Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Nvidia smentisce ma flirta con Pechino: il teatro dell’assurdo tra GPU, guerra commerciale e diplomazia di silicio

Mentre la Silicon Valley si esercita nel dribbling geopolitico, Nvidia si ritrova nel bel mezzo di un palcoscenico dove il copione è scritto tra le righe delle sanzioni americane e le ambizioni tecnologiche cinesi. Digitimes, testata taiwanese molto addentro agli ambienti dei fornitori hardware asiatici, ha acceso la miccia sostenendo che Jensen Huang starebbe preparando una joint venture sul suolo cinese per proteggere la gallina dalle uova d’oro: la piattaforma CUDA e il florido business da 17,1 miliardi di dollari maturato in Cina solo lo scorso anno.

Peccato che Nvidia abbia risposto con fuoco e fiamme, negando ogni cosa in maniera categorica. “Non c’è alcuna base per queste affermazioni”, ha dichiarato un portavoce all’indomani della pubblicazione del rumor, accusando i media di irresponsabilità per aver spacciato supposizioni come fatti.

Anatomia dei primi 100 giorni di Trump: Groenlandia, dazi e autoritarismo

Nel suo ritorno alla Casa Bianca, Donald Trump ha rilanciato l’idea di un nuovo “Liberation Day”, una giornata simbolica per affrancare aziende e consumatori americani da quelli che definisce “trattamenti ingiusti” dei partner commerciali. Dietro la retorica nazionalista, però, si cela una strategia politica ed economica che rischia di riscrivere gli equilibri mondiali. Con una politica economica fondata su dazi aggressivi e una politica estera che strizza l’occhio all’espansionismo — dalle pretese sulla Groenlandia al controllo del Canale di Panama — Trump apre la strada a una nuova stagione di autoritarismo. Una stagione che potrebbe ispirare leader come Vladimir Putin in Ucraina, Xi Jinping su Taiwan e Benjamin Netanyahu in Medio Oriente, alimentando una destabilizzazione globale senza precedenti.

White Paper. Il nuovo disordine globale: Trump, la Cina e l’Intelligenza Artificiale alla conquista del futuro

Cento giorni fa, Donald Trump è tornato alla Casa Bianca con l’imponenza di un elefante in una cristalleria, pronto a ribaltare l’ordine mondiale che lui stesso aveva contribuito a plasmare. Con la promessa di un “Liberation Day”, ha dichiarato guerra ai suoi “cattivi partner commerciali” e ha sognato di annettersi territori che nemmeno il più sfrenato imperialismo avrebbe mai osato immaginare. Mentre Trump gioca a Risiko, il mondo risponde con una combinazione letale di panico, dazi e – ovviamente – intelligenza artificiale.

Bytedance prova a piantare bandiera in Brasile tra pale eoliche e cavi sottomarini

ByteDance, la famigerata casa madre di TikTok, sembra aver trovato il suo nuovo Eldorado a sud dell’equatore. Secondo quanto rivelato da tre fonti confidenziali a Reuters, il colosso cinese sta seriamente valutando un investimento colossale in un data center da 300 megawatt nel porto di Pecem, nello stato brasiliano del Ceara, sfruttando l’abbondante energia eolica che soffia costante sulla costa nord-orientale del paese. Per intenderci, parliamo di un progetto che potrebbe arrivare a un assorbimento di energia di quasi un gigawatt se il piano dovesse proseguire oltre la prima fase. Per fare un paragone, è come alimentare più o meno 750.000 case contemporaneamente, senza contare la sete insaziabile dei server affamati di dati.

Nel pieno stile “meglio abbondare”, ByteDance non si muove da sola: sarebbe in trattative con Casa dos Ventos, uno dei principali produttori di energia rinnovabile del Brasile, per sviluppare il mega impianto. La scelta di Pecem, va detto, non è casuale. Il porto vanta una posizione strategica con la presenza di stazioni di atterraggio di cavi sottomarini, quelli che trasportano i dati attraverso gli oceani a velocità indecenti. Oltre ai cavi, c’è una concentrazione significativa di impianti di energia pulita. Insomma, tutto perfetto, se non fosse che il gestore nazionale della rete elettrica brasiliana, ONS, ha inizialmente negato la connessione alla rete per il progetto, temendo che simili colossi energivori potessero far saltare il sistema come un vecchio fusibile in una casa anni ‘50.

Pechino scatena l’intelligenza artificiale: la nuova corsa all’oro hi-tech tra ambizioni, chip e propaganda

Se qualcuno ancora si illudeva che la Cina avesse intenzione di restare a guardare mentre l’Occidente gioca a fare gli apprendisti stregoni dell’intelligenza artificiale, è ora di svegliarsi dal torpore. Xi Jinping, con la solennità tipica di chi ha in mano non solo il telecomando, ma anche la sceneggiatura dell’intero show, ha dichiarato senza giri di parole: la Cina mobiliterà tutte le sue risorse per dominare l’AI, scardinare ogni colletto tecnologico imposto dagli Stati Uniti, e guidare la prossima rivoluzione industriale mondiale.

Huawei e iFlytek riscrivono l’IA cinese con chip domestici, sfidando OpenAI e aggirando l’embargo Usa

Nel cuore della tempesta geopolitica tra Stati Uniti e Cina, una nuova narrativa tecnologica si sta scrivendo con toni orgogliosi e una spruzzata di vendetta industriale. iFlytek, colosso cinese del riconoscimento vocale, ha annunciato che i suoi modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) ora poggiano interamente su infrastruttura computazionale cinese, grazie alla collaborazione con Huawei. Un’alleanza non solo tecnologica, ma politica, che mira a scrollarsi di dosso la dipendenza da chip americani come quelli della Nvidia, sempre più difficili da importare a causa delle restrizioni di Washington.

