s Liberation Army) ha finalmente messo nero su bianco le proprie ambizioni anti-AI in un articolo ufficiale sul PLA Daily ti sembra un evento tecnico, sappi che non lo è. È dottrina militare, strategia geopolitica, ma soprattutto un avvertimento digitale con sfumature da Guerra Fredda 2.0. Solo che ora i missili sono algoritmi e i soldati parlano in Python.

Il bersaglio? I tre pilastri che reggono qualsiasi sistema di intelligenza artificiale degno di questo nome: dati, algoritmi, potenza di calcolo. Ed è proprio qui che la Cina vuole colpire. Non frontalmente, ovviamente: sarebbe da ingenui. La nuova guerra si vince sabotando il cervello dell’avversario, non sfondandogli la porta d’ingresso.

Intelligent Robot Exhibition di Guangzhou Robot cinesi come cavallette: ecco il nuovo Far West tecnologico

Benvenuti a Guangzhou, dove l’Intelligenza Artificiale cammina, parla e monta auto meglio del tuo apprendista sotto pagato. No, non è l’inizio di un film distopico, è semplicemente la Cina che con la solita furia produttiva da post-rivoluzione culturale in salsa digitale sta trasformando il settore della robotica in quello che l’automotive elettrico era qualche anno fa: una giungla darwiniana di start-up, colossi e sogni di silicio, dove l’unica certezza è che sopravvive solo chi ha le spalle coperte (o i chip giusti).

All’International Intelligent Robot Exhibition di Guangzhou di questa settimana c’erano 800 espositori. Ottocento. A occhio, un evento più affollato del traffico sulla Tangenziale Ovest un lunedì mattina. E la sensazione che si respirava? Un misto tra Fiera di Canton e borsa valori impazzita: tutti a caccia di volumi, capitali, clienti — con il sorriso stampato sul volto in puro stile PRC. Anche perché, dopo anni di tensioni e dazi, gli Stati Uniti hanno abbassato le tariffe. Tradotto: semaforo verde per la penetrazione occidentale. Ma stavolta non si tratta di giacche Zara o telefoni Xiaomi, ma di macchine capaci di pensare, agire e — presto — sostituire l’uomo medio.

China, il boom delle fabbriche robotizzate che nessuno racconta ma tutti dovrebbero temere

La produzione industriale di robot in Cina è esplosa più di un 50% ad aprile rispetto all’anno precedente, un dato che non si limita a parlare di numeri, ma racconta una vera e propria corsa al dominio tecnologico su scala planetaria. I numeri ufficiali del National Bureau of Statistics sono chiari: 71.547 unità prodotte in un solo mese, un balzo del 51,5% anno su anno, che straccia con violenza la crescita del 16,7% registrata a marzo e il già interessante 27% del bimestre gennaio-febbraio. Una crescita che – se fosse un animale – sarebbe un velociraptor pronto a sbranare il mercato globale.

Se consideriamo i primi quattro mesi dell’anno, la produzione ha raggiunto la cifra impressionante di 221.206 robot, con un’accelerazione che passa dal 9,9% dell’anno scorso a un robusto 34,1% di incremento. Dimenticatevi l’idea romantica di fabbriche piene di operai che lavorano con macchinari antiquati: la Cina sta correndo verso una nuova era in cui i robot industriali non sono più una curiosità futuristica, ma il cuore pulsante della sua produzione tech.

Star Compute Quando l’intelligenza si fa orbitale: la Cina riscrive il concetto di supercomputer

La Cina non si accontenta più di dominare il mercato dei chip, le filiere delle terre rare o l’intelligenza artificiale generativa. No, ora punta direttamente allo spazio. Ma non con poetici voli lunari o sogni marziani alla Musk: parliamo di qualcosa di ben più concreto, funzionale e, ovviamente, strategico. Dodici satelliti sono appena stati lanciati nell’ambito del programma “Star Compute”, primi mattoni di una futura costellazione da 2.800 unità che, detta come va detta, sarà un supercomputer orbitante. Un mostro distribuito capace di elaborare i propri dati senza dover chiedere il permesso a una stazione di terra. Il tutto nel silenzio perfetto dello spazio e con la complicità del vuoto cosmico che si porta via calore e problemi energetici.

