Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Apple tenta la riconquista della Cina con RedNote e l’ombra lunga dell’Iphone 17

Quando Apple decide di aprire un account su RedNote, la piattaforma che molti definiscono la versione cinese di Instagram, non sta semplicemente pubblicando un logo animato con un invito ai consumatori a condividere storie. Sta mettendo in scena un esperimento di sopravvivenza. È la mossa più recente di un gigante che in Cina non è più percepito come intoccabile, ma come un concorrente che arranca dietro i brand locali che dettano trend, prezzi e perfino narrative. In altre parole, Cupertino sta cercando di sembrare più giovane, più pop, più vicina a quell’audience che oggi compra un Honor o un Vivo senza la minima nostalgia per Steve Jobs.

Huawei e la rivoluzione software che sfida il dominio dei chip HBM: quando il codice batte la silicio dipendenza

Huawei ha appena lanciato un sasso nell’acqua immobile della corsa globale all’intelligenza artificiale, e l’onda che ne seguirà potrebbe non piacere a chi, oltreoceano, si è abituato a dettare le regole del gioco. Il nuovo Unified Cache Manager non è un chip, non è un’architettura hardware esotica, ma un algoritmo che sposta i dati fra HBM, DRAM e SSD con un’abilità chirurgica, massimizzando l’efficienza d’inferenza dei modelli AI di grande scala. Il paradosso è evidente: in un momento in cui il mondo corre a pagare prezzi stellari per ogni singolo gigabyte di memoria ad alta banda, Huawei risponde con software. Ed è qui che il messaggio strategico diventa pungente. Se non puoi avere il meglio dell’hardware, spremi fino all’ultima goccia quello che hai.

Trump apre alla vendita ridotta dei chip Blackwell di Nvidia alla Cina: geopolitica, affari e il nuovo baratto tecnologico

Trump non ha mai amato le mezze misure, ma questa volta sembra averne inventata una. L’idea di permettere a Nvidia di vendere alla Cina una versione depotenziata del chip AI Blackwell suona come un cocktail di calcolo politico, fiuto per l’affare e volontà di riscrivere le regole della diplomazia tecnologica. Un compromesso al 30-50 per cento della potenza originale, come se un’auto di lusso venisse consegnata con il limitatore inserito. La motivazione ufficiale? Gestire il rischio tecnologico e la sicurezza nazionale. La realtà, come sempre, è più torbida.

Questo non è un semplice annuncio industriale. È un’operazione chirurgica dentro la supply chain globale dell’intelligenza artificiale, con Washington che improvvisamente si atteggia a broker delle performance dei chip. La Cina vuole capacità computazionale, e non da oggi. Gli Stati Uniti vogliono risorse strategiche e vantaggi commerciali. E nel mezzo c’è Jensen Huang, CEO di Nvidia, costretto a un balletto diplomatico in cui ogni passo costa miliardi e ogni sorriso può valere una licenza di esportazione. Il paradosso è che la Casa Bianca non sta bloccando del tutto l’export, ma lo sta monetizzando.

Nvidia e la fiducia tradita: il caso dei chip H20 in cina e la guerra fredda tecnologica

Non capita tutti i giorni che un gigante del chip come Nvidia si ritrovi al centro di un terremoto di fiducia da parte di uno dei mercati più ambiti al mondo. La storia dell’H20, il processore di intelligenza artificiale “su misura” per la Cina, è l’ennesimo esempio di come la tecnologia oggi sia una partita geopolitica dove il sospetto domina più della logica. Nvidia, dopo aver ottenuto il via libera da Washington per esportare l’H20 in Cina pagando il 15 per cento dei ricavi allo Stato americano, si trova accusata dai media statali cinesi di aver inserito “back door” di sorveglianza. Il tutto mentre il colosso rassicura che non ci sono “kill switch” o spyware nei suoi chip, a dimostrazione che la fiducia in ambito tecnologico è ormai un bene più fragile del silicio stesso.

Il paradosso è bello e grosso. Da un lato, Nvidia accetta di versare una percentuale sostanziosa delle sue vendite alla Casa Bianca, come pegno di un accordo fragile e geopoliticamente carico. Dall’altro, Pechino risponde con una campagna di demonizzazione che mette sotto accusa proprio il chip che dovrebbe alimentare il futuro dell’AI cinese. Il commento su Yuyuan Tantian di China Central Television è impietoso: “Un chip né avanzato, né sicuro, né rispettoso dell’ambiente, è semplicemente un prodotto da rifiutare”. Ironia della sorte, la strategia di Nvidia si ritorce contro, come un moderno gioco di specchi in cui ogni mossa è monitorata da occhi governativi. Una curiosità storica emerge dal passato, quando nel 1992 si parlava già di tentativi americani di inserire back door nei chip per motivi di sicurezza nazionale. Oggi, quella paranoia diventa mainstream, soprattutto nel contesto della guerra commerciale e tecnologica Usa-Cina.