Dietro le quinte di questa rivoluzione sovranista dell’intelligenza artificiale c’è Xinghuo X1, un modello di ragionamento definito “autosufficiente e controllabile”. Parole scelte con cura chirurgica per rassicurare Pechino e tutti quei settori industriali strategici che vedono in questa svolta l’unica via per non rimanere ostaggio dell’Occidente tecnologico. La narrazione ufficiale vuole che, dopo un’intensa co-ingegnerizzazione con Huawei, Xinghuo X1 sia ora in grado di competere con giganti come OpenAI o1 e DeepSeek R1, secondo un post trionfalistico pubblicato su WeChat da iFlytek.

Huawei Ascend 920 prepariamoci a un progetto Opphenaimer cinese

uawei si prepara a diventare l’arma strategica di Pechino nella guerra dei semiconduttori contro l’Occidente. A quanto pare, non è solo il creatore di smartphone “proibiti” o l’eterno bersaglio delle black list statunitensi. No, stavolta la compagnia di Shenzhen alza il tiro e si candida a rimpiazzare Nvidia nel suo stesso dominio: l’intelligenza artificiale. Sì, hai capito bene, si parla di GPU AI-ready. E no, non è un’esercitazione.

Secondo Digitimes, Huawei lancerà entro fine anno il chip Ascend 920, costruito su processo a 6 nanometri, pronto per la produzione di massa nella seconda metà del 2025. Questo chip, che promette prestazioni da brividi, punta dritto al cuore delle GPU H20 di Nvidia, le ultime sopravvissute sul mercato cinese dopo l’embargo tecnologico imposto da Washington. Ma ora anche quelle sono finite nel mirino delle restrizioni USA, rendendo il ban totale.

Anche le big tech cinesi scommettono sugli agenti AI connessi MCP: la nuova USB-C dell’intelligenza artificiale

Le grandi aziende tecnologiche cinesi stanno facendo a gara per colonizzare il nuovo Eldorado dell’intelligenza artificiale: il Model Context Protocol (MCP), lo standard aperto che promette di trasformare gli agenti AI da semplici chiacchieroni in sistemi autonomi connessi, operativi e capaci di interagire con il mondo reale, come se avessero finalmente trovato la loro porta USB-C per agganciarsi alla realtà. Il paragone non è casuale, visto che è proprio Ant Group a usare questa metafora per spiegare MCP.

In pratica, MCP consente agli agenti intelligenti – come il sempre più citato Manus sviluppato da Butterfly Effect – di collegarsi a servizi esterni, fonti dati e strumenti terzi. E non solo per recuperarne passivamente i contenuti, ma per agire in modo autonomo, creare flussi operativi, rispondere ai comandi naturali dell’utente, completare task e ricalibrarsi con feedback continui. Se fino a ieri l’AI generativa era un pappagallo di lusso, oggi comincia ad assomigliare a un assistente reale. Forse troppo.

La maratona dei robot umanoidi in Cina: un’opportunità per guardare ai limiti della tecnologia

La maratona dei robot umanoidi, tenutasi a Pechino il 19 aprile 2025, ha messo in evidenza tanto l’innovazione quanto le sfide ancora da superare nella robotica cinese. Questo evento ha rappresentato il primo tentativo di un “mezzomarathon” con robot in competizione al fianco degli esseri umani, ma, come spesso accade con le tecnologie emergenti, non è stato privo di difficoltà. Dei 21 partecipanti robotici, solo sei sono riusciti a completare la corsa, e solo uno ha concluso sotto il tempo minimo di qualificazione stabilito dalla Chinese Athletic Association.

La maratona, lunga 21 km e tenutasi nel distretto di Yizhuang, ha visto una scena che ha evocato il primissimo Gran Premio automobilistico del 1894 a Parigi, quando le automobili erano ancora un sogno rispetto ai carri trainati dai cavalli. Il parallelo con le prime gare automobilistiche è inevitabile, poiché anche in questo caso il futuro della mobilità era ancora in fase di definizione, nonostante la visione ambiziosa di chi, come la Cina, vuole essere all’avanguardia nel campo della robotica umanoide. La partecipazione di robot alla gara è stata vista come una vetrina della crescente potenza della Cina in questo settore, che compete direttamente con colossi come Boston Dynamics e Tesla, che sta sviluppando il robot umanoide Optimus.

La Cina insegna l’AI ai bambini di sei anni: rivoluzione educativa o distopia travestita da progresso?

Col termine “Zhuazhou” (抓周)si indica una cerimonia tradizionale cinese che si tiene il giorno del primo compleanno per celebrare la crescita dei bimbi e augurargli tanta prosperità. Da quest’autunno al compimento del 6 anno, i bambini di Pechino inizieranno il loro percorso scolastico con qualcosa di più del solito abbecedario: l’intelligenza artificiale. E no, non si tratta di semplici giochini educativi per stimolare la mente, ma di un curriculum vero e proprio che comprende l’uso di chatbot, le basi dell’etica dell’AI, e l’impatto sociale delle tecnologie emergenti. In pratica, mentre in Europa ci si scanna ancora sul divieto dei cellulari in classe, la Cina sta insegnando a bambini delle elementari come interagire consapevolmente con ChatGPT.

Alibaba Damo Panda vuole diagnosticarti il cancro prima ancora che tu stia male

La notizia ha un suono familiare, ma stavolta c’è una sfumatura inedita: la Food and Drug Administration americana ha appena concesso la designazione di “breakthrough device” al modello AI per la diagnosi del cancro sviluppato da Alibaba, noto come Damo Panda. E no, non è uno scherzo: un colosso tecnologico cinese, spesso sotto tiro per questioni geopolitiche e cybersicurezza, ottiene un timbro di eccellenza da parte dell’ente regolatore sanitario più influente al mondo. Questo, più che un’apertura, sa tanto di resa strategica: l’intelligenza artificiale, ormai, parla mandarino anche nel cuore del biomedicale USA.

