Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

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Superintelligenza americana: sogno di potenza o auto sabotaggio tecnologico?

In un’America che si racconta come paladina dell’innovazione, la realtà si sta rapidamente sgretolando sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. La narrazione istituzionale — una spinta muscolare verso l’intelligenza artificiale “American-made“, una serie di Executive Orders che suonano più come comandi militari che direttive democratiche si scontra violentemente con il fatto brutale che i laboratori di ricerca si svuotano, i fondi evaporano, i talenti migliori migrano verso lidi più fertili e meno tossici.

Abbiamo trovati il report “America’s Superintelligence Project” di Gladstone AI, una pietra miliare intrisa di paranoia strategica e inquietudine geopolitica, dipinge un futuro degno di un romanzo distopico di fine anni ’80. Qui, le facilities che si immaginano non sono campus universitari vivaci, né laboratori open-space da Silicon Valley, ma fortezze remote, sorvegliate da apparati militari, dove la creatività dovrebbe prosperare sotto occhi vigili, magari armati.

Pentagono e intelligenza artificiale: quando anche il “Kill Chain” diventa un chatbot

La notizia della scorsa settimana sembrava la classica trovata da film di fantascienza di serie B: due Marines americani, in missione tra Corea del Sud e Filippine, usano un chatbot generativo simile a ChatGPT per analizzare dati di sorveglianza e segnalare minacce. Non si tratta di un esercizio di marketing tecnologico, ma di un vero e proprio test operativo di come il Pentagono stia accelerando la sua corsa nell’integrazione dell’intelligenza artificiale generativa nei processi militari più sensibili. Altro che “assistente virtuale”, qui parliamo di sistemi che leggono informazioni di intelligence e propongono scenari operativi, inserendosi direttamente nel ciclo decisionale di guerra. Se vuoi farti un’idea più precisa di questa follia organizzata puoi dare un’occhiata alla notizia originale.

La polveriera Kash Patel: dall’arresto della giudice di Milwaukee alla guerra contro la “Deep State”

Nei giorni in cui i media sembrano concentrarsi su altri fronti, la notizia dell’arresto della giudice di Milwaukee, accusata di aver aiutato un immigrato irregolare a sfuggire alla giustizia, passa quasi inosservata. Ma a mettere questa vicenda al centro dell’attenzione è stato il direttore dell’FBI, Kash Patel, una figura che non lascia indifferenti, tanto per le sue posizioni politiche quanto per la sua carriera.

Bytedance prova a piantare bandiera in Brasile tra pale eoliche e cavi sottomarini

ByteDance, la famigerata casa madre di TikTok, sembra aver trovato il suo nuovo Eldorado a sud dell’equatore. Secondo quanto rivelato da tre fonti confidenziali a Reuters, il colosso cinese sta seriamente valutando un investimento colossale in un data center da 300 megawatt nel porto di Pecem, nello stato brasiliano del Ceara, sfruttando l’abbondante energia eolica che soffia costante sulla costa nord-orientale del paese. Per intenderci, parliamo di un progetto che potrebbe arrivare a un assorbimento di energia di quasi un gigawatt se il piano dovesse proseguire oltre la prima fase. Per fare un paragone, è come alimentare più o meno 750.000 case contemporaneamente, senza contare la sete insaziabile dei server affamati di dati.

Nel pieno stile “meglio abbondare”, ByteDance non si muove da sola: sarebbe in trattative con Casa dos Ventos, uno dei principali produttori di energia rinnovabile del Brasile, per sviluppare il mega impianto. La scelta di Pecem, va detto, non è casuale. Il porto vanta una posizione strategica con la presenza di stazioni di atterraggio di cavi sottomarini, quelli che trasportano i dati attraverso gli oceani a velocità indecenti. Oltre ai cavi, c’è una concentrazione significativa di impianti di energia pulita. Insomma, tutto perfetto, se non fosse che il gestore nazionale della rete elettrica brasiliana, ONS, ha inizialmente negato la connessione alla rete per il progetto, temendo che simili colossi energivori potessero far saltare il sistema come un vecchio fusibile in una casa anni ‘50.

Come i metalli critici cinesi e non solo minano il 78% dell’arsenale americano

Se ti dicessi che il mastodontico apparato militare americano, quello da trilioni di dollari di budget annuo, dipende dalle miniere cinesi come un tossico dal suo spacciatore di fiducia? No, non è una provocazione da bar sport geopolitico, è il cuore nero di uno studio appena rilasciato da Govini, società specializzata nell’analisi delle catene di approvvigionamento della Difesa. Un’analisi che fotografa senza pietà una verità tanto scomoda quanto letale per la narrativa a stelle e strisce: il 78% dei sistemi d’arma del Pentagono è potenzialmente ostaggio della politica mineraria di Pechino.

La radiografia effettuata da Govini non lascia margine a ottimismo: parliamo di circa 80.000 componenti bellici che incorporano metalli come antimonio, gallio, germanio, tungsteno e tellurio. Cinque piccoli elementi chimici, sconosciuti ai più, che nella mani giuste (o sbagliate) diventano l’ossatura invisibile di radar, missili, droni, blindati, sistemi di difesa nucleare. E guarda caso, la produzione globale di questi metalli è dominata quasi integralmente dalla Cina.

Pechino scatena l’intelligenza artificiale: la nuova corsa all’oro hi-tech tra ambizioni, chip e propaganda

Se qualcuno ancora si illudeva che la Cina avesse intenzione di restare a guardare mentre l’Occidente gioca a fare gli apprendisti stregoni dell’intelligenza artificiale, è ora di svegliarsi dal torpore. Xi Jinping, con la solennità tipica di chi ha in mano non solo il telecomando, ma anche la sceneggiatura dell’intero show, ha dichiarato senza giri di parole: la Cina mobiliterà tutte le sue risorse per dominare l’AI, scardinare ogni colletto tecnologico imposto dagli Stati Uniti, e guidare la prossima rivoluzione industriale mondiale.