La Silicon War delle menti artificiali: la Cina senza GPU e il sogno spezzato del deep learning a stelle rosse

Il cuore dell’intelligenza artificiale batte in silicio. Non a Pechino, non a San Francisco, ma nei wafer da 7 nanometri che si agitano nei datacenter. E proprio lì, nei templi della computazione moderna, la Cina si ritrova ad arrancare. Non per mancanza di cervelli o ambizioni quelle abbondano ma per una cronica e crescente carenza di GPU avanzate, il carburante essenziale per l’addestramento di modelli generativi e large language model (LLM). Tradotto in linguaggio meno tecnico: puoi anche avere il miglior team di fisici, linguisti e data scientist del paese, ma se li metti a lavorare con processori di seconda mano, faranno miracoli solo nei comunicati stampa.

Wang Qi, vice di Tencent Cloud, lo dice senza troppi giri di parole: “Il problema più grave sono le schede grafiche e le risorse computazionali.” In altre parole, la Cina è seduta al tavolo del deep learning con le bacchette rotte. Non che manchino gli investimenti Tencent ha appena chiuso il miglior trimestre della sua storia con 180 miliardi di yuan ma i soldi, in questa partita, servono a poco se non puoi spenderli per acquistare il metallo giusto.

Xpeng P7 e l’illusione dell’auto intelligente: la Cina lancia la sfida a Tesla

La chiamano “next-gen”. Lo scrivono ovunque. Lo dicono con voce ispirata nelle presentazioni digitali in stile Steve Jobs redivivo in salsa Cantonese. Ma dietro il sipario OLED e la pioggia di parole chiave AI, chip proprietario, guida autonoma L4 c’è una realtà molto più interessante di quanto sembri. No, non si tratta di un clone della Tesla Model 3. E nemmeno del solito “wannabe” elettrico partorito per inseguire la bolla ESG. La nuova XPeng P7 è una dichiarazione di guerra tecnologica. Con il silenziatore, ma ben oliato.

XPeng ha messo il turbo al proprio giocattolo di punta, il P7, infilandoci dentro una cosa che fa tremare Nvidia e, potenzialmente, Elon Musk: un chip proprietario, il Turing. Nome evocativo, potenza tripla rispetto all’ormai “vecchio” Drive Orin X, e soprattutto: made in-house. Questo non è solo un passo avanti tecnico. È un middle finger ben confezionato verso la dipendenza dalle architetture di terzi. È un messaggio chiaro: “non solo possiamo farlo, ma possiamo farlo meglio, da soli”. E in Cina, questa è la vera AI Revolution.

Shenzhen punta sui semiconduttori: 5 miliardi per vincere la guerra tecnologica con gli Stati Uniti

Shenzhen, una delle metropoli tecnologiche più influenti della Cina, ha recentemente lanciato un fondo interamente dedicato al settore dei semiconduttori, con una dotazione iniziale di 5 miliardi di yuan (circa 692,5 milioni di dollari). Questo fondo, chiamato Saimi (pronunciato “semi”, come i semiconduttori stessi), è gestito dalla Shenzhen Capital Group, un’agenzia statale, ed è un chiaro segnale del tentativo della città di rafforzare l’autosufficienza tecnologica del paese, in un contesto geopolitico teso, soprattutto con gli Stati Uniti. Sembra che Shenzhen stia preparando una partita ad alto rischio, ma sicuramente non una battaglia impari.

Europa che figura barbina

Un’altra volta ci siamo trovati nel mezzo dello scontro tra giganti, e no, non come protagonisti. Come comparsa malvestita sul set sbagliato. Mentre Stati Uniti e Cina giocano a Risiko commerciale lanciandosi tariffe come freccette ubriache al bar di fine serata, l’Europa resta ferma sullo sgabello a fissare il bicchiere vuoto, chiedendosi quando è successo che ha smesso di contare qualcosa.