Damo Panda è un modello deep learning pensato per scovare il cancro al pancreas nelle sue fasi iniziali, quelle che i radiologi umani spesso si perdono, soprattutto se il paziente non ha ancora sintomi. Lo fa elaborando immagini da TAC addominali non contrastografiche, una sfida clinica e computazionale niente male. Allenato su una base dati di oltre tremila pazienti oncologici, Panda ha dimostrato di battere i radiologi in sensibilità diagnostica del 34,1%. E non stiamo parlando di un benchmark simulato: in Cina ha già operato su 40.000 casi reali presso l’ospedale di Ningbo, individuando sei tumori pancreatici in fase precoce, di cui due erano sfuggiti completamente alle analisi umane. Un colpo basso alla medicina difensiva e ai cultori della seconda opinione.

Robot da maratona e sovranità tech: la Cina accelera verso un’era Android per umanoidi

Se mai avevate bisogno di una prova che il futuro non arriverà su ruote, ma su due gambe artificiali, la mezza maratona di Pechino dedicata ai robot umanoidi dovrebbe bastare. Il Tien Kung Ultra, un androide alto 180 cm e pesante 55 kg, ha completato i 21 km in circa 2 ore e 40 minuti, conquistando non solo il primo posto nella corsa, ma anche l’attenzione del mondo. Dietro questa impresa si muove un’ambizione più grande di una semplice vittoria sportiva: diventare l’Android degli umanoidi, l’ossatura software open source sulla quale far camminare e correre la futura intelligenza artificiale incarnata.

Goldman Sachs Private Tech Tour 2025: Asia guida la rivoluzione tech del 2030

Mentre l’Occidente si distrae con il teatrino della politica interna e i mercati annaspano tra trimestrali tiepide e annunci fumosi sull’IA, Goldman Sachs decide di mandare in trasferta i suoi analisti più svegli per vedere con i propri occhi cosa sta bollendo nella pentola asiatica. Il risultato? Un vero schiaffo morale a Silicon Valley e Washington D.C.: la Cina è avanti. Di brutto. E non solo in un settore, ma in un ecosistema industriale che copre tutto, dai chip fotonici agli eVTOL, passando per robotaxi, server AI, e smartphone dal design impietosamente competitivo.

Il Private Tech Tour 2025 di Goldman è una sorta di via crucis high-tech da Shanghai a Shenzhen, con tappa a Guangzhou, durante il quale i cervelloni della banca d’investimento incontrano 19 aziende selezionate in otto settori critici. Ma la vera notizia non è l’elenco – peraltro interessante – delle società visitate. La notizia è che Goldman torna con un messaggio chiaro: l’Asia, e in particolare la Cina, non sta più inseguendo. Sta guidando. E non ha intenzione di aspettare che l’Occidente si svegli.

Nvidia gioca a scacchi a Pechino mentre gli Stati Uniti impongono nuove regole

Jensen Huang non è un CEO qualsiasi. È un fondatore con il carisma di un rockstar e la strategia di un generale in guerra. La sua visita a sorpresa a Pechino non è solo un gesto diplomatico: è una mossa tattica in una partita a scacchi globale dove la tecnologia è il nuovo petrolio. Un giorno prima, gli Stati Uniti avevano imposto nuove restrizioni sull’esportazione dei chip H20 di Nvidia verso la Cina, con una perdita stimata di 5,5 miliardi di dollari. Il giorno dopo, Huang era già a cena con i cinesi, come se nulla fosse. O meglio, come se tutto fosse in gioco.

La visita, orchestrata con la discrezione che si riserva agli incontri tra rivali con interessi comuni, è avvenuta su invito della China Council for the Promotion of International Trade, un organo statale che ormai gioca il ruolo di ambasciatore ombra tra Pechino e le grandi corporate americane. Huang si è incontrato con il presidente Ren Hongbin, promettendo che Nvidia “non risparmierà sforzi” per ottimizzare i suoi prodotti secondo i vincoli normativi, e che “servirà in modo incrollabile” il mercato cinese. Tradotto dal linguaggio diplomatico: Nvidia farà tutto il necessario per non perdere la Cina, anche a costo di disegnare chip su misura per un Paese sotto embargo.

Mentre in Europa si discute di regole, in Cina si scala. Ant Group crea 100 medici AI su Alipay: benvenuti nella sanità del capitalismo algoritmico cinese

Mentre l’Occidente ancora dibatte sulla privacy dei dati sanitari e sull’etica dell’intelligenza artificiale applicata alla medicina, Ant Group la fintech figlia prediletta del colosso Alibaba ha già messo online cento dottori virtuali. O meglio: cento agenti AI, addestrati direttamente dai team di celebri medici cinesi e pronti a rispondere 24 ore su 24 tramite l’app Alipay. Non si tratta di chatbot generici: ognuno di questi agenti è modellato su un luminare in carne ed ossa, e promette “consigli autorevoli e credibili” con il tocco freddo ma immediato del silicio.

Sì, la sanità in Cina sta diventando un prodotto plug-and-play, un servizio embedded nell’ecosistema digitale di una super app. Il cittadino non deve più neppure uscire da Alipay originariamente un’app di pagamento per ottenere diagnosi, consulenze, analisi di referti caricati via smartphone e perfino prenotazioni per visite in presenza. Il cerchio è chiuso, l’utente è fidelizzato, il medico è virtuale.