Quando gli algoritmi fanno fuoco: l’AI israeliana e il nuovo volto disumanizzato della guerra

Nel tempo in cui il codice vale più del comando, dove la guerra si digitalizza e l’etica vacilla davanti all’efficienza algoritmica, Israele pare aver ufficializzato il passaggio dallo stato di guerra a quello di “debug militare“. La notizia, uscita sul New York Times, racconta di come l’esercito israeliano abbia abbracciato senza troppi giri di parole l’uso dell’intelligenza artificiale per identificare, localizzare e colpire target all’interno della Striscia di Gaza. E non si parla di mere ricognizioni o supporto alla logistica: qui si tratta di vere e proprie esecuzioni gestite da modelli predittivi, droni killer e riconoscimento facciale.

Il caso esemplare, riguarda Ibrahim Biari, figura chiave di Hamas e implicato direttamente negli attacchi del 7 ottobre. L’intelligence israeliana avrebbe monitorato le sue chiamate e, attraverso un tool di AI vocale, triangolato una posizione approssimativa. Quella stima, che avrebbe potuto essere un intero quartiere, è bastata per lanciare un raid aereo il 31 ottobre 2023. Risultato? Biari eliminato. Ma insieme a lui oltre 125 civili, secondo Airwars, organizzazione di monitoraggio dei conflitti con sede a Londra.

Huawei e iFlytek riscrivono l’IA cinese con chip domestici, sfidando OpenAI e aggirando l’embargo Usa

Nel cuore della tempesta geopolitica tra Stati Uniti e Cina, una nuova narrativa tecnologica si sta scrivendo con toni orgogliosi e una spruzzata di vendetta industriale. iFlytek, colosso cinese del riconoscimento vocale, ha annunciato che i suoi modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) ora poggiano interamente su infrastruttura computazionale cinese, grazie alla collaborazione con Huawei. Un’alleanza non solo tecnologica, ma politica, che mira a scrollarsi di dosso la dipendenza da chip americani come quelli della Nvidia, sempre più difficili da importare a causa delle restrizioni di Washington.

Dietro le quinte di questa rivoluzione sovranista dell’intelligenza artificiale c’è Xinghuo X1, un modello di ragionamento definito “autosufficiente e controllabile”. Parole scelte con cura chirurgica per rassicurare Pechino e tutti quei settori industriali strategici che vedono in questa svolta l’unica via per non rimanere ostaggio dell’Occidente tecnologico. La narrazione ufficiale vuole che, dopo un’intensa co-ingegnerizzazione con Huawei, Xinghuo X1 sia ora in grado di competere con giganti come OpenAI o1 e DeepSeek R1, secondo un post trionfalistico pubblicato su WeChat da iFlytek.

Huawei Ascend 920 prepariamoci a un progetto Opphenaimer cinese

uawei si prepara a diventare l’arma strategica di Pechino nella guerra dei semiconduttori contro l’Occidente. A quanto pare, non è solo il creatore di smartphone “proibiti” o l’eterno bersaglio delle black list statunitensi. No, stavolta la compagnia di Shenzhen alza il tiro e si candida a rimpiazzare Nvidia nel suo stesso dominio: l’intelligenza artificiale. Sì, hai capito bene, si parla di GPU AI-ready. E no, non è un’esercitazione.

Secondo Digitimes, Huawei lancerà entro fine anno il chip Ascend 920, costruito su processo a 6 nanometri, pronto per la produzione di massa nella seconda metà del 2025. Questo chip, che promette prestazioni da brividi, punta dritto al cuore delle GPU H20 di Nvidia, le ultime sopravvissute sul mercato cinese dopo l’embargo tecnologico imposto da Washington. Ma ora anche quelle sono finite nel mirino delle restrizioni USA, rendendo il ban totale.

Grafene, la rivoluzione invisibile che potrebbe asfaltare il silicio: CamGraPhIC

Quando la NATO smette di finanziare droni, missili e tecnologia a base di metallo e punta milioni su un materiale ultrasottile come il grafene, forse vale la pena alzare le antenne. Non quelle classiche, magari proprio quelle nuove, basate su ricetrasmettitori privi di silicio, sviluppati da una piccola ma ambiziosissima startup italiana: CamGraPhIC .

Fuori dagli Stati Uniti, dentro l’incognita: il grande esodo del private equity cinese e non solo. La Cina chiude gli investimenti nei fondi di private equity Usa

Un caffè al Bar dei Daini.

La geopolitica è tornata con gli stivali chiodati a calpestare i campi minati della finanza globale. Pechino chiude i rubinetti agli investimenti nei fondi di private equity americani, e l’Europa comincia a strofinarsi gli occhi, cercando una via d’uscita più elegante di quella canadese, che ha già la valigia pronta.

Non è solo una ritirata: è un cambio di paradigma, una mutazione strutturale del flusso di capitali che ha drogato Wall Street per due decenni. A fare la bella vita a debito, denaro facile, sono capaci tutti, specialmente noi occidentali, ma i Cinesi sono abituati ad aspettare il momento invece.

Dalle notizie emerse, il China Investment Corporation (CIC), colosso da oltre mille miliardi, ha iniziato a sfilarsi dalle operazioni americane, bloccando nuovi investimenti e chiedendo di non partecipare nemmeno a operazioni con veicoli terzi che abbiano aziende statunitensi nel mirino.