Il punto non è che ci siano stati colloqui tra Washington e Pechino – quelli sono inevitabili, come i cerotti dopo le scazzottate. Il punto è come si sono chiusi. Gli USA, guidati dal solito Trump in modalità “Reality Show Diplomacy”, annunciano trionfi storici, tariffe dimezzate, vittorie strategiche. La Cina, dall’altra parte, non solo esce con un’economia più tutelata, ma soprattutto con un’immagine geopolitica rafforzata. E noi? Abbiamo commentato. Forse.

Alipay reinventa la voce: la nuova arma contro le truffe digitali è un microfono

Mentre tutti si concentrano sull’intelligenza artificiale generativa, Alipay, colosso dei pagamenti digitali in Cina, tira fuori dal cilindro una trovata tanto semplice quanto micidiale: una chiamata vocale. Sì, nel 2025, tornare a parlare è la nuova frontiera della sicurezza finanziaria. La funzione è già live dentro la chat dell’app: accanto alla condivisione della posizione o l’invio di foto, ora c’è anche l’opzione “chiamata vocale”, con l’etichetta “novità”, come se fosse un ritorno vintage.

La Cina non copia più: ora StepFun inventa l’intelligenza multimodale davvero StepFun

C’è un vecchio detto nei corridoi dei dipartimenti IT più cinici: “Se qualcosa funziona in Silicon Valley, in sei mesi lo trovi a Shenzhen… con un nome diverso, ma il doppio più veloce e a metà prezzo”. Ma questa volta, forse, siamo davanti a una mutazione più interessante. Non è l’ennesimo clone: è un laboratorio con le idee chiare, la benedizione di Tencent e un’aggressività che sa di rivoluzione. StepFun, startup cinese nata già grande (perché se hai Tencent alle spalle, non sei mai davvero “early stage”), sta giocando una partita diversa: quella dell’intelligenza artificiale multimodale.

Pharus Diagnostics Intelligenza predittiva e sangue freddo: la scommessa da miliardi sull’AI che diagnostica il cancro

Pharus Diagnostics è il tipo di startup che sembra uscita da un pitch deck da fantascienza: taiwanese, guidata da un CEO con i piedi ben piantati nel fundraising, benedetta dalla cassaforte di Li Ka-shing e dal radar d’oro dell’AI applicata alla medicina. Non sorprende che abbia scelto Hong Kong come hub per la prossima iniezione di capitali, puntando a chiudere un round entro la fine dell’anno con già metà dei fondi promessi in tasca e uno studio clinico sul cancro ai polmoni pronto a partire.

Nvidia teme il drago: Huang avverte il congresso, Huawei può dominare l’intelligenza artificiale

In un incontro a porte chiuse degno di un thriller geopolitico, Jensen Huang, CEO di Nvidia, ha messo in allerta il Congresso degli Stati Uniti. Non si tratta di un nuovo lancio di chip o di un’altra conferenza sul futuro del gaming: stavolta il tema è esplosivo. Huawei, la nemesi tecnologica numero uno secondo Washington, starebbe guadagnando terreno nell’intelligenza artificiale, e non solo dal punto di vista teorico. A preoccupare Nvidia è il crescente potere computazionale dei chip AI di Pechino, che rischiano di stravolgere gli equilibri del mercato globale dei semiconduttori.

Il teatro dell’evento è stata una riunione con il Comitato per gli Affari Esteri della Camera dei Rappresentanti USA. Non un evento pubblico, non uno di quei keynote patinati alla Silicon Valley: ma un confronto riservato, dove si è parlato di DeepSeek-R1 e scenari futuri che più che futuri sembrano già presenti. Il messaggio è chiaro: se i modelli AI open source venissero ottimizzati per l’hardware di Huawei, potremmo assistere a un’inversione di rotta epocale. In altre parole, l’ecosistema globale dell’AI potrebbe iniziare a orbitare attorno a chip cinesi, anziché americani.

Dietro la cortina del tecnicismo, si nasconde una guerra commerciale che è anche culturale, ideologica, sistemica. Le sanzioni imposte dagli Stati Uniti sui chip di Nvidia destinati alla Cina – pensate come un freno alla corsa tecnologica di Pechino – potrebbero avere l’effetto opposto: forzare Huawei ad accelerare il proprio sviluppo interno e creare una domanda globale per i propri prodotti. Lo scenario ipotizzato da Huang al Congresso ha il sapore della profezia autoavverante, in perfetto stile strategia del contenimento che alimenta ciò che tenta di sopprimere.