Xpeng scavalca Nvidia: la Cina mette il turbo ai chip per auto autonome

Il profumo di autonomia non è più solo una questione di chilometri: ora è una guerra di cervelli in silicio. E mentre Nvidia gioca ancora a fare il monopolista nel campionato occidentale dell’AI automobilistica, Xpeng – il costruttore di EV cinese che un tempo sembrava l’ennesimo clone con touchscreen – ha deciso di farsi il cervello in casa. E non un cervello qualsiasi, ma un chip chiamato Turing, che secondo il fondatore e CEO He Xiaopeng, batte l’onnipresente Drive Orin X di Nvidia di tre volte in potenza computazionale. Tre. Volte.

Il messaggio è chiaro: o si innova, o si muore. E in Cina, dove l’EV è religione di Stato e la guida autonoma è diventata il nuovo campo di battaglia per il predominio tecnologico, la sopravvivenza passa dalla verticalizzazione assoluta. La Turing chip non è solo una dimostrazione di forza, è un atto politico, un gesto di indipendenza strategica in un’epoca dove i semiconduttori sono le nuove armi nucleari del XXI secolo.

Dietro il sorriso dell’intelligenza artificiale cinese: genio, gloria e morti premature

La corsa globale all’intelligenza artificiale è un tritacarne. Gli Stati Uniti e la Cina sono impegnati in una guerra tecnologica dove il dominio sull’AI non è solo una questione di supremazia economica, ma un braccio di ferro geopolitico. Mentre le startup americane cavalcano la bolla della generative AI a colpi di venture capital e stock option, la Cina gioca la sua partita con ferocia quasi darwiniana: cervelli reclutati, rimpatriati, spremuti. E talvolta, prematuramente sepolti.

Negli ultimi anni, l’industria dell’AI in Cina ha perso alcune delle sue menti più brillanti, stroncate da malattie improvvise, stress, missioni militari o sfortune ad alta quota. Le storie sembrano uscite da un episodio di Black Mirror girato a Pechino: giovani talenti, progetti ambiziosi, pressioni etiche e ambienti di ricerca tossici che non concedono tregua.

Sensetime rilancia la sfida dell’AI cinese con petaflops, chip patriottici e asset leggeri

SenseTime, la startup che da tempo ha smesso di comportarsi come tale, sta per far saltare il banco dell’intelligenza artificiale con una mossa tanto prevedibile quanto spregiudicata: moltiplicare a tre cifre la sua capacità di calcolo entro i prossimi due anni, spingendo sul pedale dei chip domestici in piena guerra tecnologica con gli Stati Uniti.

Yang Fan, co-fondatore di SenseTime e gran manovratore della divisione SenseCore, ha messo le carte sul tavolo. La capacità computazionale crescerà tra l’“alto doppia cifra” e il “tripla cifra” su base annua nei prossimi 24 mesi. Tradotto in numeri, nel 2024 si parla di un +92% rispetto all’anno precedente, con un totale che ha sfondato i 23.000 petaflops. Ma dietro ai numeri c’è molto di più: un progetto strategico per svincolarsi dalla dipendenza da chip statunitensi e una corsa dichiarata al profitto per il 2026. Il tutto, con una certa voglia di provocazione tecnologica made in China.

Pechino suona la carica, Li Qiang a Ursula von der Leyen : “abbiamo gli strumenti per resistere alla guerra commerciale di Trump”

Nel teatro sempre più grottesco dell’economia globale, dove le regole del gioco sembrano essere scritte con l’inchiostro simpatico dell’interesse nazionale americano, la Cina ha deciso di mostrare i muscoli ma con il guanto bianco della diplomazia. Li Qiang, Premier della Repubblica Popolare, ha alzato la cornetta e parlato con Ursula von der Leyen per recitare un copione che sa di calma glaciale e determinazione sistemica: “abbiamo abbastanza strumenti politici in riserva” e “siamo pienamente in grado di contrastare gli shock esterni”.

Tradotto dal mandarino: Trump può pure giocare a Risiko con i dazi, noi giochiamo a Go con decenni di pianificazione centralizzata. Il messaggio è chiaro, e non è solo per l’Europa: Pechino non ha intenzione di piegarsi alla nuova ondata protezionistica partorita dalla Casa Bianca. Anzi, rilancia con il solito mantra del “difendere l’equità internazionale” un concetto che fa sorridere se pronunciato da un Paese che tiene in piedi il più sofisticato sistema di capitalismo di Stato mai concepito.

Sensetime sfida OpenAI: il colosso cinese lancia un modello AI che “ragiona meglio” SenseNova V6 e V6 Reasoner

In un mercato sempre più saturo di fuffa e slide patinate, dove tutti si dichiarano pionieri dell’intelligenza artificiale, SenseTime ha deciso di alzare la voce e i numeri. L’azienda cinese ha lanciato due nuove versioni della sua suite AI, SenseNova V6 e V6 Reasoner, con una dichiarazione che ha il sapore del guanto di sfida: siamo meglio di OpenAI, punto.

Mentre in Occidente ci si perde tra conferenze stampa dal retrogusto evangelico e annunci scritti come se fossero la quarta sinossi di un film Marvel, in Cina si lavora. E i risultati, per quanto tutti da verificare sul campo, iniziano a diventare ingombranti. SenseTime afferma che il nuovo modello V6, equipaggiato con 600 miliardi di parametri una cifra che fa impallidire anche GPT-4o – ha surclassato il rivale americano in discipline fondamentali per l’AI del presente e del futuro: fact-checking, ragionamento numerico, analisi e visualizzazione dei dati. Tutte aree dove la precisione conta, e il marketing si ferma alla porta.

Xu Li, CEO e chairman del gruppo, ha snocciolato i risultati facendo riferimento a TableBench, una piattaforma indipendente che si propone come metro di paragone neutrale nel Far West dell’AI. Secondo questi benchmark, il V6 Reasoner non solo ha “ragionato meglio”, ma ha anche consumato meno risorse, offrendo il miglior costo-performance del settore. Una frecciatina nemmeno tanto velata a chi in Occidente punta su modelli da miliardi di dollari ma ancora allergici alla logica più spicciola.