Sfida aperta: l’open source nell’IA militare potrebbe essere l’arma più sicura di tutte

Nel teatro sotterraneo della nuova corsa globale agli armamenti, la protagonista silenziosa è l’intelligenza artificiale. Ma non parliamo di Terminator o Skynet: parliamo di righe di codice, modelli linguistici, e una guerra ideologica tra ciò che è chiuso, proprietario, controllato… e ciò che invece è libero, aperto, trasparente. Nella cornice poco neutrale del Singapore Defence Technology Summit, si è scoperchiato un vaso di Pandora che molti nei corridoi del potere preferivano restasse chiuso.

Rodrigo Liang, CEO di SambaNova Systems, ha lanciato una verità che è quasi un’eresia per i sostenitori del closed-source militare: pensare che rendere un modello chiuso lo renda anche sicuro è un’illusione di controllo. Perché chi davvero vuole accedere a un modello, lo farà comunque. È una questione di risorse, non di etica. E questo mette in crisi l’intero teorema su cui si basano le restrizioni all’open source in ambito difensivo.

Trump e l’economia del disincanto: la luna di miele è finita, il conto arriva ora

La narrativa trionfale che ha accompagnato la rielezione di Donald Trump si sta sbriciolando sotto il peso delle aspettative mancate. L’ultimo sondaggio economico nazionale CNBC All-America fotografa un Paese più cupo, deluso e (cosa ancora più letale in politica) impaziente. Il consenso economico nei confronti del presidente ha toccato i livelli più bassi del suo secondo mandato, segnando un’inversione di rotta drammatica rispetto all’impennata di ottimismo che aveva accompagnato la sua riconferma. Con un approvazione economica al 43% e un netto 55% di disapprovazione, Trump entra ufficialmente nella zona rossa della fiducia pubblica, per la prima volta anche sul tema economico, da sempre il suo cavallo di battaglia.

Il dato più preoccupante per la Casa Bianca non è tanto la resistenza della base repubblicana, che regge, quanto la frattura profonda con gli indipendenti e l’ostilità feroce dei democratici. Tra questi ultimi, la disapprovazione netta sulle politiche economiche di Trump ha raggiunto il -90, un abisso politico mai visto nemmeno durante il primo mandato. E anche tra i lavoratori blue collar, una delle colonne portanti del trionfo trumpiano del 2024, il supporto mostra crepe evidenti: sì, ancora positivi nel complesso, ma con una crescita di 14 punti nei tassi di disapprovazione rispetto alla media del primo mandato. Il tempo della gratitudine è finito, ora si pretende il dividendo.

Robot da maratona e sovranità tech: la Cina accelera verso un’era Android per umanoidi

Se mai avevate bisogno di una prova che il futuro non arriverà su ruote, ma su due gambe artificiali, la mezza maratona di Pechino dedicata ai robot umanoidi dovrebbe bastare. Il Tien Kung Ultra, un androide alto 180 cm e pesante 55 kg, ha completato i 21 km in circa 2 ore e 40 minuti, conquistando non solo il primo posto nella corsa, ma anche l’attenzione del mondo. Dietro questa impresa si muove un’ambizione più grande di una semplice vittoria sportiva: diventare l’Android degli umanoidi, l’ossatura software open source sulla quale far camminare e correre la futura intelligenza artificiale incarnata.

Guerra dei cieli 6.0: la corsa tra Cina e USA per dominare l’aria del futuro si gioca a colpi di droni, AI e motori sospetti

Nella silenziosa ma serrata corsa globale per la supremazia nell’aeronautica militare del futuro, la Cina ha deciso di rompere il silenzio con una manovra coreografata degna del miglior teatro geopolitico. Il 26 dicembre, giorno del compleanno di Mao Zedong un dettaglio che nessun regista avrebbe potuto ignorare le immagini di un nuovo caccia cinese hanno cominciato a circolare online. Un’uscita pubblica non casuale, che punta a mandare un messaggio preciso: la Cina è qui, pronta, e sta accelerando.

Le foto e i video mostrano un velivolo sperimentale, battezzato J-36, in volo sopra Chengdu, affiancato da un J-20, il cavallo di battaglia di quinta generazione del Dragone. Ma è la configurazione a tre motori ad aver scatenato i dibattiti più accesi. Tre motori in un caccia non si vedono dai tempi in cui il termine “stealth” era ancora un neologismo e non una buzzword usata da ogni startup di droni agricoli.

Se guardiamo con l’occhio da Technologist smaliziato e non da entusiasta da salone dell’aeronautica, il cuore della sesta generazione non è tanto la velocità o la furtività che ormai sono commodity – quanto l’integrazione massiva con sistemi autonomi, sensor fusion e, soprattutto, crew-uncrewed teaming.

Goldman Sachs Private Tech Tour 2025: Asia guida la rivoluzione tech del 2030

Mentre l’Occidente si distrae con il teatrino della politica interna e i mercati annaspano tra trimestrali tiepide e annunci fumosi sull’IA, Goldman Sachs decide di mandare in trasferta i suoi analisti più svegli per vedere con i propri occhi cosa sta bollendo nella pentola asiatica. Il risultato? Un vero schiaffo morale a Silicon Valley e Washington D.C.: la Cina è avanti. Di brutto. E non solo in un settore, ma in un ecosistema industriale che copre tutto, dai chip fotonici agli eVTOL, passando per robotaxi, server AI, e smartphone dal design impietosamente competitivo.

Il Private Tech Tour 2025 di Goldman è una sorta di via crucis high-tech da Shanghai a Shenzhen, con tappa a Guangzhou, durante il quale i cervelloni della banca d’investimento incontrano 19 aziende selezionate in otto settori critici. Ma la vera notizia non è l’elenco – peraltro interessante – delle società visitate. La notizia è che Goldman torna con un messaggio chiaro: l’Asia, e in particolare la Cina, non sta più inseguendo. Sta guidando. E non ha intenzione di aspettare che l’Occidente si svegli.