La minaccia non è più solo teorica. I chip AI di Huawei, come quelli impiegati per l’addestramento del modello DeepSeek-R1, stanno già ottenendo risultati preoccupanti (per gli americani) e promettenti (per chi vuole un’alternativa al monopolio di Nvidia). Il rischio reale, secondo quanto filtrato dalle fonti del Congresso, è che queste soluzioni cinesi vengano ottimizzate in modo aggressivo per funzionare meglio con software open-source, creando così uno standard de facto che emargina le tecnologie statunitensi dal mercato globale.

Alibaba sfida gli dei dell’AI: la Cina ora parla il linguaggio di Qwen3

Mentre l’Occidente dorme sugli allori di ChatGPT, Alibaba si sveglia di soprassalto e lancia la terza generazione del suo modello di intelligenza artificiale open source: Qwen3. Non si tratta di un semplice aggiornamento, ma di una vera e propria dichiarazione di guerra simbolica e tecnologica, fatta di miliardi di parametri, codice open source e una narrativa cinese sempre meno sottomessa al monopolio americano. L’annuncio, avvenuto a Hangzhou per bocca di Alibaba Cloud, sancisce non solo un balzo evolutivo nella corsa globale all’AI, ma anche l’ascesa incontestabile del modello cinese all’interno della comunità open source mondiale.

Otto modelli, da 600 milioni a 235 miliardi di parametri, distribuiti con la stessa disinvoltura con cui si carica un’app su GitHub o Hugging Face, dimostrano che l’era in cui solo gli Stati Uniti detenevano la leadership del pensiero computazionale sta volgendo al termine. Il Qwen3-235B, la punta di diamante della famiglia, ha superato i mini modelli di OpenAI come o3-mini e o1, e anche l’R1 di DeepSeek, in ambiti dove solitamente si celebrava solo l’inglese algoritmico: comprensione linguistica, conoscenza specialistica, matematica e programmazione. E lo ha fatto da open source. Ironico.

Cina ai tempi del robot patriota: Xi Jinping tra umorismo calcistico e guerra tecnologica

La scena è quasi surreale: Xi Jinping, leader di un impero tecnologico sotto assedio, osserva un robot a due braccia che raccoglie immondizia da una scrivania, mentre un altro, su due gambe, pedala come un bambino precoce. La cornice è quella di Shanghai, nell’epicentro dell’innovazione cinese in AI e robotica, ma il sottofondo è quello di una guerra fredda digitale che si è appena fatta più rovente con l’ennesima bordata di dazi americani. Il messaggio, nemmeno troppo velato, è: “Ce la faremo da soli”. Tradotto in linguaggio da CEO: decoupling is real, and it’s personal.

Xi, con il solito sorriso da nonno benevolo ma onnipotente, visita lo SMC Shanghai Foundation Model Innovation Centre, il centro nevralgico dove la Cina sta incubando il suo futuro digitale senza l’ausilio occidentale. Qui, la nuova leva di imprenditori tech gli offre uno spettacolo costruito per l’occasione, ma impregnato di strategia geopolitica: robot umanoidi, occhiali intelligenti, modelli multimodali e chip interamente domestici. Tutto è autoctono, ogni bit è patriottico. E mentre Xi osserva e loda, il messaggio filtrato tra le righe è una chiamata alle armi: la tecnologia sarà sovrana, o non sarà.

Nvidia smentisce ma flirta con Pechino: il teatro dell’assurdo tra GPU, guerra commerciale e diplomazia di silicio

Mentre la Silicon Valley si esercita nel dribbling geopolitico, Nvidia si ritrova nel bel mezzo di un palcoscenico dove il copione è scritto tra le righe delle sanzioni americane e le ambizioni tecnologiche cinesi. Digitimes, testata taiwanese molto addentro agli ambienti dei fornitori hardware asiatici, ha acceso la miccia sostenendo che Jensen Huang starebbe preparando una joint venture sul suolo cinese per proteggere la gallina dalle uova d’oro: la piattaforma CUDA e il florido business da 17,1 miliardi di dollari maturato in Cina solo lo scorso anno.