La Cina punta su intelligenza artificiale e combattimento spaziale per vincere le guerre future

Nel panorama sempre più complesso della tecnologia militare, la Cina sta dando una chiara direzione alle sue forze armate, con un focus particolare sulle capacità avanzate come la guerra navale basata sull’intelligenza artificiale (AI) e le operazioni spaziali. Queste aree emergenti sono al centro di una serie di articoli pubblicati dal Study Times, il giornale che fa capo alla Scuola Centrale del Partito Comunista Cinese, dove i ricercatori dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) delineano le priorità strategiche del paese per i prossimi decenni. In particolare, la tecnologia AI è vista come il “fattore decisivo” per cambiare le regole della guerra futura, diventando la chiave per dominare i campi di battaglia di domani.

La mossa di Xi Jinping, presidente della Repubblica Popolare Cinese, di enfatizzare l’importanza di “innovazioni audaci” e di una “nuova potenza di combattimento di qualità” risponde alla sua visione di una Cina sempre più potente e tecnologicamente avanzata sul piano militare. Durante una riunione del mese scorso, Xi ha sottolineato la necessità per la PLA di esplorare e sviluppare nuovi tipi di forze di combattimento, liberando il potenziale delle tecnologie emergenti per fronteggiare la “lotta militare” che la Cina prevede di dover affrontare.

L’età dell’alluminio Agibot: Peng Zhihui, il prodigio dei robot umanoidi, ora nel club degli eletti di Pechino

Ne sentiremo parlare.

In un Paese che ha reso l’iperbole una forma d’arte politica, quando il Premier cinese Li Qiang ti chiama a raccolta tra un economista della logistica e un magnate del trasporto marittimo, qualcosa di simbolico sta accadendo. Peng Zhihui, classe 1993, fondatore della start-up AgiBot e ex enfant prodige di Huawei, è stato convocato tra le giovani speranze della tecnologia nazionale per un simposio a porte chiuse a Pechino. Un palcoscenico istituzionale che somiglia a un’investitura, più che a una riunione operativa.

Sotto il volto liscio del socialismo high-tech si nasconde un sottotesto chiarissimo: Pechino ha bisogno di nuovi idoli, possibilmente con un background da ingegneria applicata e un portfolio di robot bipedi pronti a spostare scatole o conquistare TikTok. E Peng, con il suo curriculum da sceneggiatura Marvel un braccio robotico alla Iron Man, un nickname virale (“Zhihuijun”), e un passato nei reparti AI di Huawei e Oppo è perfetto per la parte. Non un semplice imprenditore, ma un totem narrativo per una Cina che vuole ribadire che la partita dell’intelligenza artificiale non è a esclusivo appannaggio della Silicon Valley.

Alibaba lancia l’ultima sfida nel mercato globale dell’IA con i modelli Qwen

Alibaba Cloud ha recentemente annunciato un significativo potenziamento delle sue offerte di intelligenza artificiale per i clienti internazionali, presentando nuovi modelli e strumenti avanzati durante l’evento Spring Launch 2025. Questa mossa strategica evidenzia l’ambizione di Alibaba di consolidare la sua presenza nel mercato globale dell’IA, sfidando direttamente i colossi occidentali del settore.​

Al centro di questa iniziativa c’è l’espansione dell’accesso ai modelli linguistici avanzati della serie Qwen. Tra questi spiccano Qwen-Max, un modello su larga scala basato su una struttura Mixture of Experts (MoE), QwQ-Plus, focalizzato sul ragionamento, QVQ-Max, specializzato nel ragionamento visivo, e Qwen2.5-Omni-7B, un modello multimodale end-to-end. Questi modelli sono ora disponibili attraverso le zone di disponibilità di Alibaba Cloud a Singapore, offrendo ai clienti internazionali strumenti potenti per l’analisi dei dati, l’automazione e la creazione di contenuti. ​

Nel mezzo della tempesta: AICT sfida i mercati e punta su Hong Kong per la sua IPO da 200 milioni

Mentre la tempesta perfetta della guerra commerciale globale fa tremare le fondamenta dei mercati finanziari, con l’indice Hang Seng che registra il peggior tonfo giornaliero degli ultimi trent’anni, un’azienda di intelligenza artificiale con base a Pechino decide di premere sull’acceleratore. AICT, specializzata in tecnologie AI ad alta precisione per il controllo del traffico e la gestione dei parcheggi in oltre 50 città cinesi, annuncia con spavalderia la sua intenzione di presentare domanda di quotazione alla borsa di Hong Kong entro fine mese.

In barba ai segnali macroeconomici da codice rosso, AICT vuole raccogliere almeno 200 milioni di dollari attraverso la sua IPO. Secondo quanto trapela da fonti vicine all’operazione, l’obiettivo è ambizioso ma strategicamente calcolato. Per Yan Jun, fondatore e presidente della compagnia, non si tratta di una scommessa cieca ma di una mossa studiata: “Meglio essere già in pista. Se il mercato migliora, siamo pronti a decollare. Se resta turbolento, almeno siamo in posizione”.

Protetto: Alibaba e la settima piccola tigre: come un esercito di ex dipendenti sta costruendo il nuovo impero dell’intelligenza artificiale in Cina

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Tariffe Usa, addio al de minimis: e-commerce cinese in ritirata tra panico, sconti cancellati e nuove rotte

Il sogno dorato del Made in China, sold on Amazon si sta sbriciolando sotto i colpi di nuove barriere doganali statunitensi. E questa volta non si tratta di una mossa graduale o diplomatica. È una frustata, netta e rumorosa. Con la consueta grazia da bulldozer, l’amministrazione Trump ha fatto saltare due pilastri chiave del successo dell’e-commerce cinese negli Stati Uniti: da un lato un nuovo pacchetto di dazi fino al 34%, dall’altro la fine dell’esenzione de minimis per spedizioni inferiori a 800 dollari, che fino ad oggi garantiva una via d’accesso privilegiata alla giungla americana.

