Donald Trump ha deciso di vestire i panni del banchiere centrale 2.0, annunciando la creazione di una “riserva strategica crittografica” degli Stati Uniti. Un gesto che, per chi ancora pensava che le criptovalute fossero il male assoluto, suona come una conversione sulla via di Wall Street. E, ovviamente, il mercato ha reagito con il solito entusiasmo irrazionale, scatenando pump a doppia cifra su diverse coin.
Nel suo post su Truth Social, l’ex presidente ha dichiarato di aver dato mandato a un gruppo di lavoro presidenziale di “andare avanti” con la creazione di questa riserva digitale, in linea con un ordine esecutivo già firmato a gennaio. L’ordine, piuttosto vago all’epoca, ora prende forma con un elenco di asset da custodire nella cassaforte statunitense: bitcoin, ether, XRP di Ripple, Solana, Cardano e altre “criptovalute preziose”.
L’annuncio ha generato un effetto valanga sui mercati, con XRP che ha registrato un +32%, Solana +22% e Cardano un notevole +60%. Bitcoin, che non si fa mai mancare nulla, è salito del 9%, mentre ether ha guadagnato un decoroso +12%. A dimostrazione che quando un presidente degli Stati Uniti (o ex) parla di crypto, la volatilità va in overdrive.
Ma dietro l’apparente entusiasmo, c’è un dettaglio non trascurabile: a cosa serve una riserva strategica di criptovalute? Se quella d’oro ha sempre avuto un senso come garanzia contro inflazione e crisi economiche, una riserva di bitcoin & co. nelle casse federali suona più come una trovata politica che una necessità finanziaria. In un’America dove la regolamentazione crypto è ancora un campo minato, Trump sembra voler giocare d’anticipo rispetto a una possibile rielezione, posizionandosi come il presidente pro-cripto rispetto a Biden, che invece ha mantenuto un approccio più prudente (per non dire ostile) al settore.
E se questo fosse solo l’inizio? La Casa Bianca ha già confermato che venerdì ospiterà un summit sulle criptovalute con CEO, investitori e fondatori del settore. Se Trump dovesse davvero tornare alla presidenza, potremmo assistere alla più grande rivoluzione finanziaria dai tempi dell’abbandono del gold standard. O, più probabilmente, a un altro episodio di teatrino politico con Wall Street sullo sfondo.