Peccato che Nvidia abbia risposto con fuoco e fiamme, negando ogni cosa in maniera categorica. “Non c’è alcuna base per queste affermazioni”, ha dichiarato un portavoce all’indomani della pubblicazione del rumor, accusando i media di irresponsabilità per aver spacciato supposizioni come fatti.

Anatomia dei primi 100 giorni di Trump: Groenlandia, dazi e autoritarismo

Nel suo ritorno alla Casa Bianca, Donald Trump ha rilanciato l’idea di un nuovo “Liberation Day”, una giornata simbolica per affrancare aziende e consumatori americani da quelli che definisce “trattamenti ingiusti” dei partner commerciali. Dietro la retorica nazionalista, però, si cela una strategia politica ed economica che rischia di riscrivere gli equilibri mondiali. Con una politica economica fondata su dazi aggressivi e una politica estera che strizza l’occhio all’espansionismo — dalle pretese sulla Groenlandia al controllo del Canale di Panama — Trump apre la strada a una nuova stagione di autoritarismo. Una stagione che potrebbe ispirare leader come Vladimir Putin in Ucraina, Xi Jinping su Taiwan e Benjamin Netanyahu in Medio Oriente, alimentando una destabilizzazione globale senza precedenti.

White Paper. Il nuovo disordine globale: Trump, la Cina e l’Intelligenza Artificiale alla conquista del futuro

Cento giorni fa, Donald Trump è tornato alla Casa Bianca con l’imponenza di un elefante in una cristalleria, pronto a ribaltare l’ordine mondiale che lui stesso aveva contribuito a plasmare. Con la promessa di un “Liberation Day”, ha dichiarato guerra ai suoi “cattivi partner commerciali” e ha sognato di annettersi territori che nemmeno il più sfrenato imperialismo avrebbe mai osato immaginare. Mentre Trump gioca a Risiko, il mondo risponde con una combinazione letale di panico, dazi e – ovviamente – intelligenza artificiale.

Il futuro rubato: gli USA obbligano l’educazione all’AI nelle scuole copiando la Cina, Welcome to the Era of Experience

È sempre divertente quando la realtà supera il teatro. A quanto pare, solo sei giorni dopo che la Cina ha annunciato l’introduzione obbligatoria dell’educazione all’intelligenza artificiale a partire dai sei anni, gli Stati Uniti hanno deciso di non restare indietro. Ieri, con una mossa che puzza di disperazione mascherata da lungimiranza, l’ex presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che impone l’insegnamento obbligatorio dell’AI in tutte le scuole primarie e secondarie.

Bytedance prova a piantare bandiera in Brasile tra pale eoliche e cavi sottomarini

ByteDance, la famigerata casa madre di TikTok, sembra aver trovato il suo nuovo Eldorado a sud dell’equatore. Secondo quanto rivelato da tre fonti confidenziali a Reuters, il colosso cinese sta seriamente valutando un investimento colossale in un data center da 300 megawatt nel porto di Pecem, nello stato brasiliano del Ceara, sfruttando l’abbondante energia eolica che soffia costante sulla costa nord-orientale del paese. Per intenderci, parliamo di un progetto che potrebbe arrivare a un assorbimento di energia di quasi un gigawatt se il piano dovesse proseguire oltre la prima fase. Per fare un paragone, è come alimentare più o meno 750.000 case contemporaneamente, senza contare la sete insaziabile dei server affamati di dati.

Nel pieno stile “meglio abbondare”, ByteDance non si muove da sola: sarebbe in trattative con Casa dos Ventos, uno dei principali produttori di energia rinnovabile del Brasile, per sviluppare il mega impianto. La scelta di Pecem, va detto, non è casuale. Il porto vanta una posizione strategica con la presenza di stazioni di atterraggio di cavi sottomarini, quelli che trasportano i dati attraverso gli oceani a velocità indecenti. Oltre ai cavi, c’è una concentrazione significativa di impianti di energia pulita. Insomma, tutto perfetto, se non fosse che il gestore nazionale della rete elettrica brasiliana, ONS, ha inizialmente negato la connessione alla rete per il progetto, temendo che simili colossi energivori potessero far saltare il sistema come un vecchio fusibile in una casa anni ‘50.