La reazione è stata immediata e prevedibile: panico operativo, prezzi ritoccati, sconti strappati con violenza dalle homepage, e un’ondata di esplorazioni in territori più ospitali – Europa, Medio Oriente, e chi più ne ha più ne cerchi. Il business transfrontaliero cinese, che ha visto una crescita a doppia cifra anno su anno, toccando quota 2,63 trilioni di yuan nel 2024 (pari a 361 miliardi di dollari), sta ora facendo i conti con un brusco risveglio.

Il ritorno dei cervelli: Luo Jianlan abbandona Google per guidare la rivoluzione dei robot umanoidi in Cina

Luo Jianlan, una delle menti più brillanti nel campo dell’intelligenza artificiale e della robotica, ha lasciato Google per unirsi alla start-up cinese AgiBot, nota in patria come Zhiyuan. Il suo nuovo ruolo? Capo scienziato presso il Zhiyuan Embodied Intelligence Research Centre, un’iniziativa che punta a spingere la Cina in prima linea nella produzione di robot umanoidi avanzati.

Non è solo una mossa individuale, ma un segnale chiaro di una tendenza più ampia: il rientro in patria di scienziati formati negli Stati Uniti, pronti a contribuire all’ecosistema tecnologico cinese. Luo, con un dottorato conseguito alla UC Berkeley e un background di ricerca a Google X e DeepMind, porta con sé una profonda esperienza nell’autonomia a lungo termine per sistemi complessi.

Douyin svela i segreti dell’algoritmo: trasparenza o strategia sotto pressione?

ByteDance ha deciso di aprire le porte – almeno in parte – sul funzionamento dell’algoritmo di Douyin, la versione cinese di TikTok, rispondendo alle crescenti pressioni normative da parte delle autorità di Pechino. La piattaforma ha lanciato un sito web dedicato, 95152.douyin.com, con l’obiettivo di spiegare come il sistema di raccomandazione e moderazione dei contenuti opera per i suoi oltre 600 milioni di utenti attivi giornalieri.

Dietro questa mossa non c’è solo un’improvvisa passione per la trasparenza. Il governo cinese sta stringendo il controllo sulle grandi piattaforme digitali, con la Cyberspace Administration of China che da mesi indaga sull’uso improprio degli algoritmi, accusati di manipolare il comportamento degli utenti e influenzare il dibattito pubblico.

Secondo le informazioni rilasciate, l’algoritmo di Douyin non si basa su una comprensione semantica del contenuto, ma su correlazioni tra il comportamento degli utenti e le caratteristiche dei video. Il sistema traccia like, condivisioni, follow e la durata di visualizzazione di ogni contenuto per prevedere cosa potrebbe interessare maggiormente. Nulla di nuovo per chi ha familiarità con la tecnologia, ma un tentativo chiaro di rassicurare il pubblico sul fatto che Douyin non “spia” i suoi utenti.

Zhu Songchun: L’illusione dell’intelligenza artificiale, il rischio dell’investimento caotico

Zhu Songchun, Chair Professor,  Peking University & Tsinghua University. Founding Director,  Beijing Institute for General Artifical Intelligence (BIGAI) Dean,  Institute for Artifical Intelligence & School of Intelligence Science and Technology, Peking University, uno dei massimi esperti cinesi di intelligenza artificiale, ha lanciato un monito chiaro:

la Cina rischia di perdersi in un vortice di investimenti caotici nell’IA, inseguendo modelli occidentali senza una solida base teorica e filosofica.

Durante il Zhongguancun Forum di Pechino, Zhu ha criticato la mancanza di comprensione profonda della tecnologia da parte di governi, media e opinione pubblica, sottolineando come questa lacuna renda difficile una pianificazione strategica efficace.

Negli ultimi anni, Pechino ha investito massicciamente nell’intelligenza artificiale, cercando di costruire un ecosistema tecnologico in grado di competere con i giganti americani. Il lancio di chatbot come DeepSeek, capace di rivaleggiare con ChatGPT, ha dimostrato la rapidità con cui la Cina sta colmando il gap tecnologico. Tuttavia, secondo Zhu, il vero progresso non può limitarsi agli strati superficiali dell’innovazione, come algoritmi e modelli, ma deve scavare più in profondità, nelle fondamenta teoriche e filosofiche dell’IA.

Neuralink contro Beinao No 1: La corsa globale al controllo della mente- BCI

Il campo delle interfacce cervello-computer (BCI) si sta rapidamente trasformando da un sogno fantascientifico a una realtà concreta, e la competizione tra Stati Uniti e Cina per il dominio tecnologico si sta facendo sempre più serrata. Fino a pochi mesi fa, Neuralink di Elon Musk sembrava il principale candidato al trono di questa rivoluzione, ma ora la Cina ha ufficialmente raggiunto la stessa soglia di progresso con il suo sistema Beinao No 1, sviluppato dall’Istituto di Ricerca sul Cervello di Pechino (CIBR) e dalla sua startup affiliata NeuCyber NeuroTech.

Tra febbraio e marzo, Beinao No 1 ha eseguito con successo tre impianti su pazienti umani, gli stessi numeri finora dichiarati da Neuralink. Questo segna un punto di svolta per la Cina, che non solo ha raggiunto gli Stati Uniti nel numero di pazienti impiantati, ma ha anche ottenuto il supporto attivo del governo per la commercializzazione della tecnologia. La provincia dell’Hubei ha già stabilito un tariffario ufficiale per gli impianti cerebrali: 6.552 yuan (circa 902 dollari) per l’operazione e 3.139 yuan per la rimozione. Anche i dispositivi non invasivi hanno un prezzo fisso, 966 yuan per l’adattamento. Una mossa che evidenzia la strategia di Pechino per trasformare la BCI in un mercato accessibile e scalabile.

