Primo articolo di una serie di 4 che analizzeranno l’evoluzione normativa e l’ambiente dell’Intelligenza Artificiale in Europa.

Il 13 marzo 2024 il Parlamento Europeo ha approvato a larga maggioranza l’AI Act, l’impianto di norme chiamato a regolare e ad armonizzare la legislazione europea in materia di Intelligenza Artificiale. La normativa sarà poi votata con una votazione separata nella seduta plenaria di aprile per poi entrare in vigore dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Ue probabilmente nel mese di maggio.

In base all’AI Act, i sistemi di apprendimento automatico saranno suddivisi in quattro categorie principali in base al rischio potenziale che rappresentano per la società. I sistemi considerati ad alto rischio saranno soggetti a regole severe che si applicheranno prima del loro ingresso nel mercato dell’UE.

A novembre 2024 si applicheranno i divieti di pratiche vietate specificati nella legge sull’A, mentre le norme generali sull’Intelligenza Artificiale si applicheranno un anno dopo l’entrata in vigore, nel maggio 2025, e gli obblighi per i sistemi ad alto rischio in tre anni. I singoli Paesi europei hanno a disposizione 12 mesi di tempo per nominare le autorità nazionali competenti che dovranno supervisionare l’applicazione del pacchetto di norme, supportate dall’ufficio AI della Commissione europea.

Un traguardo senza dubbio importante. All’UE va riconosciuto il merito di aver definito, prima fra tutti, le regole del gioco anche se, come spesso accade in Europa, riesce difficile intravedere una visione comune e condivisa da parte dei Paesi membri di come sviluppare concretamente una piattaforma europea di Intelligenza Artificiale.

Ed è un punto questo da non sottovalutare. Se andiamo ad analizzare i principali scenari di ricerca e sviluppo sull’Intelligenza Artificiale non possiamo non rilevare come questi si trovino principalmente negli Stati Uniti e in Cina. Questi due Paesi, da soli, secondo i dati Ocse, rappresentano tra il 75 e l’80% degli investimenti globali in AI. Da questo punto di vista l’Europa, che è certamente leader mondiale nel campo dei principi giuridici e dell’etica della ricerca relativa all’intelligenza artificiale grazie all’adozione dell’AI Act, non sembra al momento in grado di poter recuperare il gap tecnologico e di sviluppo accumulato fino ad oggi.

D’altra parte è sotto gli occhi di tutti che l’industria tecnologica e l’evoluzione dell’informatica in Europa abbia avuto un processo di sviluppo molto meno dinamico di quello degli Stati Uniti. E non è un caso quindi che le principali realtà del settore siano aziende americane (Microsoft, OpenAI, Alphabet, Nvidia, Amazon e le altre), accompagnate da un solido complesso industriale cinese (con aziende come Baidu, Alibaba, Tencent e Huawei) del quale forse ai più sfugge la portata.

Cosa significa tutto questo? Che se da un lato è possibile trovare diversi grandi centri industriali e di R&S sull’Intelligenza Artificiale sia negli Stati Uniti che in Cina, l’ecosistema europeo dell’AI è un nano, costituito principalmente da aziende o startup di piccole o medie dimensioni. Vero che abbiamo capacità di calcolo – in Europa attualmente ci sono 3 supercomputer, l’italiano Leonardo a Bologna, Lumi in Finlandia e MareNostrum 5 in Spagna – ma nonostante l’azione di sviluppo del sistema europeo del supercalcolo EuroHPC, il mercato, dal punto di vista delle aziende, si presenta ancora frammentato e l’approccio allo sviluppo tecnologico influenzato oltre che da legislazioni nazionali e norme fiscali differenti, anche dalla mancanza di un solido mercato di capitali di rischio a supporto.

L’emergere di realtà europee, come Aleph Alpha in Germania o Mistral AI in Francia, indica certamente un percorso di sviluppo positivo da questo punto di vista ma dobbiamo anche considerare che, a causa delle loro dimensioni, queste aziende difficilmente possono raggiungere, almeno al momento, le stesse capacità di sviluppo e di investimenti delle realtà d’oltre oceano.

In Europa, il valore di mercato delle tecnologie AI ha iniziato a diventare una priorità solo negli ultimi 2-3 anni circa e manca, come abbiamo visto, un forte sostegno del mercato dei capitali al settore privato.

Secondo l’ex premier Mario Draghi intervenuto lo scorso 24 febbraio alla riunione dei ministri dell’Economia dell’Ue per parlare e confrontarsi sul suo report sul futuro della competitività – chiesto dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e atteso poco dopo le elezioni Europee di giugno 2024 – all’Europa servono enormi investimenti pari ad almeno 500 miliardi di euro. “Si sono verificati molti cambiamenti profondi negli ultimi anni (…) Questi cambiamenti hanno una varietà di conseguenze, una delle quali è chiara: dovremo investire un enorme ammontare di risorse in un tempo relativamente breve, in Europa”, ha spiegato l’ex banchiere centrale, per recuperare il divario con gli Stati Uniti anche in termini di produttività e per sostenere sia la transizione verde che le sfide impresse della velocità di sviluppo dell’Intelligenza Artificiale.

In ambito pubblico qualcosa si muove. Ma mentre alcuni Paesi ancora discutono dei possibili effetti negativi dell’Intelligenza Artificiale, di come controllarla e imbrigliarla, istituendo commissioni e comitati (parliamo per caso dell’Italia?), in altri si è colto perfettamente che è vitale non solo aumentare gli investimenti in un settore strategicamente importante come quello dell’Intelligenza Artificiale, ma anche realizzare le condizioni, a livello politico, affinché il Paese possa sostenere lo sviluppo di un ambiente nazionale di AI e diventare polo d’ attrazione per le realtà internazionali interessate ad investire in Europa.

Parliamo della Francia ovviamente. Nel prossimo articolo di questa serie vedremo come Parigi si stia candidando per diventare la capitale europea dell’Intelligenza Artificiale.


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