Leonardo reinventa la guerra e il business con LHyC: dal cacciavite alla coscienza artificiale

Quando un’azienda storica della difesa italiana affida a un manager con background da innovatore una linea strategica chiamata Hypercomputing Continuum, la sensazione è chiara: il tempo dei bulloni è finito, ora servono bit che volano più veloce dei jet.

Simone Ungaro, neo-condirettore generale Strategy & Innovation di Leonardo, lo dice senza girarci attorno: «Puntiamo a guidare la transizione verso la realizzazione di tecnologie multidominio interoperabili per la sicurezza globale».

Tradotto per chi mastica più Wall Street Journal che white paper ministeriali: Leonardo non vuole più solo partecipare alla trasformazione tecnologica della difesa, vuole esserne il regista.

Il progetto LHyC (Leonardo Hypercomputing Continuum) è la nuova linea di business creata ad hoc per intercettare il crocevia tra AI, cloud distribuito, edge computing e high performance computing. Non è una velleità da piano industriale: è una necessità esistenziale per restare rilevanti in un mercato in cui la guerra si combatte (e si vince) prima nei datacenter che nei deserti.

Quando premi troppo, risvegli il drago: Sun Tzu, DeepSeek e la nuova corsa globale alla sovranità tecnologica

È un vecchio consiglio strategico che profuma di millenni, ma che brucia di attualità come un server sotto attacco DDoS: Quando circondi un esercito, lascia sempre una via di fuga. Non costringere mai un nemico con le spalle al muro.” Sun Tzu, oltre a saperla lunga in fatto di guerra, probabilmente oggi sarebbe anche un discreto analista geopolitico e consulente per aziende Big Tech. Perché ciò che sta accadendo tra Cina, Europa e Stati Uniti in ambito tecnologico è una copia carbone delle sue massime strategiche. E ci offre una lezione che molti al potere sembrano ignorare: premere troppo forte su chi hai davanti, e quello non si piega, si trasforma.

Partiamo dalla Cina, che oggi non solo è sopravvissuta al colpo inferto dalle restrizioni USA sui semiconduttori, ma ha dimostrato una capacità di reazione che definire “animalesca” sarebbe riduttivo. DeepSeek è solo la punta dell’iceberg di una controffensiva che ha risvegliato il colosso asiatico da un torpore di dipendenza tecnologica. La mossa americana, pensata per limitare, ha innescato l’esatto contrario: una corsa accelerata verso l’autosufficienza. Non è la prima volta che il blocco di un asset si trasforma in opportunità: basti pensare a quando Netflix, privata delle licenze dei grandi studi, si è inventata “House of Cards” e ha riscritto il mercato dei contenuti. Il paradosso è che l’embargo diventa fertilizzante.

Giorgia Meloni respinge la scelta “infantile” tra Trump e l’Europa, la strategia di Trump per un accordo commerciale con l’Europa

Nel cuore della politica commerciale internazionale, Donald Trump ha rilasciato dichiarazioni che hanno suscitato l’attenzione di analisti e diplomatici. Durante un incontro con la Premier italiana Giorgia Meloni alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti ha affermato che ci sarebbe stato un “accordo commerciale al 100%” con l’Unione Europea. Questa dichiarazione, inaspettata rispetto alla retorica che Trump ha usato in passato contro l’Europa, ha sollevato interrogativi sulla sua strategia e sulle reali intenzioni dietro la minaccia di tariffe su acciaio, alluminio e auto. Un’affermazione che sembra essere il preludio a negoziati che potrebbero segnare una svolta nelle relazioni transatlantiche.

L’incontro tra Trump e Meloni non è solo un semplice scambio di battute politiche. Meloni, che ha costruito un rapporto di fiducia con il presidente americano, si trova nella difficile posizione di mediare tra gli interessi degli Stati Uniti e quelli dell’Unione Europea. La sua presenza a Washington aveva l’obiettivo di evitare l’escalation della guerra commerciale con l’Europa, in particolare cercando di evitare l’aumento delle tariffe imposte da Trump. Nonostante la retorica aggressiva, Trump ha parlato con un certo ottimismo: “Ci sarà un accordo commerciale, al 100%”, ha detto, indicando una volontà di raggiungere un’intesa con l’Europa, ma a condizioni che siano favorevoli agli Stati Uniti.

La Nato adotta il Maven Smart System di Palantir

Palantir Technologies ha appena ottenuto un contratto significativo con la NATO, con l’adozione del suo sistema Maven Smart System (MSS NATO), un sistema di comando e controllo alimentato dall’intelligenza artificiale. Questo accordo, finalizzato il 25 marzo, è stato descritto come uno dei più rapidi nella storia della NATO, con un tempo di acquisizione di soli sei mesi.

Il sistema Maven è già ampiamente utilizzato dalle forze armate statunitensi e ora verrà implementato nel quartier generale delle operazioni alleate della NATO, con l’obiettivo di migliorare la consapevolezza situazionale sul campo di battaglia aggregando dati provenienti da numerose fonti per generare un quadro operativo unificato.

L’adozione del sistema Maven da parte della NATO segna un passo significativo verso l’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle operazioni militari alleate. Analisti come Louie DiPalma di Barrington Research hanno interpretato l’accordo come geopoliticamente significativo, suggerendo una continua dipendenza europea dai sistemi di difesa statunitensi. Questo sviluppo potrebbe rafforzare la posizione di Palantir nel settore della difesa, con implicazioni potenzialmente positive per le sue prospettive future.