Microsoft e Apple fuggono dalla Cina mentre Trump gioca a poker con TikTok

Microsoft chiude il suo laboratorio AI a Shanghai, Apple perde un altro ingegnere di punta, e nel frattempo Trump usa TikTok come merce di scambio nei negoziati con Pechino. Tre notizie separate, ma un unico filo conduttore: la disgregazione tecnologica tra Stati Uniti e Cina sta accelerando, con effetti imprevedibili.

Microsoft e la ritirata silenziosa

La chiusura del laboratorio AI di Microsoft a Shanghai è solo l’ultimo segnale di un trend ormai evidente: le grandi aziende tecnologiche occidentali stanno riducendo la loro presenza in Cina. Ufficialmente, la decisione sarebbe legata a una riorganizzazione interna e alla crescente concorrenza dei colossi cinesi dell’intelligenza artificiale come Baidu e Huawei. Ma il contesto geopolitico è innegabile: tra tensioni sui semiconduttori, divieti commerciali e spionaggio industriale, la Silicon Valley non si fida più del mercato cinese.

Il bluff dell’AI cinese e l’ossessione degli investitori per il miraggio tecnologico

Il recente scossone nei titoli tecnologici non ha scalfito minimamente la fiducia degli investitori cinesi. Anzi, secondo Judy Hsu, CEO per il wealth e retail banking di Standard Chartered, i grandi patrimoni della Cina continentale restano fermamente convinti che il settore tecnologico sia una miniera d’oro a lungo termine. Poco importa se le valutazioni sembrano gonfiate o se i ribassi recenti avrebbero dovuto mettere in guardia anche i più ottimisti. Il mantra è sempre lo stesso: il futuro appartiene alla tecnologia, e la Cina ne sarà il cuore pulsante.

Questa fiducia quasi cieca è stata alimentata dal boom dell’intelligenza artificiale, con il recente exploit di DeepSeek, la startup cinese che ha lanciato due modelli di linguaggio capaci di competere con il celebre ChatGPT di OpenAI, ma a costi e consumi di calcolo decisamente inferiori. La notizia ha innescato una corsa sfrenata ai titoli tech, facendo impennare l’Hang Seng Tech Index di quasi il 30% in poco più di un mese. Poi, inevitabilmente, è arrivata la frenata: profit-taking e una correzione dell’8,5% hanno riportato i piedi per terra alcuni investitori. Ma il messaggio di fondo resta: il mercato continuerà a crescere.

Cina e la rivoluzione dei droni: Rainbow-9, l’IA militare e il futuro della guerra senza piloti

La Cina ha alzato il sipario sulla sua ultima meraviglia tecnologica: il Caihong-9 (Rainbow-9), un drone ad alta autonomia e intelligenza artificiale avanzata, pronto a ridefinire il concetto di guerra senza piloti. Questo UAV (Unmanned Aerial Vehicle) non è solo un velivolo da ricognizione, ma una vera e propria piattaforma bellica autonoma capace di cambiare le regole del gioco nei conflitti moderni.

L’ultima dimostrazione pubblica, trasmessa dalla CCTV, ha mostrato il Rainbow-9 in volo per oltre 20 ore consecutive, equipaggiato con moduli di carico di ultima generazione. Ma il dato più impressionante è la sua autonomia teorica di 40 ore e oltre 10.000 km di raggio operativo, posizionandolo tra i droni più resistenti e versatili al mondo. Questo significa che, con un solo volo, potrebbe monitorare intere regioni strategiche: dalla penisola coreana a Taiwan, dalle Filippine al Vietnam, per poi tornare in Cina senza problemi.

Chatbot nelle campagne cinesi: rivoluzione agricola o nuovo oppio digitale?

L’intelligenza artificiale sta seminando un nuovo futuro nelle campagne cinesi. DeepSeek, una startup di Hangzhou, ha innescato una frenesia nazionale con i suoi modelli open source, spingendo persino gli agricoltori più conservatori ad abbracciare la tecnologia. Grazie a una connettività capillare e alla diffusione della telefonia mobile, milioni di abitanti delle zone rurali stanno scoprendo che un chatbot può essere tanto utile quanto un buon trattore.

Nelle province di Jilin e Guangdong, i contadini non si limitano più a scrutare il cielo per prevedere il tempo: chiedono direttamente ai chatbot consigli su quando seminare, come identificare parassiti o persino come accedere ai sussidi governativi. I grandi colossi tecnologici cinesi, come Tencent e Alibaba, hanno colto l’opportunità con una rapidità impressionante, lanciando modelli AI facili da usare e personalizzati per le esigenze rurali. Tencent ha perfino schierato un team dedicato con la missione “AI Goes Rural”, modificando i suoi algoritmi per riconoscere piante e animali o per interagire vocalmente con chi magari non ha molta familiarità con la scrittura digitale.

FamousSparrow torna all’attacco: il gruppo filo-cinese di cyberspionaggio colpisce Usa, Messico e Honduras

Il mondo della cybersecurity è nuovamente in allerta: FamousSparrow, gruppo APT (Advanced Persistent Threat) allineato alla Cina, ha ripreso le proprie attività di cyberspionaggio, colpendo organizzazioni negli Stati Uniti, in Messico e in Honduras. Dopo un’apparente inattività di due anni, i ricercatori di ESET hanno scoperto nuove varianti della backdoor SparrowDoor e l’impiego, per la prima volta, del malware ShadowPad.