Nvidia e AMD pagheranno una quota delle vendite di chip ai cinesi: il nuovo patto americano che riscrive le regole del gioco

Un accordo “altamente insolito” sta scuotendo il mondo dell’intelligenza artificiale e dei semiconduttori. Nvidia e AMD, due colossi della produzione di chip AI, hanno accettato di cedere una fetta dei ricavi delle loro vendite in Cina al governo statunitense. Non è uno scherzo, né una mera questione di cortesia commerciale: il Financial Times ha svelato come Nvidia condividerà il 15% dei profitti derivanti dalle vendite dei suoi chip H20 in Cina, mentre AMD applicherà la stessa percentuale sulle entrate dei chip MI308. Un modo piuttosto diretto per mettere il governo americano dentro al business della tecnologia made in USA esportata ai rivali geopolitici.

La Cina e l’azione globale sull’intelligenza artificiale: svelare il vero gioco dietro la retorica

C’è qualcosa di profondamente ironico nel vedere Pechino presentare un piano globale per la governance dell’intelligenza artificiale proprio mentre Washington si affanna a mettere in mostra la propria strategia di deregulation. Il 26 luglio, il Premier Li Qiang ha lanciato un piano che sembra, in superficie, la solita fiera di buone intenzioni: cooperazione internazionale, sostenibilità verde, inclusività e sicurezza. Tutto già sentito, scritto, decantato, persino nelle dichiarazioni ufficiali del Partito Comunista cinese e negli ultimi discorsi di Xi Jinping. La differenza? È nei dettagli, nelle sfumature linguistiche e nei piccoli accenti politici che i media mainstream, con la loro fretta di fare confronti americani-cinesi, trascurano o banalizzano.

Il nuovo arsenale digitale: come l’intelligenza artificiale sta riscrivendo le regole del gaming cinese

Se pensate che il settore dei videogiochi in Cina sia già saturo o abbia raggiunto un plateau evolutivo, è il momento di aggiornare il vostro software mentale. A giudicare dai segnali provenienti da ChinaJoy, la più grande fiera del digitale asiatico, la nuova corsa all’oro si chiama intelligenza artificiale. E non è una corsa qualsiasi. È un’accelerazione a curvatura che sta riscrivendo, byte dopo byte, l’intero processo creativo, produttivo e commerciale dell’industria videoludica cinese.

La parabola imperfetta dell’open-source AI: perché Zuckerberg si ritira

L’era dell’open-source nell’intelligenza artificiale, quella mitologica utopia da campus californiano in cui condividere il codice significava accelerare il progresso collettivo, sta ufficialmente mostrando le crepe. Meta, storica paladina dell’open-source AI con la sua famiglia LLaMA, ha deciso di rallentare. Zuckerberg, un tempo evangelista della trasparenza algoritmica, oggi predica cautela, sicurezza e selettività. Tradotto: meno open, più chiuso, più controllato. E nel frattempo, l’altra metà del mondo quella che si affaccia dalla Cina corre nella direzione opposta, scalando la montagna dell’intelligenza artificiale open-source a colpi di modelli in versione gladiatore darwiniano.

Nvidia, Cina e la nuova guerra fredda dei chip: una partita di scacchi ad alto voltaggio

Quando Nvidia dichiara che i suoi chip H20 non contengono “back door”, in realtà sta facendo una promessa tanto scontata quanto difficile da digerire per Pechino. La recente convocazione dell’azienda da parte della Cyberspace Administration of China (CAC) segna un altro capitolo della sfida tecnologica e geopolitica più intricata del nostro tempo. Non si tratta solo di un dubbio tecnico, ma di un gioco di potere che coinvolge l’intelligence, il commercio globale e la sovranità digitale. Chi crede che i chip siano semplicemente circuiti e transistor dovrebbe ripensarci: oggi rappresentano i nervi di un sistema nervoso economico e politico globale.