Pete Hegseth e la vendetta del contabile: cancella 5 miliardi di “aria fritta” al Pentagono e fa tremare l’impero della consulenza

Nel cuore dell’apparato più costoso del pianeta, una scure si è finalmente abbattuta. Pete Hegseth, arrivato da FoxNews ad essere Segretario alla Difesa con il ghigno dell’uomo d’azione e la contabilità nel sangue, ha mandato al macero oltre 5 miliardi di dollari in contratti IT, cloud e consulenze considerate “superflue”. Il bersaglio? I soliti noti: Accenture, Deloitte, Booz Allen Hamilton e l’intera burocrazia-parassita incistata nelle viscere del Pentagono. Quella che per anni ha lucrato sulla nebbia decisionale dell’apparato difensivo, presentando fatture da 500 dollari l’ora per PowerPoint su come “diversificare le riunioni” o “ottimizzare la supply chain con l’empatia”. Vedi il Memo.

“Abbiamo bisogno di questi soldi per investire in una migliore assistenza sanitaria per i nostri militari e le loro famiglie, invece di spenderli per consulenti di processi aziendali da 500 dollari all’ora,” ha detto Hegseth. “Sono davvero tanti soldi per consulenze.”

Quantum (QIS) o spia? il grande gioco invisibile dietro la scienza dell’informazione quantistica

La Quantum Information Science and Technology (QIS) è la nuova frontiera del potere globale, ma non quella che vedi nei comunicati stampa dorati delle big tech o negli slogan dei summit governativi. Dietro la patina patinata dell’innovazione scientifica si nasconde una corsa armata silenziosa, feroce, e sempre più sporca. Il principio è semplice: usare le regole della fisica quantistica per manipolare, archiviare e trasmettere informazione. Ma come ogni tecnologia realmente rivoluzionaria, la QIS è anche una perfetta leva geopolitica, economica e militare.

Se la Silicon Valley è stata la culla della rivoluzione digitale, la QIS è il campo minato dove si giocherà il prossimo dominio planetario.

La fisica quantistica, nella sua natura più bizzarra e poetica, offre concetti come la sovrapposizione, l’entanglement e la coerenza. Astratti, certo, ma potentissimi. Un bit classico è o uno o zero, ma un qubit può essere entrambi contemporaneamente, aprendo possibilità computazionali impensabili per i sistemi tradizionali. Ora, metti questa capacità nelle mani di chi ha la chiave del tuo conto bancario, dei tuoi algoritmi di difesa, dei tuoi dati sanitari o dei tuoi brevetti aziendali. Vedi il problema?

La Cina punta su intelligenza artificiale e combattimento spaziale per vincere le guerre future

Nel panorama sempre più complesso della tecnologia militare, la Cina sta dando una chiara direzione alle sue forze armate, con un focus particolare sulle capacità avanzate come la guerra navale basata sull’intelligenza artificiale (AI) e le operazioni spaziali. Queste aree emergenti sono al centro di una serie di articoli pubblicati dal Study Times, il giornale che fa capo alla Scuola Centrale del Partito Comunista Cinese, dove i ricercatori dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) delineano le priorità strategiche del paese per i prossimi decenni. In particolare, la tecnologia AI è vista come il “fattore decisivo” per cambiare le regole della guerra futura, diventando la chiave per dominare i campi di battaglia di domani.

La mossa di Xi Jinping, presidente della Repubblica Popolare Cinese, di enfatizzare l’importanza di “innovazioni audaci” e di una “nuova potenza di combattimento di qualità” risponde alla sua visione di una Cina sempre più potente e tecnologicamente avanzata sul piano militare. Durante una riunione del mese scorso, Xi ha sottolineato la necessità per la PLA di esplorare e sviluppare nuovi tipi di forze di combattimento, liberando il potenziale delle tecnologie emergenti per fronteggiare la “lotta militare” che la Cina prevede di dover affrontare.

L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando il settore marittimo: logistica, difesa e sostenibilità nel 2025

Nel 2025, l’intelligenza artificiale (IA) sta trasformando radicalmente il settore marittimo, influenzando profondamente la logistica, la difesa e la sostenibilità ambientale. Questa evoluzione è guidata da una serie di innovazioni e collaborazioni strategiche che stanno ridefinendo le operazioni e le strategie nel settore.​

Un esempio significativo è la partnership annunciata il 6 aprile 2025 tra il gigante dello shipping CMA CGM e la startup francese Mistral AI.

Questo accordo quinquennale, del valore di 100 milioni di euro, mira a migliorare il servizio clienti nel settore dello shipping e della logistica, oltre a implementare sistemi di fact-checking nei media francesi di proprietà di CMA CGM, come BFM TV. Questa iniziativa fa parte di una strategia più ampia di CMA CGM, che ha investito complessivamente 500 milioni di euro nell’IA, con l’obiettivo di aumentare l’efficienza nella gestione di oltre un milione di email settimanali dei clienti entro 6-12 mesi. Questa collaborazione non solo evidenzia l’impegno di CMA CGM nell’adozione dell’IA, ma sottolinea anche l’importanza crescente dell’IA nel migliorare l’interazione con i clienti e l’efficienza operativa nel settore marittimo.​

Trump rilancia la guerra fredda del Pacifico: un trilione di dollari, dazi al 125% e una strategia che puzza di guerra commerciale più che di deterrenza

Benvenuti nell’era del trilione di dollari. Donald Trump, tornato alla Casa Bianca come un fantasma che non vuole saperne di restare nel passato, ha promesso – con l’immancabile petto gonfio da comandante in capo – un budget per la difesa da 1.000 miliardi di dollari. Una cifra colossale, mai vista prima, che rappresenta un incremento vertiginoso rispetto agli 892 miliardi appena approvati per il 2024. E mentre a Washington tagliano a colpi d’accetta tutto ciò che non sa di guerra, Trump e il nuovo Segretario alla Difesa Pete Hegseth piazzano il pentolone bollente della deterrenza sul fornello dell’Indo-Pacifico. Il messaggio è chiaro, urlato con il solito megafono mediatico: la Cina è il nemico designato, e bisogna spendere per stare al passo.