Google blinda Android: mossa difensiva o autogol nel mercato cinese?

Google ha deciso di cambiare le regole del gioco per Android, e la Cina è sul piede di guerra. Dopo anni di sviluppo open-source con aggiornamenti pubblici e costanti, Mountain View ha deciso di blindare il processo interno, rilasciando il codice solo con le major release. Ufficialmente, nulla cambierà: la promessa agli sviluppatori cinesi è che Android resterà open-source. Ma la fiducia è già incrinata, e il sospetto è che Google stia rafforzando le sue difese contro la crescente indipendenza tecnologica della Cina.

Dietro questa mossa si nasconde un dilemma strategico. Da un lato, il modello aperto ha permesso ad Android di conquistare il 71% del mercato mobile globale, dando accesso a miliardi di utenti e permettendo a produttori come Xiaomi, Oppo e Vivo di costruire i loro ecosistemi. Dall’altro, questa apertura ha favorito anche l’ascesa di Huawei, che, spinta dalle sanzioni USA, ha sviluppato HarmonyOS, ormai incompatibile con le app Android.

Intelligenza artificiale Zeng Yi: la guerra fredda digitale tra Cina e USA frena la sicurezza globale

Se c’è una certezza nel panorama dell’intelligenza artificiale, è che la corsa allo sviluppo di modelli sempre più avanzati ha preso la forma di una competizione geopolitica senza esclusione di colpi. Eppure, secondo Zeng Yi, membro del comitato consultivo AI delle Nazioni Unite e professore dell’Accademia cinese delle scienze, questa impostazione potrebbe essere il più grande errore strategico di Washington.

Durante il Boao Forum for Asia, Zeng ha criticato l’atteggiamento degli Stati Uniti nel voler escludere la Cina dai network internazionali di sicurezza per l’IA, definendolo “una decisione molto sbagliata”. Il messaggio di fondo è chiaro: la sicurezza nell’IA non può essere un gioco a somma zero, e se le due superpotenze non trovano un terreno comune, il rischio è che si creino standard divergenti, regolamentazioni incompatibili e falle pericolose nella governance dell’IA.

La Blacklist della Tecnologia: Il Nuovo attacco della politica Usa contro la Cina

Il 25 marzo 2025, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha compiuto un passo significativo nella sua politica di contenimento nei confronti della Cina, aggiungendo ben 80 entità alla sua “entity list”. Si tratta di una mossa senza precedenti che segna un nuovo capitolo nella guerra tecnologica tra le due superpotenze, specialmente nel settore dell’intelligenza artificiale e dei supercomputer avanzati.

Questo intervento, il primo di una lunga serie iniziata con l’amministrazione Trump, ha avuto ripercussioni immediate, con Pechino che ha condannato fermamente l’azione e accusato Washington di voler manipolare la sicurezza nazionale per i propri scopi geopolitici.

L’inserimento di 80 organizzazioni nella lista nera ha coinvolto oltre 50 realtà cinesi, accusate di danneggiare gli interessi di sicurezza nazionale e politica estera degli Stati Uniti. Tra le aziende vietate vi sono alcune delle più potenti del settore tecnologico cinese, comprese quelle coinvolte nello sviluppo di intelligenza artificiale avanzata, supercomputer e chip ad alte prestazioni utilizzati in ambito militare.

​BMW e Alibaba partnership in Cina

​BMW e Alibaba hanno recentemente annunciato un’espansione della loro partnership strategica in Cina, con l’obiettivo di integrare modelli di linguaggio AI di grandi dimensioni (LLM) nei veicoli di prossima generazione del marchio tedesco. Questa collaborazione prevede l’integrazione dell’AI Qwen di Alibaba nei modelli Neue Klasse di BMW, la cui produzione in Cina è prevista per il 2026.

L’obiettivo dichiarato è sviluppare un assistente personale intelligente (IPA) avanzato, capace di comprendere e rispondere a comandi vocali complessi. Ad esempio, gli utenti potranno pianificare una serata fuori, con il sistema che analizzerà dati in tempo reale su traffico, recensioni dei locali e preferenze personali per fornire suggerimenti personalizzati. ​

Questa mossa rappresenta un ulteriore passo avanti nella strategia di BMW di rafforzare la propria presenza nel mercato cinese attraverso collaborazioni con giganti tecnologici locali. Già nel 2018, BMW aveva iniziato a integrare l’assistente vocale Tmall Genie di Alibaba nei suoi veicoli destinati al mercato cinese. Successivamente, nel 2020, le due aziende hanno firmato un Memorandum of Understanding per promuovere la trasformazione digitale dell’intero processo aziendale di BMW in Cina. ​

La rivincita cinese sui chip: SiCarrier ruba la scena a Shanghai con le sue macchine per semiconduttori sarà vero?

Nel cuore della battaglia tecnologica tra Cina e Stati Uniti, un nome nuovo si sta facendo largo a colpi di innovazione e ambizione: SiCarrier. Questo produttore cinese di attrezzature per la produzione di semiconduttori, legato a Huawei, ha catalizzato l’attenzione alla fiera Semicon China, dove ha svelato una serie di nuovi strumenti che potrebbero ridurre la dipendenza del paese dalle tecnologie occidentali. (photo Ann Cao)

A soli quattro anni dalla sua fondazione, con il sostegno del governo di Shenzhen, SiCarrier ha mostrato per la prima volta al pubblico le sue macchine per la fabbricazione e il testing di chip. Nonostante il velo di riservatezza che ancora circonda le specifiche tecniche dei suoi strumenti, gli addetti ai lavori ipotizzano che le tecnologie dell’azienda abbiano avuto un ruolo nella produzione dei chip da 7 nanometri sviluppati da Huawei per il Mate 60 Pro nel 2023.

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