Il piano d’azione globale sull’intelligenza artificiale della Cina è una dichiarazione di guerra digitale

Mentre Washington canta l’inno dell’“American-made AI” con un patriottismo da Silicon Valley che profuma più di marketing che di governance, Pechino decide di giocare un’altra partita. E lo fa con un documento rilasciato sabato scorso: il “Global AI Governance Initiative Action Plan”, che suona più come una proposta di leadership globale mascherata da collaborazione internazionale. Non è un piano, è una sfida a chi detta le regole del nuovo ordine cognitivo globale.

Nvidia H100 il paradosso Cinese: come le restrizioni USA hanno creato un mercato nero da miliardi per le GPU AI

Il paradosso è servito, e come sempre la Silicon Valley e Shenzhen giocano una partita a scacchi con regole che cambiano ogni giorno. Gli Stati Uniti vietano l’export delle GPU Nvidia H100 e A100 in Cina, e la Cina risponde con un sorriso sornione, trasformando l’embargo in un’opportunità di business. A Shenzhen, cuore pulsante del tech cinese, una dozzina di aziende boutique sta facendo fortuna riparando proprio quei chip che ufficialmente non dovrebbero neanche trovarsi nel Paese. È l’ironia della geopolitica tecnologica: vieti un prodotto e ne moltiplichi il valore di mercato, creando un’industria parallela che prospera nell’ombra ma con margini da far impallidire i listini di Wall Street.

Amazon Web Services abbandona la Cina: il silenzioso collasso dell’Intelligenza Artificiale occidentale in Terra Rossa

Amazon Web Services chiude i battenti a Shanghai e non è solo una questione di numeri. È il rumore sordo di una ritirata strategica mascherata da “decisione aziendale ponderata”. Il colosso americano ha spento la luce sul suo AI Shanghai Lablet, laboratorio nato sette anni fa per esplorare il deep learning sui grafi e incassare ricavi stellari grazie al Deep Graph Library. Una creatura che, secondo il suo chief scientist Wang Minjie, ha portato quasi un miliardo di dollari all’e-commerce di Amazon. Un dettaglio che brucia ancora di più, perché chiudere un laboratorio che genera quel tipo di valore non è un taglio, è un messaggio. E il messaggio è chiaro: l’America non gioca più la partita dell’AI in Cina, almeno non sul campo aperto della ricerca.

L’intelligenza artificiale che ridefinisce la diagnosi precoce della depressione a Hong Kong AniTech

Diagnosticare la depressione prima che diventi un’emergenza non è mai stato così urgente, soprattutto in una metropoli come Hong Kong, dove le pressioni sociali e il tasso di suicidi raggiungono livelli da far tremare i polsi. Mentre i legislatori discutono e le solite campagne di sensibilizzazione arrancano a livello istituzionale, una start-up nata nel cuore accademico della città sta puntando dritto al cuore del problema con una tecnologia capace di intercettare il disagio mentale prima che diventi tragedia. Si chiama AniTech, e non è la solita promessa da pitch su un palco pieno di powerpoint.

Il futuro cammina da solo e non chiede il permesso: la Cina usa i robot per riscrivere le regole dell’intelligenza artificiale

Ci voleva la Prof.ssa Carrozza, a Montecitorio, per ricordare (IA e Parlamento) che i robot non sono più giocattoli da laboratorio e che la visione di Elon Musk, con i suoi Optimus firmati Tesla, è ormai solo un pezzo del puzzle. Ma la vera partita non si gioca in California, bensì a Shenzhen, dove un umanoide ha appena compiuto un gesto che vale più di mille slogan: ha cambiato la propria batteria, da solo, senza un dito umano a intervenire.

Il Walker S2 di UBTech Robotics non è un prototipo goffo da fiera tecnologica, è un lavoratore instancabile che può teoricamente funzionare 24 ore su 24. Tre minuti per sostituire l’energia vitale, batterie che si inseriscono come chiavette USB e un algoritmo di gestione dell’autonomia che decide quando e come effettuare il cambio. Sembra banale? Non lo è. È la differenza tra un robot da esposizione e un asset industriale che può sostituire interi turni umani senza interruzioni.

Insights into DeepSeek‑V3: Scaling Challenges and Reflections on Hardware for AI Architectures

Uno sguardo freddo su documento presenato a ISCA 2025 (52nd Annual International Symposium on Computer Architecture, Tokyo Japan, June 21 – 25, 2025) di DeepSeek‑V3 rivela un mix esplosivo di ingegneria hardcore e visioni che rasentano la fantascienza. Il modello da 671 miliardi di parametri gira su “solo” 2 048 GPU NVIDIA H800, sfruttando Multi‑Head Latent Attention per ridurre l’occupazione dei KV cache a 70 KB per token, Mixture‑of‑Experts che attiva solo 37B parametri per token (circa 5 % del totale) e precisione FP8 che dimezza tempi e costi. La topologia “Multi‑Plane Network” ottimizza congestione e latenza nel training, placcando forti colpi al muro hardware‑model co‑design arXiv.