Armi Autonome Sotto la Lente: Un Nuovo Approccio per Valutarne i Rischi a Livello Globale

Società Digitale esplora temi legati alla governance, alle trasformazioni, agli ecosistemi e agli sviluppi della tecnologia digitale, analizzando le loro ripercussioni sulla società. La rivista incoraggia indagini approfondite, valutazioni critiche e raccomandazioni basate sui principi di una solida ricerca accademica, indipendentemente dall’approccio disciplinare adottato. Particolare attenzione è riservata ai contributi che si inseriscono nelle quattro Aree Tematiche principali.

A Risk-Based Regulatory Approach To Autonomous Weapon Systems

Open access Pubblicato: 03 Aprile 2025 di Alexander BlanchardClaudio NovelliLuciano Floridi & Mariarosaria Taddeo

La regolamentazione internazionale dei sistemi d’arma autonomi (AWS) sta emergendo sempre più come un esercizio di gestione del rischio. Tuttavia, un elemento cruciale per far avanzare il dibattito globale è la mancanza di un quadro di riferimento condiviso per valutare i rischi intrinseci a queste tecnologie militari.

Un recente studio propone una struttura innovativa per l’analisi e la regolamentazione dei rischi degli AWS, adattando un modello qualitativo ispirato al Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC). Questa metodologia esamina le complesse interazioni tra fattori chiave di rischio – determinanti, fattori trainanti e tipologie – per stimare l’entità del rischio associato agli AWS e stabilire soglie di tolleranza attraverso una matrice di rischio. Tale matrice integra la probabilità e la gravità degli eventi, arricchita dalla conoscenza di base disponibile.

La ricerca sottolinea che le valutazioni del rischio e i conseguenti livelli di tolleranza non dovrebbero essere determinati unilateralmente, ma attraverso la deliberazione in un forum multistakeholder che coinvolga la comunità internazionale. Tuttavia, gli autori evidenziano la complessità di definire una “comunità globale” ai fini della valutazione del rischio e della legittimazione normativa, un compito particolarmente arduo a livello internazionale.

Protetto: Alibaba e la settima piccola tigre: come un esercito di ex dipendenti sta costruendo il nuovo impero dell’intelligenza artificiale in Cina

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Chi racconta la storia controlla l’AI: narrativa, potere e propaganda digitale

Platone – o chi per lui – diceva che “Chi racconta le storie governa la società.” Mai come oggi questa affermazione è vera, e non perché i racconti siano ormai monopolio di chatbot e algoritmi (anche se sarebbe un esperimento mentale interessante). Il punto cruciale è un altro: la frizione tra le diverse storie che vengono raccontate sull’AI dipende moltissimo da chi le racconta. E il bello è che queste narrative, pur contraddittorie, coesistono nella stessa bolla informativa, ognuna con un’agenda più o meno nascosta.

Questa dinamica non è nuova nella Silicon Valley, dove il controllo della narrazione è sempre stato un elemento chiave della strategia delle big tech. Steve Jobs diceva che “Le persone non sanno cosa vogliono finché non glielo mostri”, una frase che sintetizza perfettamente la filosofia dietro molte delle narrative che oggi plasmano il discorso sull’AI. Andiamo a vedere i principali storyteller di questa nuova rivoluzione.

Trump e l’autocrazia tecnologica: come le idee di Thiel e Karp potrebbero plasmare un nuovo ordine politico

L’influenza di Peter Thiel su Trump

Non è un segreto che Peter Thiel abbia avuto un ruolo significativo nella politica di Trump, soprattutto durante le elezioni presidenziali del 2016. Thiel, uno dei fondatori di PayPal e un investitore di spicco nel settore tecnologico, ha dato il suo supporto esplicito alla candidatura di Trump, una mossa che ha suscitato molte discussioni, dato che Thiel è noto per le sue opinioni conservatrici e libertarie, che talvolta si scontrano con il mainstream politico degli Stati Uniti.

Trump scatena una guerra commerciale sui chip: tariffe record su Cina, Taiwan e Giappone

L’America torna grande. O almeno così dice Donald Trump, che ha annunciato l’introduzione di tariffe reciproche devastanti sui principali attori della catena di approvvigionamento dei semiconduttori. Cina colpita con un 34%, Taiwan con un 32% e il Giappone con un 24%. Un colpo diretto al cuore dell’industria tecnologica globale, con effetti immediati sui mercati finanziari e sull’intero ecosistema dei semiconduttori.

Dal Rose Garden della Casa Bianca, Trump ha proclamato quello che ha definito “il giorno della liberazione economica dell’America”, firmando un ordine esecutivo che introduce le nuove tariffe con un tono da crociata economica: “Abbiamo aspettato troppo a lungo… Oggi è il giorno in cui rendiamo l’America di nuovo ricca.” La strategia? Costringere le aziende tecnologiche a riportare la produzione in casa, evitando così i dazi.

Il ritorno dei cervelli: Luo Jianlan abbandona Google per guidare la rivoluzione dei robot umanoidi in Cina

Luo Jianlan, una delle menti più brillanti nel campo dell’intelligenza artificiale e della robotica, ha lasciato Google per unirsi alla start-up cinese AgiBot, nota in patria come Zhiyuan. Il suo nuovo ruolo? Capo scienziato presso il Zhiyuan Embodied Intelligence Research Centre, un’iniziativa che punta a spingere la Cina in prima linea nella produzione di robot umanoidi avanzati.