Pechino scatena l’intelligenza artificiale: la nuova corsa all’oro hi-tech tra ambizioni, chip e propaganda

Se qualcuno ancora si illudeva che la Cina avesse intenzione di restare a guardare mentre l’Occidente gioca a fare gli apprendisti stregoni dell’intelligenza artificiale, è ora di svegliarsi dal torpore. Xi Jinping, con la solennità tipica di chi ha in mano non solo il telecomando, ma anche la sceneggiatura dell’intero show, ha dichiarato senza giri di parole: la Cina mobiliterà tutte le sue risorse per dominare l’AI, scardinare ogni colletto tecnologico imposto dagli Stati Uniti, e guidare la prossima rivoluzione industriale mondiale.

Huawei e iFlytek riscrivono l’IA cinese con chip domestici, sfidando OpenAI e aggirando l’embargo Usa

Nel cuore della tempesta geopolitica tra Stati Uniti e Cina, una nuova narrativa tecnologica si sta scrivendo con toni orgogliosi e una spruzzata di vendetta industriale. iFlytek, colosso cinese del riconoscimento vocale, ha annunciato che i suoi modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) ora poggiano interamente su infrastruttura computazionale cinese, grazie alla collaborazione con Huawei. Un’alleanza non solo tecnologica, ma politica, che mira a scrollarsi di dosso la dipendenza da chip americani come quelli della Nvidia, sempre più difficili da importare a causa delle restrizioni di Washington.

Dietro le quinte di questa rivoluzione sovranista dell’intelligenza artificiale c’è Xinghuo X1, un modello di ragionamento definito “autosufficiente e controllabile”. Parole scelte con cura chirurgica per rassicurare Pechino e tutti quei settori industriali strategici che vedono in questa svolta l’unica via per non rimanere ostaggio dell’Occidente tecnologico. La narrazione ufficiale vuole che, dopo un’intensa co-ingegnerizzazione con Huawei, Xinghuo X1 sia ora in grado di competere con giganti come OpenAI o1 e DeepSeek R1, secondo un post trionfalistico pubblicato su WeChat da iFlytek.

Huawei Ascend 920 prepariamoci a un progetto Opphenaimer cinese

uawei si prepara a diventare l’arma strategica di Pechino nella guerra dei semiconduttori contro l’Occidente. A quanto pare, non è solo il creatore di smartphone “proibiti” o l’eterno bersaglio delle black list statunitensi. No, stavolta la compagnia di Shenzhen alza il tiro e si candida a rimpiazzare Nvidia nel suo stesso dominio: l’intelligenza artificiale. Sì, hai capito bene, si parla di GPU AI-ready. E no, non è un’esercitazione.

Secondo Digitimes, Huawei lancerà entro fine anno il chip Ascend 920, costruito su processo a 6 nanometri, pronto per la produzione di massa nella seconda metà del 2025. Questo chip, che promette prestazioni da brividi, punta dritto al cuore delle GPU H20 di Nvidia, le ultime sopravvissute sul mercato cinese dopo l’embargo tecnologico imposto da Washington. Ma ora anche quelle sono finite nel mirino delle restrizioni USA, rendendo il ban totale.

Anche le big tech cinesi scommettono sugli agenti AI connessi MCP: la nuova USB-C dell’intelligenza artificiale

Le grandi aziende tecnologiche cinesi stanno facendo a gara per colonizzare il nuovo Eldorado dell’intelligenza artificiale: il Model Context Protocol (MCP), lo standard aperto che promette di trasformare gli agenti AI da semplici chiacchieroni in sistemi autonomi connessi, operativi e capaci di interagire con il mondo reale, come se avessero finalmente trovato la loro porta USB-C per agganciarsi alla realtà. Il paragone non è casuale, visto che è proprio Ant Group a usare questa metafora per spiegare MCP.