L’illusione cinese degli ai agents e la corsa disperata verso una commercializzazione che parla americano

C’è qualcosa di ironico nel vedere il Paese che ha trasformato l’e-commerce in un culto di massa rimanere indietro proprio nella partita degli ai agents, il nuovo totem tecnologico che promette di trasformare le aziende in organismi semi-autonomi. È come se la Cina avesse costruito l’autostrada più grande del mondo e poi si fosse dimenticata di comprare le auto. La fotografia più crudele arriva dai numeri, sempre cinici e sempre impietosi: nel 2024 gli Stati Uniti contavano 100 milioni di utenti di ai agents, pari a un tasso di penetrazione del 40 per cento, mentre la Cina, con i suoi 250 milioni di utenti, arrancava a un modesto 17,7 per cento di adozione. Un controsenso apparente che in realtà è la prova della differenza strutturale tra hype e infrastruttura.

Nvidia in Cina l’incontro che cambia il gioco dell’intelligenza artificiale

L’arte della diplomazia tecnologica si sta riscrivendo sotto i nostri occhi con un sipario fatto di chip, politica e promesse digitali. Wang Wentao, ministro del commercio cinese, e Jensen Huang, il CEO taiwanese-americano di Nvidia, hanno stretto una mano che vale più di un semplice accordo commerciale: è una sfida lanciata a un futuro in cui l’intelligenza artificiale sarà il campo di battaglia più ambito e controverso. Se vi aspettavate uno scontro frontale, vi sbagliate: l’incontro ha mostrato un pragmatismo raro, in un mondo diviso tra sanzioni e sospetti, tra protezionismo e apertura di mercato.

Nvidia torna a vendere in Cina e il chip H20 diventa il nuovo simbolo della guerra tecnologica

Jensen Huang è atterrato a Pechino con il sorriso di chi sa di avere vinto almeno un round nella guerra tecnologica più costosa del decennio. Il fondatore e CEO di Nvidia, vestito con la sua solita giacca di pelle da rockstar dell’hardware, non è venuto per stringere mani e scattare foto, ma per riaffermare un principio quasi banale nel mondo reale ma rivoluzionario nel teatro geopolitico dell’intelligenza artificiale: “il mercato cinese non si può ignorare”. Lo ha detto, più o meno, tra un meeting con i funzionari governativi e un’apparizione alla China Council for the Promotion of International Trade. Solo che stavolta la frase non è retorica. È una minaccia sottile a Washington e un inchino strategico a Pechino.

La Cina ruggisce a codice aperto: Kimi K2 è il nuovo predatore del machine learning globale

Non fatevi ingannare dal nome dolciastro. Kimi K2 non è un simpatico cartone animato giapponese né una mascotte da caricare su TikTok. È un colosso di 1 trilione di parametri che cammina silenziosamente tra le linee di codice, pronto a stravolgere le gerarchie globali dell’intelligenza artificiale con un approccio che, fino a ieri, sembrava il dominio esclusivo delle elite della Silicon Valley. Moonshot AI, una start-up cinese con sede a Pechino e le tasche piene grazie ai finanziamenti di Alibaba, ha appena scagliato il suo nuovo mostro computazionale nel ring dell’open-source globale, e le onde d’urto si sentono già da Menlo Park a Bangalore.

Hong Kong scommette sull’intelligenza artificiale molecolare per battere Google nella corsa alla scoperta dei farmaci

Quando un’ex consulente di Accenture e un professore di sistemi complessi decidono di fondare una start-up sull’intelligenza artificiale per la scoperta di farmaci, di solito il risultato è un PowerPoint, qualche grafico in stile McKinsey, e un round seed da 2 milioni spesi in marketing. Ma IntelliGen AI, fondata a Hong Kong nel giugno 2024 da Ronald Sun e dal ricercatore Sun Siqi, sembra giocare su un piano diverso. Non solo perché si autoproclama rivale di DeepMind e del suo spin-off farmaceutico Isomorphic Labs, ma perché pretende di fare con la biologia ciò che AlphaFold ha già fatto: trasformare la ricerca scientifica in un problema di predizione computazionale. Solo che qui la posta in gioco non è più l’ordine degli amminoacidi, ma l’economia globale del farmaco.

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