Non è solo una mossa individuale, ma un segnale chiaro di una tendenza più ampia: il rientro in patria di scienziati formati negli Stati Uniti, pronti a contribuire all’ecosistema tecnologico cinese. Luo, con un dottorato conseguito alla UC Berkeley e un background di ricerca a Google X e DeepMind, porta con sé una profonda esperienza nell’autonomia a lungo termine per sistemi complessi.

Cina e la rivoluzione dei droni: Rainbow-9, l’IA militare e il futuro della guerra senza piloti

La Cina ha alzato il sipario sulla sua ultima meraviglia tecnologica: il Caihong-9 (Rainbow-9), un drone ad alta autonomia e intelligenza artificiale avanzata, pronto a ridefinire il concetto di guerra senza piloti. Questo UAV (Unmanned Aerial Vehicle) non è solo un velivolo da ricognizione, ma una vera e propria piattaforma bellica autonoma capace di cambiare le regole del gioco nei conflitti moderni.

L’ultima dimostrazione pubblica, trasmessa dalla CCTV, ha mostrato il Rainbow-9 in volo per oltre 20 ore consecutive, equipaggiato con moduli di carico di ultima generazione. Ma il dato più impressionante è la sua autonomia teorica di 40 ore e oltre 10.000 km di raggio operativo, posizionandolo tra i droni più resistenti e versatili al mondo. Questo significa che, con un solo volo, potrebbe monitorare intere regioni strategiche: dalla penisola coreana a Taiwan, dalle Filippine al Vietnam, per poi tornare in Cina senza problemi.

L’asse del caos: come la strategia occidentale ha saldato l’alleanza sino-russa e accelerato il declino dell’egemonia USA

Washington e Bruxelles, nel loro tentativo miope di contenere la crescita di Cina e Russia, hanno finito per ottenere esattamente il contrario: un’alleanza strategica tra Pechino e Mosca che sta ridefinendo l’ordine mondiale. La cosiddetta “asse della sovversione” – che include anche Iran e Corea del Nord – è in realtà un aggregato eterogeneo in cui solo la partnership sino-russa conta davvero. E, ironia della sorte, se non fosse stato per la politica aggressiva e sanzionatoria dell’Occidente, probabilmente Pechino e Mosca sarebbero rimaste più distanti.

Dopotutto, la Cina è un colosso industriale che ha sempre preferito l’Occidente come mercato e fonte di tecnologia. La Russia, invece, è una superpotenza energetica che si sarebbe accontentata di vendere petrolio e gas all’Europa. Ma le guerre economiche e le sanzioni imposte dagli USA e dall’UE hanno chiuso qualsiasi altra opzione. Mosca è stata costretta a dirottare il suo commercio verso Oriente, e Pechino ha trovato in Putin un partner strategico che, seppur ingombrante, è essenziale per la stabilità delle sue forniture energetiche e per la sicurezza geopolitica.

L’intelligenza artificiale e il rischio nucleare: una partita senza arbitro

L’Intelligenza Artificiale (AI) sta ridefinendo il concetto stesso di guerra e, con esso, il pericolo di un conflitto nucleare fuori controllo. L’idea che una macchina possa prendere decisioni in ambito militare, in particolare nel contesto nucleare, fa tremare i polsi persino agli esperti di strategia. Eppure, la corsa all’AI militare è già una realtà consolidata, con Stati Uniti, Cina e Russia in prima linea, mentre il resto del mondo osserva con una combinazione di paura e impotenza.

Secondo John Tasioulas, direttore dell’Institute for Ethics in AI dell’Università di Oxford, la priorità dovrebbe essere una sola: garantire che le decisioni sull’uso di armi nucleari restino sotto il controllo umano. Il rischio non è tanto l’apocalisse robotica da fantascienza, ma una guerra atomica innescata da un malinteso, da un errore di calcolo o, peggio, da un algoritmo difettoso. L’AI, lungi dall’essere solo uno strumento difensivo, potrebbe rivelarsi il più grande fattore destabilizzante mai introdotto nella geopolitica moderna.

Chatbot nelle campagne cinesi: rivoluzione agricola o nuovo oppio digitale?

L’intelligenza artificiale sta seminando un nuovo futuro nelle campagne cinesi. DeepSeek, una startup di Hangzhou, ha innescato una frenesia nazionale con i suoi modelli open source, spingendo persino gli agricoltori più conservatori ad abbracciare la tecnologia. Grazie a una connettività capillare e alla diffusione della telefonia mobile, milioni di abitanti delle zone rurali stanno scoprendo che un chatbot può essere tanto utile quanto un buon trattore.

Nelle province di Jilin e Guangdong, i contadini non si limitano più a scrutare il cielo per prevedere il tempo: chiedono direttamente ai chatbot consigli su quando seminare, come identificare parassiti o persino come accedere ai sussidi governativi. I grandi colossi tecnologici cinesi, come Tencent e Alibaba, hanno colto l’opportunità con una rapidità impressionante, lanciando modelli AI facili da usare e personalizzati per le esigenze rurali. Tencent ha perfino schierato un team dedicato con la missione “AI Goes Rural”, modificando i suoi algoritmi per riconoscere piante e animali o per interagire vocalmente con chi magari non ha molta familiarità con la scrittura digitale.