In pratica, MCP consente agli agenti intelligenti – come il sempre più citato Manus sviluppato da Butterfly Effect – di collegarsi a servizi esterni, fonti dati e strumenti terzi. E non solo per recuperarne passivamente i contenuti, ma per agire in modo autonomo, creare flussi operativi, rispondere ai comandi naturali dell’utente, completare task e ricalibrarsi con feedback continui. Se fino a ieri l’AI generativa era un pappagallo di lusso, oggi comincia ad assomigliare a un assistente reale. Forse troppo.

La maratona dei robot umanoidi in Cina: un’opportunità per guardare ai limiti della tecnologia

La maratona dei robot umanoidi, tenutasi a Pechino il 19 aprile 2025, ha messo in evidenza tanto l’innovazione quanto le sfide ancora da superare nella robotica cinese. Questo evento ha rappresentato il primo tentativo di un “mezzomarathon” con robot in competizione al fianco degli esseri umani, ma, come spesso accade con le tecnologie emergenti, non è stato privo di difficoltà. Dei 21 partecipanti robotici, solo sei sono riusciti a completare la corsa, e solo uno ha concluso sotto il tempo minimo di qualificazione stabilito dalla Chinese Athletic Association.

La maratona, lunga 21 km e tenutasi nel distretto di Yizhuang, ha visto una scena che ha evocato il primissimo Gran Premio automobilistico del 1894 a Parigi, quando le automobili erano ancora un sogno rispetto ai carri trainati dai cavalli. Il parallelo con le prime gare automobilistiche è inevitabile, poiché anche in questo caso il futuro della mobilità era ancora in fase di definizione, nonostante la visione ambiziosa di chi, come la Cina, vuole essere all’avanguardia nel campo della robotica umanoide. La partecipazione di robot alla gara è stata vista come una vetrina della crescente potenza della Cina in questo settore, che compete direttamente con colossi come Boston Dynamics e Tesla, che sta sviluppando il robot umanoide Optimus.

La Cina insegna l’AI ai bambini di sei anni: rivoluzione educativa o distopia travestita da progresso?

Col termine “Zhuazhou” (抓周)si indica una cerimonia tradizionale cinese che si tiene il giorno del primo compleanno per celebrare la crescita dei bimbi e augurargli tanta prosperità. Da quest’autunno al compimento del 6 anno, i bambini di Pechino inizieranno il loro percorso scolastico con qualcosa di più del solito abbecedario: l’intelligenza artificiale. E no, non si tratta di semplici giochini educativi per stimolare la mente, ma di un curriculum vero e proprio che comprende l’uso di chatbot, le basi dell’etica dell’AI, e l’impatto sociale delle tecnologie emergenti. In pratica, mentre in Europa ci si scanna ancora sul divieto dei cellulari in classe, la Cina sta insegnando a bambini delle elementari come interagire consapevolmente con ChatGPT.

Alibaba Damo Panda vuole diagnosticarti il cancro prima ancora che tu stia male

La notizia ha un suono familiare, ma stavolta c’è una sfumatura inedita: la Food and Drug Administration americana ha appena concesso la designazione di “breakthrough device” al modello AI per la diagnosi del cancro sviluppato da Alibaba, noto come Damo Panda. E no, non è uno scherzo: un colosso tecnologico cinese, spesso sotto tiro per questioni geopolitiche e cybersicurezza, ottiene un timbro di eccellenza da parte dell’ente regolatore sanitario più influente al mondo. Questo, più che un’apertura, sa tanto di resa strategica: l’intelligenza artificiale, ormai, parla mandarino anche nel cuore del biomedicale USA.

Damo Panda è un modello deep learning pensato per scovare il cancro al pancreas nelle sue fasi iniziali, quelle che i radiologi umani spesso si perdono, soprattutto se il paziente non ha ancora sintomi. Lo fa elaborando immagini da TAC addominali non contrastografiche, una sfida clinica e computazionale niente male. Allenato su una base dati di oltre tremila pazienti oncologici, Panda ha dimostrato di battere i radiologi in sensibilità diagnostica del 34,1%. E non stiamo parlando di un benchmark simulato: in Cina ha già operato su 40.000 casi reali presso l’ospedale di Ningbo, individuando sei tumori pancreatici in fase precoce, di cui due erano sfuggiti completamente alle analisi umane. Un colpo basso alla medicina difensiva e ai cultori della seconda opinione.

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