Il blog post di Netflix sull’uso dell’intelligenza artificiale generativa nei processi creativi sembra un manuale di buone maniere digitali, ma in realtà è un atto di pura autodifesa. Dietro la patina di etica e responsabilità si nasconde la verità più cinica: Netflix non vuole trovarsi né nei tribunali né sulle prime pagine dei giornali come il simbolo della Hollywood che ruba l’anima agli attori attraverso la macchina algoritmica. È un documento che serve meno ai registi e più agli avvocati, meno ai creativi e più agli investitori. Non è una guida, è un disclaimer travestito da manifesto etico.
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L’impatto dell’intelligenza artificiale generativa sulla natura del lavoro: evidenze da GitHub Copilot
L’Intelligenza Artificiale Generativa non è più un esperimento da laboratorio per nerd visionari, ma sta iniziando a ridisegnare i confini del lavoro stesso. GitHub Copilot diventa qui il caso di studio perfetto, perché permette di osservare in tempo reale come un assistente IA possa spostare l’attenzione dei programmatori dai compiti gestionali al vero cuore della loro professione: scrivere codice. Non è fantascienza, è misurabile, con numeri concreti su oltre 187.000 sviluppatori seguiti per due anni.

L’illusione più pericolosa del nostro tempo è forse questa: affidare decisioni mediche complesse a modelli di intelligenza artificiale generativa che, per quanto sofisticati, rimangono fondamentalmente dei cantastorie ben addestrati, non medici. Google ha di recente offerto un caso emblematico, quasi grottesco, con il suo Med-Gemini, un modello AI presentato come avanguardia nella diagnostica radiologica. L’errore emerso, identificare un “infarto del ganglio basilar sinistro”, un’entità anatomica inesistente, racconta molto più di un semplice refuso: rivela le fragilità strutturali e cognitive di questi sistemi. Il “basilar ganglia” è una fantomatica creazione che confonde il “ganglio basale” area cerebrale reale con l’“arteria basilare” vaso sanguigno anch’esso reale ma ben distinto. Si potrebbe liquidare la questione come un errore di battitura, eppure l’assenza di revisione del paper scientifico – a dispetto della correzione nel blog aziendale – sottolinea quanto la superficialità sia diventata il prezzo del marketing tecnologico.
In ambito clinico, però, queste leggerezze non sono semplici fastidi da ignorare. Nel migliore dei casi generano confusione, nel peggiore possono compromettere vite umane. Il problema è che queste AI non sono dotate di coscienza critica o capacità di autocorrezione. Judy Gichoya di Emory University mette a fuoco il cuore del disastro: queste intelligenze “inventano” risposte e raramente ammettono di non sapere. Quando si parla di salute, la disonestà intellettuale, seppur non voluta, diventa una bomba a orologeria. La convinzione che “bigger is better”, ossia aumentare a dismisura i dati di training o la complessità del modello, porti automaticamente a una maggiore affidabilità, è ormai una favola per investitori e appassionati di hype. La realtà è che nessuna quantità di prompt engineering o fine-tuning trasformerà un modello basato su pattern linguistici in un medico affidabile.