Trump, Musk, Cook e la danza del potere: il grande business delle lobby tech

Il secondo atto della presidenza Trump sembra aver smantellato ogni pretesa di separazione tra tecnologia e politica. Quella che un tempo era una fredda distanza istituzionale tra la Silicon Valley e Washington si è trasformata in un vivace ballo di potere, dove CEO e politici danzano insieme sulle note di miliardi di dollari in lobbying. “Otto anni fa, non avresti mai visto Tim Cook o Elon Musk a Mar-a-Lago. Ora, li vedi in continuazione”, ha dichiarato Brian Ballard, lobbista di punta e uomo di fiducia dell’establishment repubblicano.

Il messaggio è chiaro: la tecnologia non è più solo un settore economico, ma un’arma geopolitica, un’infrastruttura di controllo sociale e una leva finanziaria per chi detiene il potere. Nel 2024, la spesa per lobbying federale ha raggiunto il record di 4,4 miliardi di dollari, con aziende, ONG e gruppi di interesse che hanno investito somme astronomiche per influenzare la politica. Al vertice della classifica, Meta Platforms, che ha speso oltre 24 milioni di dollari per proteggere il proprio impero mentre la politica si infiammava su privacy, libertà di espressione e sicurezza dei minori online.

La Silicon Valley non si limita più a sviluppare prodotti; ora scrive direttamente le regole del gioco. E con Trump di nuovo alla Casa Bianca, il gioco è diventato ancora più spregiudicato. L’industria tecnologica, che nel 2016 era più incline a finanziare candidati progressisti e a evitare legami con l’ex presidente, oggi ha smesso di fingere neutralità. La deregolamentazione promessa da Trump e la sua visione di un’America “forte e sovrana” hanno trasformato la tech élite da critici silenziosi a partecipanti attivi nel nuovo ordine politico.

Musk fonde X e xAI per creare l’impero definitivo dell’intelligenza artificiale

Elon Musk non smette mai di stupire e stavolta ha fatto una mossa che ridefinisce completamente il suo ecosistema tecnologico. Venerdì sera, con il solito tempismo da maestro della comunicazione, ha annunciato che la sua startup di intelligenza artificiale generativa, xAI, ha acquisito il social network X in un’operazione interamente azionaria. Il risultato? Una fusione valutata complessivamente 80 miliardi di dollari per xAI e 33 miliardi per X, che tradotto significa un’equity complessiva da 45 miliardi, al netto dei 12 miliardi di debiti della piattaforma social.

Il sogno imperiale di Trump: Monroe Doctrine 2.1 e la nascita della Super America

Nel 1823, James Monroe dichiarò il dominio degli Stati Uniti sull’emisfero occidentale, una sorta di avviso ai naviganti europei: niente più colonizzazioni nelle Americhe, a meno che non fossero già presenti. Un pretesto perfetto per giustificare l’espansione a stelle e strisce, dalla California al Texas, fino alle isole del Pacifico. Poi venne Theodore Roosevelt con la sua aggiunta: non solo l’America si sarebbe difesa, ma avrebbe anche interferito ovunque per evitare minacce ai suoi interessi. Era la legittimazione dell’imperialismo con la scusa della sicurezza nazionale.

Oggi, a distanza di due secoli, Donald Trump sembra pronto a rispolverare il concetto, aggiornandolo in un’ambiziosa Monroe Doctrine 2.1. Il nuovo obiettivo non è più soltanto il controllo delle Americhe, ma l’espansione globale in una logica da superpotenza assoluta. Canada come 51° stato, l’acquisto della Groenlandia, il “recupero” del Canale di Panama: non sono idee estemporanee, ma pezzi di un mosaico strategico molto più ampio.

Intelligenza artificiale Zeng Yi: la guerra fredda digitale tra Cina e USA frena la sicurezza globale

Se c’è una certezza nel panorama dell’intelligenza artificiale, è che la corsa allo sviluppo di modelli sempre più avanzati ha preso la forma di una competizione geopolitica senza esclusione di colpi. Eppure, secondo Zeng Yi, membro del comitato consultivo AI delle Nazioni Unite e professore dell’Accademia cinese delle scienze, questa impostazione potrebbe essere il più grande errore strategico di Washington.

Durante il Boao Forum for Asia, Zeng ha criticato l’atteggiamento degli Stati Uniti nel voler escludere la Cina dai network internazionali di sicurezza per l’IA, definendolo “una decisione molto sbagliata”. Il messaggio di fondo è chiaro: la sicurezza nell’IA non può essere un gioco a somma zero, e se le due superpotenze non trovano un terreno comune, il rischio è che si creino standard divergenti, regolamentazioni incompatibili e falle pericolose nella governance dell’IA.

La Blacklist della Tecnologia: Il Nuovo attacco della politica Usa contro la Cina

Il 25 marzo 2025, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha compiuto un passo significativo nella sua politica di contenimento nei confronti della Cina, aggiungendo ben 80 entità alla sua “entity list”. Si tratta di una mossa senza precedenti che segna un nuovo capitolo nella guerra tecnologica tra le due superpotenze, specialmente nel settore dell’intelligenza artificiale e dei supercomputer avanzati.

Questo intervento, il primo di una lunga serie iniziata con l’amministrazione Trump, ha avuto ripercussioni immediate, con Pechino che ha condannato fermamente l’azione e accusato Washington di voler manipolare la sicurezza nazionale per i propri scopi geopolitici.

L’inserimento di 80 organizzazioni nella lista nera ha coinvolto oltre 50 realtà cinesi, accusate di danneggiare gli interessi di sicurezza nazionale e politica estera degli Stati Uniti. Tra le aziende vietate vi sono alcune delle più potenti del settore tecnologico cinese, comprese quelle coinvolte nello sviluppo di intelligenza artificiale avanzata, supercomputer e chip ad alte prestazioni utilizzati in ambito militare.

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